Sisifo - © Yueh Chiang/Shutterstock

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I media in Croazia vivono tempi difficili, tra dipendenza finanziaria dalle istituzioni e una nuova legge che rischia di mettere il bavaglio al giornalismo d'inchiesta, mentre si moltiplicano gli scandali di corruzione nel governo. Un'intervista a Drago Hedl, decano del giornalismo croato

19/03/2024 -  Paulina Arbutina

(Originariamente pubblicato da Novosti )

Otto anni di governo Plenković sono stati caratterizzati da un susseguirsi di scandali di corruzione, che hanno visto coinvolti diversi ministri ed esponenti di spicco dell’Unione democratica croata (HDZ). La maggior parte di questi scandali non è stata svelata dalla procura generale (DORH), bensì dai media croati. La cosiddetta Lex AP [il nuovo codice penale proposto dal governo di Andrej Plenković e approvato dal parlamento di Zagabria lo scorso 14 marzo] è un chiaro messaggio rivolto ai media: avete oltrepassato il limite. Secondo lei, i media sono il più grande nemico di Plenković?

Sia la DORH che la polizia erano a conoscenza di tutti gli scandali rivelati dai giornalisti, ma hanno taciuto, tenendo quei fascicoli ben nascosti nei cassetti. Non c’è mai stata la volontà politica di indagare su alcuni episodi controversi. La procura e tutti quelli che amano autodefinirsi organismi giudiziari reagiscono solo post factum, quando gli scandali ormai finiscono nei giornali, ossia quando entrano nella sfera pubblica e suscitano determinate reazioni.

Non vi è dubbio che i giornalisti hanno contribuito molto a rivelare diversi scandali di corruzione, e il nuovo Codice penale è un chiaro messaggio lanciato dal mondo politico per dirci che siamo andati troppo oltre e che le iniziali AP non potranno mai più essere menzionate in riferimento alla corruzione e alla criminalità.

È indicativo che Plenković abbia annunciato che farà approvare una legge per porre fine alla fuga di notizie legate alle indagini giudiziarie proprio quando nella famosa corrispondenza della regina di Knin ed ex segretaria di stato [il riferimento è a Josipa Pleslić, sospettata di corruzione nel cosiddetto scandalo dei parchi eolici, ndt] per la prima volta sono comparse le iniziali AP. A distanza di un anno da quell’annuncio, c’è una proposta di legge chiaramente finalizzata a ostacolare i media e a spingere le nostre fonti, già poco disponibili a parlare, a chiudersi ancora di più, così da rendere impossibile per i giornalisti venire in possesso di informazioni preziose provenienti dall’interno del sistema.

Il premier croato non capisce di essere soltanto un funzionario che dovrebbe impegnarsi al massimo per fare bene il suo lavoro. Non capisce che un giornalista può porgli qualsiasi domanda. Non spetta al primo ministro decidere quali argomenti sono validi e quali no.

In Croazia gli scandali cadono presto nell’oblio, si indugia nel sollevare atti di accusa e i procedimenti penali, ammesso che ci si arrivi, si protraggono all’infinito. Ritiene che il nuovo Codice penale possa diventare l’ennesimo espediente per proteggere la leadership al potere?

Sì, il problema sorge quando bisogna avviare azioni e procedimenti penali partendo dalle rivelazioni dei media. Ogni giorno viene portato alla luce un nuovo scandalo che fa passare in secondo piano quelli vecchi. I giornalisti scoprono storie, le seguono per qualche tempo, poi emerge un nuovo scandalo, ancora più grande. Da quella prima vicenda di centomila kune siamo arrivati all’INA e ad un miliardo di kune. Il fenomeno cresce in modo esponenziale e spesso è proprio questa enorme quantità di scandali a impedirci di arrivare fino in fondo alla storia.

