Goli Otok. Isola della libertà

Goli Otok. Isola della libertà

Aldo è stato detenuto a Goli Otok, il campo di prigionia jugoslavo destinato alla dissidenza politica. Ora, grazie al lavoro di ricerca e denuncia di Giacomo Scotti, la sua storia è divenuta uno spettacolo teatrale

29/11/2012 -  Francesca Rolandi Milano

Lo spettacolo “Goli Otok. Isola della libertà”, nato da un progetto di Elio De Capitani e Renato Sarti, è andato in scena il 24 e il 25 novembre al Teatro Binario 7 di Monza e il 26 novembre al Teatro Elfo di Milano, dopo esser stato presentato nel 2011 al Mittelfest di Trieste e al Teatro della Cooperativa di Milano in forma di reading.

Il punto di partenza è il lavoro pionieristico pubblicato da Giacomo Scotti nel 1991 “Goli Otok. Ritorno all'isola calva”, che ricostruiva, grazie alle testimonianze degli ex internati e a un lavoro di ricerca, la realtà del più noto campo di prigionia della Jugoslavia socialista che accolse, tra il 1949 e il 1956, coloro che, a torto o a ragione, erano accusati di essersi schierati a favore di Stalin e contro Tito nel conflitto del 1948-49.

In quegli anni, attraverso due risoluzioni, la Jugoslavia era stata condannata ed espulsa dal Cominform, l'Ufficio Informazioni che riuniva i partiti comunisti dell'Europa occidentale e i due maggiori partiti dell'Europa occidentale, quello italiano e quello francese. Ad essere messe all'indice, con una serie di accuse pretestuose, erano la sua linea indipendente da Mosca e la sua disinvolta politica estera nella penisola balcanica.

Il 1948 si impone così come uno spartiacque che avrebbe segnato l'avvento di un modello jugoslavo alternativo a quello sovietico, all'epoca  inesistente, e che venne costruito dalla leadership jugoslava a tentoni, in modo quasi sperimentale, attraverso una fase di manifesta ortodossia e una successiva liberalizzazione con l'inizio degli anni '50.

In questo contesto, in un paese che si considerava in lotta per la sopravvivenza, ossessionato da vera o presunta attività di propaganda dei cominformisti e minacciato da continui incidenti alle frontiere, si colloca Goli Otok, considerata la pagina più nera della Jugoslavia socialista.

Il contributo di Giacomo Scotti

Diventata memoria latente, negli anni della crescita economica e dell'ottimismo verso il futuro, l'Isola calva (così chiamata perché, ricoperta di salsedine e spazzata dalla bora, è quasi priva di vegetazione) ritornò di prepotenza nel dibattito pubblico jugoslavo con la crisi degli anni '80, trovando innanzitutto cittadinanza nel mondo della letteratura. Antonije Isaković, Dušan Jovanović, Branko Hofman, Vitomil Zupan trattarono nei primi anni '80 nelle loro opere diversi aspetti della prigionia.

Ad attrarre l'attenzione di Scotti, all'epoca giornalista de “La Voce del Popolo”, sull'Isola calva, come lui stesso ha ricordato nel dibattito seguito allo spettacolo, fu nella seconda metà degli anni '80 Gino Kmet, già antifascista e partigiano, che fu prigioniero nell'isola adriatica. A quella di Kmet seguirono a ruota altre testimonianze, che trovarono spazio, grazie a Scotti, sulle pagine del quotidiano fiumano in lingua italiana.

Da questi articoli nacque appunto il volume di Scotti del 1991, che ha avuto diverse riedizioni ed è stato seguito di recente da “Il gulag in mezzo al mare”, basato su ulteriore materiale documentario. Gli italiani infatti, tra i quali molti degli operai monfalconesi che avevano scelto dopo la Seconda guerra mondiale la Jugoslavia come patria elettiva, mantenevano proporzionalmente un triste primato numerico tra la popolazione dell'arcipelago concentrazionario adriatico. Sebbene la materia sia stata molto presente nella pubblicistica, manca tuttavia a tutt'oggi un'opera esaustiva che affronti la questione di Goli Otok inserendola nel contesto delle politiche repressive jugoslave post-1948.

La storia di Aldo Juretić

Il testo teatrale di Renato Sarti prende spunto da una delle vicende narrate da Giacomo Scotti, quella di Aldo Juretić, e dal successivo incontro con il protagonista, vissuto per decenni a Monza. La sceneggiatura si snoda intorno alla narrazione di Juretić, incalzata dalle domande di un medico croato, il dottor Jerković, che sostiene di raccogliere la testimonianza per la tesi della figlia.

Così viene ricordato il credo politico internazionalista - per il quale avrebbe rinunciato alla sua nazionalità - del giovane Aldo, che si indigna di fronte alle prese di posizione del Partito comunista jugoslavo nel 1948, considerate intrise di nazionalismo.

A differenza di molti, che furono perseguitati in seguito a delazioni o mezze parole, Aldo prende posizione apertamente contro il partito e si descrive come “un fiammifero acceso, un'arma carica quando si parlava di politica”. Era considerato un forte da molti, anche se, confessa, “io ho avuto paura per tutta la vita”.

Tenta di contattare gli amici che crede la pensino come lui, ma alla prima riunione che organizza sono più gli agenti della polizia segreta UDBA dei compagni. Seguono l'arresto, una detenzione di sei mesi a Fiume e una permanenza di due anni a Goli Otok, in condizioni disumane che, secondo chi aveva vissuto entrambi, avrebbero fatto rimpiangere i campi di concentramento fascisti.

Dopo due anni la scarcerazione, il silenzio, la discriminazione che colpisce gli ex prigionieri politici, fino all'espatrio nel 1958 in Italia. In un crescendo drammatico sul palco, Aldo ricorda, grida, dà sfogo alle sue ossessioni, di fronte alla flemma del dottor Jerković, verso la quale avanza dei sospetti: “E perché non è venuta sua figlia per la tesi?”.

Nei decenni successivi Aldo Juretić ritorna diverse volte in Jugoslavia. Nel 1971 sente ancora il fiato sul collo dei cominformisti, nel 1988 sbarca a Goli Otok e vi trova un cartello “Benvenuti nell'isola della libertà”: l'isola è stata trasformata in un campo per nudisti. A pochi anni dalla morte fa ritorno un'ultima volta, si ferma a pranzare in un ristorante proprio di fronte all'Isola calva, e chiede ragguagli all'oste sulle isole dell'arcipelago. Questi prende a descrivere Arbe, Veglia, San Gregorio, ma Juretić lo interrompe e chiede come si chiama quella appena di fronte alla costa. “Quela? No lo so miga”, si gira sui tacchi e se ne va.