La situazione dei profughi serbi espulsi dalla Croazia con l'operazione Tempesta e giunti in Vojvodina, regione meta negli anni '90 anche di molti Serbi di Bosnia. I nuovi arrivati affermano di essere ancora vittime dell'ostilità dei locali. Nostra traduzione di un articolo tratto da IWPR
Di Robert Vizi* da Novi Sad e Veternik - IWPR
"Ci salutiamo con la gente del posto e questa è l'unica relazione che abbiamo con loro. Non ci hanno mai accettato e non lo faranno mai".
Lo afferma Zora Cvijc, una rifugiata serba originaria della Croazia, mentre si pulisce le mani sul grembiule, dopo aver tolto il grasso da carne di maiale fresca, nel giardino della casa dove abita a Veternik.
In passato Veternik era una Paese di poche migliaia di persone, ora le case sono cresciute come funghi e gli abitanti sono saliti a 20.000, in parte a causa dell'arrivo di rifugiati come Zora Cvijc, originaria di Tenj, Croazia orientale.
Nonostante molti ormai vivano in condizioni economiche soddisfacenti, le relazioni tra i nuovi venuti e la gente del posto è lontana dall'essere rosea.
Vi è poca fiducia da entrambe le parti e molti rifugiati risentono negativamente dell'atteggiamento nei loro confronti sia delle istituzioni che della gente locale.
"Un rifugiato non ha diritto a nulla" aggiunge con tono amaro Zora "nessuno ci ha aiutati, nessuno chiede se abbiamo bisogno di qualche cosa".
La Vojvodina è stata la destinazione principale di molti rifugiati in fuga dalle guerre che negli anni '90 hanno coinvolto Croazia e Bosnia.
Secondo i funzionari locali, nel 1996, circa 350.000 rifugiati risiedevano in Vojvodina. 200.000 dei quali, nel 2001, vi risiedevano ancora.
Nel 2004 non restavano ufficialmente nell'intera Serbia che 140.000 rifugiati. Ma questo non significa che i restanti fossero ritornati tutti a casa. Molti hanno rinunciato al loro status di rifugiati divenendo cittadini della Serbia e Montenegro. Altri se ne sono andati in altri Paesi.
I 140.000 che sono rimasti possono oramai verosimilmente spostarsi esclusivamente nel Paese dal quale provengono.
Zora Cvijc afferma che nessuno diede loro riparo quando arrivarono a metà degli anni '90.
"Mio marito ed io scavammo una buca nel terreno, la circondammo con mattoni e la coprimmo con un telo in plastica. Fu la nostra prima casa in Serbia". Hanno poi guadagnato i soldi per costruirsi una casa vera e propria lavorando da irregolari in Austria.
Radenko Popic, presidente del comitato regionale per l'assistenza ai rifugiati della Vojvodina, afferma che le lamentele rispetto all'ostilità dei locali sono fondate.
Ricorda che c'è ancora un alto livello di animosità nei confronti dei nuovi venuti, nonostante le autorità se lo nascondano: "E' una conseguenza della mancanza di un'appropriata copertura giornalistica del problema dei rifugiati".
Non viene mai riportato alcunché - continua - in merito al "fatto che non è responsabilità dei rifugiati la diminuzione costante degli standard di vita"
Popovic afferma inoltre che i media dimenticano di ricordare che i rifugiati contribuiscono all'economia della Vojvodina pagando, solo per gli affitti, la cifra netta di un milione di euro al mese.
In realtà la Vojvodina è da sempre meta di immigrati, ricca dal punto di vista agricolo ha da sempre attirato commercianti e braccianti.
Nel 18mo secolo sotto l'Impero austroungarico si è formato un mix variegato di ungheresi, tedeschi, serbi, croati, slovacchi e persone appartenenti ad altre minoranze.
Molti dei loro discendenti vi vivono ancora, mantenendo ancora i costumi, lingue e le religioni dei propri antenati.
Dopo la Seconda guerra mondiale, il governo della Jugoslavia, ottenuta la Vojvodina nel 1918, vi sistemò agricoltori bosniaci senza terra. La gente del posto li chiamava "coloni" o "nuovi venuti" e questa terminologia viene ancora utilizzata per i migranti arrivati in Vojvodina alla fine degli anni '40.
Ranko Koncar, storico, racconta che circa 350.000 persone si spostarono verso la Vojvodina dopo la Seconda guerra mondiale. La maggior parte di loro proveniva dalla Bosnia e dal Montenegro.
"Vi era il cosiddetto 'piano di colonizzazione' nella Jugoslavia del dopoguerra" racconta "persone orginarie di aree devastate dalla guerra si spostavano verso la Vojvodina ed i primi a muoversi furono le famiglie che avevano partecipato alla guerra partigiana tra il 1941 ed il 1943".
