Giacomo Scotti è stato il primo a rivelare agli italiani l'esistenza di Goli Otok, il gulag titino in mezzo al mare Adriatico, simbolo di un "arcipelago concentrazionario" nel quale sono stati deportati tra il 1949 e il 1955 migliaia di oppositori al regime del Maresciallo. Da allora Scotti non ha mai smesso di scavare alla ricerca di nuove e più approfondite verità. Una recensione. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Se si organizzasse un percorso di turismo storico o di turismo della tragedia (dato che sovente la storia è connotata dalle tragedie) questo potrebbe tranquillamente affiancarsi ai percorsi trafficati che portano tanti visitatori italiani in Slovenia ed in Croazia. Che senza saperlo, con beata spensieratezza turistica, sfiorano numerose foibe, inghiottitoi naturali i cui orridi hanno perfino ispirato la fantasia di Jules Verne. Oltre alla fantasia criminale di chi li utilizzò per fare pulizia etnica.
Ma andando oltre, la strada costiera che da Fiume scende costeggiando tutta la splendida Dalmazia corre parallela ad una tragica rotta che circa sessant’anni fa partiva da Buccari, porticciolo subito sotto Fiume, per raggiungere due isolette poste geograficamente tra l’isola di Veglia e quella di Arbe. Insignificanti allo sguardo turistico, questi due lembi di terra e di roccia sono stati invece i luoghi principali dell’”universo concentrazionario” jugoslavo.
Due gulag in mezzo all’Adriatico, come scrive appunto Giacomo Scotti, che ritorna con un suo terzo volume su Goli e San Gregorio, le due isolette che dal 1949 al 1955 sono state i luoghi della deportazione di migliaia di oppositori comunisti ma cominformisti. Cioè stalinisti quando Stalin, nel 1948, era divenuto ormai una minaccia per la neonata Jugoslavia titoista. Prigionieri che partivano appunto dal molo di Buccari: tra loro molti erano italiani, “monfalconesi” in particolare, cioè immigrati dall’Italia che volevano costruire il socialismo in Jugoslavia. Solo che, rimanendo legati all’ortodossia sovietica, cioè al comunismo divenuto “sbagliato”, conobbero l’inferno dei gulag adriatici.
Come s’è detto, Scotti ritorna con un terzo libro sull’argomento, dopo essere stato il primo autore, nel 1991, a svelare l’esistenza di questa realtà tragica. Ci torna per amore di completezza, dato che grazie a nuove testimonianze ed all’accessibilità dei documenti della polizia politica di allora (l’Udba) il quadro di quegli eventi terribili è divenuto più nitido.
Il contesto era quello di una Jugoslavia che stava divenendo la delicata terra di frontiera tra est e ovest nel momento in cui la guerra fredda lacerava il mondo. In cui si consumava anche la rottura del monolite comunista fino ad allora unito dall’indiscutibile fede a Mosca e a Stalin, il “padre dei popoli”. Con la conseguente paura degli jugoslavi di essere attaccati militarmente dall’Urss e dai suoi satelliti, peraltro confinanti. Mentre uomini del partito comunista italiano, fedeli a Mosca e guidati da Vittorio Vidali, secondo Scotti architettavano addirittura un attentato alla vita di Tito. Si comprende allora la determinazione ferrea di quest’ultimo e dei suoi di liquidare ad ogni costo la “quinta colonna” cominformista usando, paradossalmente, metodi di detenzione e di tortura di stampo nazista e stalinista.
Di chi fu la colpa? Di sicuro della durezza dei tempi, che imponevano scelte politiche ciniche e spietate. Ma anche degli uomini ovviamente, di uomini come Edvard Kardelj, all’epoca ministro degli Esteri, che organizzò il sistema repressivo. E Tito? Scotti riporta un'intervista di quest’ultimo circa la mancata assegnazione del Nobel per la pace proprio a causa di queste isole-lager, in cui afferma che Goli fu “la nostra vergogna” riconoscendo anche, de facto, la sua colpa nel non essersi perlomeno opposto efficacemente alle mostruosità della macchina repressiva.
Rimangono le vittime. O meglio, rimane la loro memoria, da onorare ricordandole come continua a fare Scotti con passione ed accuratezza da storico. Ma anche come dovrebbero fare coloro che, passando per la affollata Jadranska Magistrala, lambiscono i luoghi degli orrori partoriti dalla storia feroce del Novecento. Oggi, grazie a lavori come questo di Scotti, possiamo sapere. E ricordare, perché ricordare è un ottimo antidoto affinché orrori simili non si ripetano.