Faccio un esempio che, pur non essendo strettamente legato alla criminalità e alla corruzione, ben illustra la situazione della nostra società. Avviene un incidente stradale che vede coinvolto il governatore [della contea di Vukovar-Srijem] Damir Dekanić. Si era messo al volante ubriaco, sappiamo che è recidivo. Si sa quando e dov’è accaduto l’incidente, chi era coinvolto, come si è comportata la polizia. Se noi, giornalisti, non avessimo insistito su questa storia settimana dopo settimana, mese dopo mese, non ne sarebbe venuto fuori nulla, ne sono convinto.

Dekanić – che è stato sottoposto a custodia cautelare durante le indagini e ora è sotto processo – continua a ripetere di essere innocente. E tuttora ricopre la carica di governatore. È stato sì formalmente sospeso dal partito, ma alle prossime elezioni potrebbe anche essere rieletto. È così che funzionano le nostre leggi. Gli scandali continuano a moltiplicarsi e in cima alla piramide c’è un enorme archivio in cui tutte quelle storie dimenticate attendono un epilogo giudiziario. Sarà una lunga attesa.

Cosa cambierà per il giornalismo investigativo con il nuovo codice penale?

Le ultime modifiche al codice penale – che precludono ai giornalisti la possibilità di utilizzare i pochi strumenti esistenti per portare avanti le loro inchieste – sanciscono la morte del giornalismo investigativo. La lex AP è una legge apocalittica. I media devono essere una finestra aperta sulla società. Devono indagare, mettere in discussione, analizzare, criticare la nostra realtà. Devono sfidare i politici con coraggio e schiettezza, pur sapendo che usciranno sconfitti da quel confronto. Se i giornalisti abbassano la testa e decidono di starsene in disparte, mi chiedo: chi resterà a puntare il dito sulle irregolarità e le ingiustizie?

Anche prima la situazione dei media era tutt’altro che rosea. A volte sembra che facciamo la fatica di Sisifo: la mattina spingiamo la pietra in salita, poi il pomeriggio la pietra cade da sola, e così all’infinito. Non abbiamo gli strumenti di cui dispongono la procura e la polizia, e va bene così. Dobbiamo però poter contare sulle nostre fonti, dobbiamo fidarci di loro, come anche loro devono avere fiducia in noi giornalisti quando diciamo che le proteggeremo in tutti i modi possibili, anche in eventuali controversie giudiziarie, senza rivelare la loro identità. Se il procuratore sostiene che un contenuto pubblicato non sia veritiero, è il giornalista a doversi assumere la responsabilità.

Se i cittadini sono venuti a conoscenza di numerosi scandali è proprio grazie alle fonti dei giornalisti. Le nuove norme rischiano di intimidire e zittire le fonti. Con l'approvazione del nuovo codice penale, i cittadini croati – che sono già abbastanza inerti – potrebbero chiudersi ancora di più nel proprio piccolo mondo?

I cittadini hanno paura della propria ombra. Un giornalista deve avere alle spalle molta esperienza, molti testi pubblicati perché i cittadini inizino a fidarsi di lui, così da rivelargli una vicenda controversa a cui hanno assistito. Anche alcune persone all’interno del sistema sono contrarie a quanto sta accadendo, però tacciono, perché altrimenti metterebbero a rischio il proprio lavoro, se non addirittura la propria esistenza. Racconteranno volentieri la loro storia, a condizione però che il loro nome non venga menzionato. Dicono: “Sa, ho due mutui, e mia moglie forse verrà assunta nella pubblica amministrazione”.

Come cittadini siamo trascurati da punto di vista politico, non conosciamo i nostri diritti. Temiamo la politica, abbiamo paura che ci faccia del male. Quante volte abbiamo sentito dire: “La politica non mi interessa”, come se l’interesse per la politica fosse un reato. Oggi la politica è ovunque, tutto è politica. Noi invece tendiamo a percepirla come una sfera fuori dal nostro mondo, sospesa da qualche parte nello spazio, come un dio che decide di tutto, pensa a tutto, punisce o premia le persone a seconda del loro comportamento. Ricordo che durante la guerra a Osijek tra le persone regnava una tale paura che il nome di Branimir Glavaš veniva pronunciato a mezza voce. Oggi invece è il primo ministro ad essere una divinità che va adorata e applaudita. Ci si guarda bene dal dire qualcosa contro di lui per non mettersi nei guai.