Il loro arrivo era stato preceduto dall'esodo forzato di molte centinaia di migliaia di tedeschi ed in parte minore di ungheresi.
Nel corso delle guerre balcaniche degli anni '90 in Vojvodina è arrivata una nuova ondata di migranti, in questo caso rifugiati dalla Bosnia e dalla Croazia.
Come già verificatosi nella storia della Vojvodina questi arrivi sono stati accompagnati da espulsioni forzate, anche se questa volta non si trattava di tedeschi ma degli appartenenti alla comunità croata che sono stati obbligati a fare le valige.
Circa 30.000 croati sono stati espulsi dalla zona sud est della regione chiamata Srem, secondo quanto affermato dall'Unione democratica dei croati di Vojvodina.
Del picco di 350.000 rifugiati nella Vojvodina durante gli anni '90 ora ne rimangono meno di 100.000
Katica Bengin, funzionaria locale che si occupa di rifugiati, afferma che i numeri stanno calando.
Alcuni, ricorda, sono partiti per Paesi terzi mentre altri sono tornati a casa o hanno preso la cittadinanza della Serbia e Montenegro.
"I residenti locali percepiscono i rifugiati ancora come nuovi venuti o come intrusi" ha aggiunto.
Bengin afferma che gli atteggiamenti negativi non dipendono da posizioni individuali ma piuttosto sono causati da un'integrazione mal gestita e dal fatto che qualcuno ha abusato del sistema.
Per evidenziare quest'ultima affermazione ha fatto riferimento al caso di alcuni rifugiati che rimangono nei centri collettivi pur non rientrando nella categorie che hanno bisogno di cibo ed alloggio avendo trovato un lavoro.
"Durante la prima ondata di arrivi nel 1991 alcuni hanno ottenuto lavoro grazie alle loro vecchie relazioni, ottenendo in Vojvodina la stessa occupazione che avevano da altre parti", ricorda Bengin.
"I managers hanno ottenuto nuovi lavori da manager, i poliziotti da poliziotti, i funzionari pubblici da funzionari e così via".
Bengin crede che questo fatto causò atteggiamenti di rabbia tra i locali che temevano di perdere posizioni nel mercato del lavoro.
Dopo l'offensiva croata del 1995, denominata Tempesta, nuove colonne di rifugiati si sono riversate in Vojvodina, molti dei quali costruirono case abusive, alcune di grandezze sontuose, irritando una volta ancora i residenti del posto.
Dragan, un cittadino di Veternik, afferma che gli anziani originari della Vojvodina vedono ancora chi immigrò negli anni '40 come coloni e nuovi arrivati, e che quindi è naturale che si veda nello stesso modo i rifugiati arrivati negli anni '90.
"Molti rifugiati parlano ancora in 'jekavica', (la variante occidentale del serbo-croato, comune in Bosnia e Croazia) ed inoltre restano tra di loro", ha aggiunto spiegando le caratteristiche dell'ostilità nei loro confronti. "Si aiutano a vicenda nel costruire case e trovare lavoro".
Vladimir Todorovic, che appartiene ad una famiglia residente in Vojvodina da quattro generazioni, critica apertamente la mentalità di molti dei rifugiati.
Secondo lui hanno fallito nel fare un vero sforzo di adattamento a nuovo ambiente nel quale si sono trovati a vivere ed hanno tentato di ricreare le atmosfere dei loro luoghi natali.
"Questa sorta di atteggiamento nostalgico è ciò che mi disturba di più" ha affermato "il fatto che siamo buoni di natura non significa che siamo degli stupidi".
Milenko Perovic che insegna filosofia all'Università di Novi Sad, la capitale della Vojvodina afferma che i locali spesso dimenticano che chiunque in Vojvodina ha antenati che sono stati dei "nuovi venuti".
Ritornando indietro nella storia dell'Impero Austroungarico ricorda che ogni ondata di coloni tendeva a perdere i propri privilegi e vantaggi una volta che ne arrivava una di nuova. Come risultato Perovic crede che il timore nei confronti dei nuovi arrivati sia divenuto una caratteristica degli abitanti della Vojvodina.
Ma Perovic ha aggiunto di essere sicuro che la Vojvodina è abbastanza forte e resistente per assorbire ogni nuova ondata di migranti.
"La Vojvodina ha sempre avuto successo nel trasformare e calmare i nuovi venuti troppo violenti" ha affermato.
"Alla fine è sempre riuscita a farli sentire a casa propria ed a comportarsi come vera gente della Vojvodina. Questo accadrà con le generazioni più giovani, anche se, naturalmente servirà del tempo".
*Robert Vizi è un giornalista del quotidiano di Novi Sad Gradjanski list