Krstina Blecic, la donna che lotta per riottenere la propria casa, ci scrive per raccontare la sua storia. I giudici di Strasburgo hanno considerato inammissibile il suo ricorso, ma la sua vicenda è simile a quella di migliaia di altre famiglie serbe, espulse dalla Croazia durante la guerra. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Krstina Blecic
L'8 marzo è la festa della donna, ma per me è stata una festa amara. Gli "auguri" mi sono arrivati dalla Corte Europea "per i diritti umani" di Strasburgo, la quale ha giudicato il mio ricorso inammissibile: "ratione temporis" sarebbe il termine giuridico, oppure, se si preferisce, il cavillo utilizzato per evitare di prendere una decisione.
Inammissibile perché, secondo i giudici di Strasburgo, la Croazia ha sottoscritto la Convenzione con la Corte Europea solo nel 1997, e quindi dopo l'inizio della controversia tra me e lo Stato croato, anche se la sentenza della Corte Costituzionale della Croazia (il più alto tribunale) è del 1999, dunque ben due anni dopo la firma della convenzione. Aggiungo che in paesi che a quel tempo non facevano parte della Convenzione, come la Bosnia ed Erzegovina e la Serbia, casi come il mio hanno avuto una risoluzione positiva.
Inammissibile anche se in una sentenza del 2000 la stessa Corte di Strasburgo, in un precedente grado di giudizio, aveva giudicato il caso ammissibile, entrando dunque nel merito della controversia.
Per quale motivo ora il caso diventa inammissibile? Quali sono le vere motivazioni di questa sentenza, come scacciare il forte dubbio di una sentenza politica?
Se neanche il Tribunale per i diritti umani difende i diritti più elementari come quello ad avere una casa e a vivere nel proprio paese, a chi dobbiamo rivolgerci?
Mi chiedo come si faccia a difendere la pulizia etnica e a dare ragione ad un paese che ha tolto con violenza tutto ad una persona sola e già allora anziana e malata solo perché non era di etnia croata, malgrado vivesse già da 40 anni in Croazia. Mi chiedo come si possa dare ragione a quelli che mi hanno cancellata dai libri dei cittadini croati, che non mi hanno dato la pensione né l'assistenza medica per ben tre anni, solo perché ero la vedova di un'ufficiale dell'esercito jugoslavo. Mi chiedo infine come sia possibile far passare altri 5 anni a Strasburgo per emettere una sentenza senza senso.
Provate ad immaginare che una sera, tornando a casa dal lavoro, trovaste la porta della vostra casa sbarrata, che qualcuno vi impedisse, e per sempre, di entrare, anche fosse soltanto per raccogliere le vostre cose, i vostri libri, le vostre fotografie, tutte le cose che vi appartengono e che gelosamente avete conservato per anni. La casa non è solo quattro pareti ed un tetto sotto il quale vivere, è parte della nostra storia personale; tutto questo a me è stato tolto, da un giorno all'altro, senza un valido motivo.
Vorrei sottolineare anche che nel 2004, mentre ero ancora in attesa di sentenza, la "mia" casa era già stata venduta e completamente stravolta nella sua architettura originaria. La Croazia era già allora così sicura di vincere la causa?
Una sentenza a me favorevole avrebbe dato speranza a 30.000 persone avvilite dalla mia stessa tragedia, che oggi vedono naufragare le loro residue illusioni di giustizia. Proprio qui forse stanno le motivazioni reali e profonde della sentenza: una soluzione favorevole del mio caso avrebbe costituito un precedente pericoloso per il governo croato, e ciò non poteva essere permesso. Ma se così fosse, ciò vorrebbe dire che la difesa dei diritti umani può essere sospesa per motivi opportunistici, lasciata da parte quando si tratta di difendere interessi costituiti, posizioni dominanti.
Che cosa rappresenta oggi questa Corte? Che credibilità può avere agli occhi della gente un Tribunale sostenitore di un paese che incarica un Lord inglese, avvocato di riconosciuto prestigio, di difenderlo legalmente contro una vecchietta pensionata e malata? Per ironia della sorte lo stesso Lord inglese è presidente della organizzazione Interights, che protegge i diritti umani. Ci dite a che gioco giochiamo?
In tutto questo c'è da dire che comunque il giudizio della Gran Camera non era unanime, 6 giudici su 17 erano contrari ed hanno sentito il bisogno di esprimere per iscritto il loro dissenso, e questo gli fa onore.
La dichiarazione della portavoce dei legali croati è stata piena di orgoglio per aver vinto la battaglia contro una vecchietta ottantenne, nullatenente, malata, derubata, definitivamente esiliata e privata di ogni diritto. Mi hanno accusata di aver voluto dare dimensione politica al caso mentre io ho semplicemente lottato per la mia casa e la mia vita. I legali croati ignorano che la stessa (non) decisione della Corte di Strasburgo ha creato un caso politico. È una delusione tremenda per 30.000 persone che in Croazia aspettavano la casa e il risarcimento, ma anche per tutta l'Europa. Come può un paese che ambisce ad entrare in Europa attuare una politica di discriminazione? Se un governo nel 21° secolo può togliere tutto (neanche uno spillo mi è stato permesso di prendere da casa mia, nemmeno nel 1997, e cioè a guerra finita) ad una persona e rimanere impunito significa che le parole sono inutili, che vince la prepotenza e la sopraffazione.
Mi dispiace solo morire dovendo cambiare idea sul mondo e gli uomini, io che ho sempre creduto fermamente nella umanità e nella giustizia. E che per questo ho dato un bel contributo in tanti anni nel mio paese, lavorando per la Croce Rossa 40 anni e aiutando il prossimo. Bel ringraziamento!
Mi danno speranza solamente quei sei giudici che hanno espresso fortemente il loro dissenso, mi danno speranza tutti quelli che in questi anni hanno lottato al mio fianco, come i miei legali, con coraggio e senza alcun compenso, mi dà speranza la mia famiglia che nemmeno per un istante ha smesso di sostenermi moralmente, a tutti loro va il mio ringraziamento.
Nella speranza di sopravvivere, in fede
Krstina Blecic
Vedi anche:
Croazia: il caso Blecic e il ritorno dei profughi
Il diritto al ritorno nella ex Jugoslavia: il caso Blecic contro Croazia