Il governo sostiene che le nuove disposizioni del codice penale non verranno applicate quando si tratterrà di questioni di pubblico interesse. Ma chi deciderà cos’è l’interesse pubblico?

Evidentemente una sola persona – il giudice. Nel corso della mia carriera mi è capitato più volte di dover dimostrare l’interesse pubblico in tribunale. Se scrivo di una grande azienda agricola in Slavonia, che inquina gravemente l’ambiente e crea problemi ai villaggi circostanti, e dico di aver pubblicato quella storia perché è di interesse pubblico, la giudice mi guarda come se non capisce nulla. Non sa cosa sia l’interesse pubblico. Gran parte dei giudici non comprende il concetto di giornalismo e di interesse pubblico, non capisce che un testo può essere interpretato in vari modi, come ogni altra cosa nella vita. Il tribunale non chiede mai l’assistenza di un perito per spiegare cosa intendesse dire il giornalista. Quando si tratta di un incidente stradale o di un termine medico chiedono il parere di un perito giudiziario. Quando invece c’è di mezzo un testo giornalistico, il giudice sa tutto, nessuno gli deve spiegare nulla.

I media sono sempre più finanziariamente dipendenti dal governo. Come superare questa dipendenza per creare uno spazio dove potersi esprimere liberamente?

È una sfida molto ardua. In Croazia anche i media mainstream, pur sembrando capaci di sopravvivere grazie alla vendita dei loro giornali, non possono pretendere di essere indipendenti dal punto di vista economico e conoscono bene la regola: fai quello che ti dice il capo, pubblica solo storie di scarso rilievo, ma tali da sembrare bravo e indipendente agli occhi dell’opinione pubblica. La situazione più difficile è quella dei media locali che sono perlopiù finanziati direttamente dalle amministrazioni locali. Anche lo stato concede finanziamenti diretti, anche alle grandi testate, attraverso varie forme di donazioni, contributi alle conferenze, pubblicità.

Conosco tanti bravi colleghi che non possono scrivere di argomenti problematici, perché se lo facessero, la loro carriera sarebbe finita. Molti giornalisti sono propensi all’autocensura, sanno bene fin dove si possono spingere. So che non sono contenti e gran parte di loro continua a fare giornalismo con un senso di amarezza. Non hanno però alcuna scelta. Oggi è molto difficile trovare lavoro nei media.

Il nuovo procuratore generale della Croazia Ivan Turudić ha affermato che la Procura europea protegge gli interessi europei, anziché quelli croati. Come se gli interessi croati fossero la corruzione e la criminalità…

Questa affermazione del nuovo procuratore mi sembra insolita. Perché avere paura se si agisce sempre onestamente?! Ora che abbiamo sperperato tutte le nostre risorse e non ci è rimasto più nulla, rubiamo i soldi europei. Non è però un fenomeno circoscritto alla Croazia, sappiamo com’è andata con i fondi europei in Bulgaria, Romania e altri paesi che hanno aderito all’UE abbastanza di recente. Non vedo nulla di problematico nella presenza di un procuratore europeo incaricato di proteggere gli interessi dell’UE. Perché l’Europa dovrebbe finanziare certi progetti se poi non ha il diritto di controllarli?

