Una raccolta di scritti e pensieri lungo la frontiera fra Trieste e l'Istria. E lungo una vita di confine, fra impegno politico, attività culturale, vocazione ambientalista e amore per la propria terra. E' “Fughe e approdi”, di Marino Vocci. Nostra recensione
“Microcosmi” è il titolo significativo di un libro scritto da Claudio Magris sui suoi viaggi attorno a Trieste, spesso in Istria. E il microcosmo istriano è il vero protagonista anche delle pagine di “Fughe e approdi”, raccolta di testi e pensieri formulati da Marino Vocci negli ultimi quindici anni. Dentro quel microcosmo ci sta la grande storia, con le guerre mondiali, la tragedia dell'esodo, la cortina di ferro, l'esplosione jugoslava, lo spostamento dei confini e la riunificazione europea. Ma ci stanno allo stesso modo i piccoli racconti di vita, le passeggiate lungo le rive di Trieste o sulle montagne del Carso, le serate culturali a parlare di scrittori e poeti di confine. Oppure le incursioni in taverne e osterie, dove “come avviene di frequente nelle terre di confine e dai confini mobili, la cucina ha avuto la capacità di accogliere, adattare, accostare e rielaborare gli influssi provenienti da mondi diversi, quello slavo quello romanzo e quello tedesco”.
Marino Vocci di questo caleidoscopico microcosmo è un osservatore attento e appassionato. Lui stesso coinvolto in prima persona da molti passaggi storici su cui ragiona nel libro. Nato nel 1950 a Caldania, nell'Istria oggi croata, tra i primi ricordi di vita ha l'abbandono della casa e la partenza della sua famiglia per Trieste nel 1954. Non per niente apre così il libro, col racconto della prima fuga. E poi gli anni nel campo profughi di Opicina, la difficile integrazione: “Noi 'istriani sbagliati' eravamo considerati dei nemici e a Trieste dei traditori comunisti filotitini e amici dei s'ciavi e, in Istria, irredentisti fascisti taliani”.
Poi la vita di confine, l'impegno personale e politico in numerosi progetti di incontro e dialogo transfrontaliero, specie nel circolo culturale “Istria”. Perfino la partecipazione nel marzo 1990 al primo incontro della Dieta democratica istriana, forse l'unica forza politica non nazionalista emersa in Croazia subito dopo la deflagrazione jugoslava. Insieme alle fughe il libro racconta gli approdi, la lenta riscoperta delle radici e della propria terra, facilitata dalla fine della guerra fredda e dall'allentamento dei confini. “Cresceva in me il desiderio di conoscere di più e meglio l'Istria e la sua gente... l'archivio della mia memoria”.
Paralleli al grande tema dell'identità e della convivenza, altri argomenti scorrono nelle brevi cronache che compongono il testo. L'impegno sociale e politico di Vocci, dalla chiesa di base al sessantotto, al movimento verde, fino alla fascia tricolore come Sindaco del piccolo comune confinario di Duino Aurisina/Devin Nabrežina. Quello di giornalista culturale, orgoglioso della sua rubrica eno-gastronomica “La barca dei sapori” su TeleCapodistria. E quello ambientalista, con l'amore per il Carso e l'Alto Adriatico confluito negli oltre vent'anni di lavoro al Laboratorio di biologia marina di Trieste.
Scorrono anche volti e racconti di personaggi diversi, incontrati dall'autore nel corso del tempo. Alcuni noti anche nel resto d'Italia, come Fulvio Tomizza, Franco Basaglia o Alexander Langer. Altri più legati al microcosmo istro-giuliano, ad esempio il professor Diego de Castro o Fulvio Molinari, anima della tradizionale regata Barcolana, “un'occasione, veramente unica ed eccezionale, in cui centinaia di migliaia di persone, in barca ma soprattutto a terra, condividono insieme un momento di gioia su un palcoscenico naturale transfrontaliero”. Altri infine semplici amici o conoscenti, di cui Vocci racconta un tratto, un momento, un incontro: una famiglia mista, un gruppo musicale alternativo, il nonno Paolo...
E proprio quello intimo, personale, appare il registro più riuscito nei racconti. La tenerezza dello sguardo, la semplicità nel racconto di una passeggiata o di un tramonto. “Rivedere l'isola di Cherso è ogni volta come se fosse la prima (ormai trent'anni fa), rivivo la stessa grande emozione e la stessa gioia autentica, quasi fanciullesca”. L'autore ama raccontare di sé, e delle cose grandi o piccole che gli accadono accanto. Anche delle amarezze, come la delusione politica per non essere ricandidato a Sindaco. O l'incontro con quel contadino istriano che lo aggredisce perché ha raccolto da terra tre ciliegie del suo albero. “Avevo qualche lieve livido in diverse parti del corpo, ma soprattutto una grande e profonda ferita nell'anima. … quel giorno avevo scoperto il volto di un'Istria a me sino allora sconosciuta: il volto cattivo e intollerante dell'uomo di confine”.
Certo, a volte l'urgenza del raccontare sovrasta l'attenzione alla forma o la fluidità degli scritti. La parola è impreziosita da inserzioni dialettali e termini accurati per descrivere piante e animali, ma a tratti appesantita da ripetizioni o interruzioni. Qualcuno potrà trovare ingenui certi richiami al valore dell'amicizia, o alla bellezza poetica del paesaggio. Ma il senso del messaggio arriva tutto intero, e l'amore di Vocci per la sua terra è tale che il libro vale quasi un viaggio di persona fatto in Istria. Anzi, nelle parole dell'autore il libro raccoglie proprio “il viaggio di un vagabondo curioso vissuto in mezzo a lingue e culture diverse, tra il mare e la terra, tra il rovere e il leccio, tra ulivi e vigne di terra rossa e i prati verdi delle montagne; tra il canto delle cicale, dei merli e degli usignoli, tra le musiche di Bob Dylan, Guccini e De Gregori”. Un viaggio tra fughe e approdi, nella penisola che si può vedere “a forma di cuore”.