Poi non si tratta solo di soldi europei. L’UE raramente eroga l’intera somma necessaria, una parte, circa il 20-30%, la pagano sempre i contribuenti croati. La procura croata è molto brava a perseguire le persone comuni, i piccoli pesci… Quando una commessa mangia una fetta di prosciutto in un negozio di alimentari, viene subito sanzionata perché ha danneggiato il suo datore di lavoro. È con questi piccoli casi che la DORH vuole dimostrarci che abbiamo uno stato di diritto. Quando invece si tratta di pesci grandi, inventa sincopi e attenuanti. Turudić ha deciso di non punire con la reclusione la madre di un potente esponente dell’HDZ di Zagabria perché “ha restituito tutto quello che ha rubato”. Molto conveniente. Chi non vorrebbe evitare di essere sanzionato restituendo ciò che ha rubato? Il messaggio è il seguente: rubate liberamente, se non vi prendono, ottimo; se invece vi prendono, restituite ciò che avete rubato e ve la caverete senza alcuna sanzione. Un messaggio che però vale solo per gli eletti.

Dov’è finito il senso di giustizia e di responsabilità?

Il termine responsabilità dovrebbe essere cancellato dalla nostra lingua perché è inutile. Ormai nessuno invoca la responsabilità. La ministra degli Esteri di un paese del nord Europa – che per sbaglio ha pagato un paio di calzini in aeroporto con una carta di credito per spese legate al lavoro – si è dimessa per l’utilizzo indebito della carta. Da noi invece rubano alberghi e banche, e poi alzano le spalle, come se nulla fosse accaduto. Non c’è alcun senso di responsabilità morale che spinga le persone a dire spontaneamente: “No, non lo farò più, mi dimetto, ho sbagliato, mi dispiace”.

Quanto alla giustizia, pochissimi se ne interessano. Se da un lato il diritto è ben articolato, dall’altro la giustizia – quell’idea che tutti sentiamo dentro e che dovrebbe essere il principio fondamentale di funzionamento della società – è ormai fortemente marginalizzata. Possiamo parlare di giustizia solo dal punto di vista teorico. Ogni decisione è una sorta di compromesso in cui le norme prevalgono largamente sull’idea di giustizia.

Lo confermano anche i recenti fatti. Dopo tutto quello che nelle ultime settimane si è potuto leggere in quella impressionante mole di messaggi [il riferimento è alla corrispondenza tra l’ex sindaca di Knin e il procuratore Ivan Turudić], dopo tutto quello che è accaduto, la maggior parte dei deputati del parlamento croato [appoggiando la nomina di Turudić a capo della procura generale] con una noncurante alzata di mano, ha affermato: “Sosteniamo quell’uomo perché il nostro partito ci ha detto di farlo”. Quei deputati – che dovrebbero costruire e difendere la propria integrità e quella del parlamento – non sono altro che mere pedine al servizio del partito, a cui non osano dire di no. In Croazia tutto inizia e finisce con la politica, questo è un grave problema sociale. In assenza di una magistratura sana, capace di agire in modo indipendente e in conformità alle leggi, chi è dedito ad attività criminali e corruttive spera sempre di cavarsela, anche se i suoi affari loschi dovessero venire a galla.

Volendo fare un confronto tra il giornalismo investigativo croato degli anni ’90, quando venivano smascherati crimini di guerra, e quello di oggi, in cui l’attenzione è posta sulla corruzione e la criminalità, quali sono le differenze?

Ai tempi della guerra ci picchiavano, oggi ci offrono denaro. Quando, nei primi anni ’90, avevo scritto una serie di testi sui crimini di guerra, il mio lavoro non era visto di buon occhio perché avevo infranto un tabù assoluto. Ero diventato vittima di minacce e mi era stata assegnata una scorta. Oggi raccolgo informazioni sui “rispettabili” alti funzionari e membri del parlamento, i quali mi offrono denaro per dissuadermi dal pubblicare storie che per loro sono compromettenti. È noto il caso di Franjo Lucić, il quale aveva cercato di corrompermi in modo molto aperto ed esplicito. E giusto per assicurarsi che io avessi capito bene, aveva precisato che mi avrebbe pagato il triplo di quello che mi pagava la mia redazione. Per fortuna, avevo registrato quella conversazione. Se non l’avessi fatto, chi mi avrebbe creduto? Dopotutto, lui è un rispettabile esponente dell’HDZ e membro del parlamento, e io sono solo un giornalista.