Un ex marito, l'isola di Veglia in Croazia, due donne, una delle quali ossessionata dall'altra. Una recensione di “L’isola del crollo” della scrittrice bulgara Ina Vălčanova, Premio Europeo per la Letteratura 2017
Gli scrittori balcanici, nelle loro opere narrative, danno sempre l’apparenza di muoversi in un mondo astratto. Invece è solo la loro chiave d’ingresso in una realtà che, pagina dopo pagina, si rivela multistrato, offrendo più letture dello stesso testo.
Prendiamo “L’isola del crollo” della scrittrice bulgara Ina Vălčanova, Premio Europeo per la Letteratura 2017, edito in Italia da Voland per la traduzione di Daniela Di Sora. All’inizio sembra la storia di una donna, Asja, che, quasi in dissidio col marito, lascia lui e il figlio a casa, per andarsene da sola, più di un mese, in vacanza in Croazia, sull’isola di Veglia, qui lasciata con il suo nome croato di Krk per la sola assonanza che il nome ha con la parola Krach, crollo, che, per ragioni narrative, dà il titolo al libro.
Scopriamo poi, quasi subito, che a Veglia sarà ospite dell’ex marito, Mišo, padre per altro del figlio di lei che porta lo stesso nome, Mišo piccolo. Mišo grande e la moglie tedesca Kris vivono in Germania e hanno una casa vacanze a Veglia. Un rapporto, quello tra Asja e Mišo grande, aperto, anche se con qualche punzecchiatura relativamente al figlio comune, Mišo piccolo, appunto, che il grande vede poco e se ne sta più col padre putativo, mentre lui lo vorrebbe con sé in Germania dove la qualità degli studi e l’opportunità di lavoro sono maggiori. Per il resto trascorrono una vacanza serena, Asja, appassionata di jogging, prima di tuffarsi nelle acque sempre gelide dell’isola va a correre con Kris, finché questa un giorno non si romperà un piede e, dopo un ricovero insoddisfacente presso l‘ospedale di Fiume, se ne dovrà tornare, per curarsi, in Germania, lasciando i due ex coniugi soli. Per un momento di debolezza i due saranno tentati da una approccio sessuale che ben presto, comunque, rientrerà, consumato com’è da ormai vecchie e superate frequentazioni.
Ora, è da tener presente che quanto accade a Veglia è inframmezzato, nel romanzo e con un carattere tipografico diverso, da un altro testo, che sposta, per così dire l’attenzione da quanto accade sull’isola a Sofia, in Bulgaria, dove un’altra donna, Radost, che scrive in prima persona, ci ricollega ad Asja per una sorta di fissazione della prima su quest’ultima. Radost, infatti, è una donna un po’ grassa, almeno per come percepisce lei il suo corpo, scontenta del proprio fisico che inutilmente sottopone a diete, al punto da vivere in lei la figura della bella e magra Asja come un modello. Prima che partisse per Veglia Radost non faceva altro che seguire Asja, seppur da lontano e con approcci ed espedienti vari di tipo comunque assimilabile a quello di uno stalker. Informazioni, inseguimenti, furto di indirizzi mail e del numero di cellulare, il tutto per una sorta di interpretazione astrale per cui Radost, appassionata di astrologia, vede in Asja una sorta di gemella, se non addirittura un’altra se stessa. Radost, infatti, per il fatto di essere nate entrambe lo stesso anno, lo stesso giorno e ora, ma con un mese di differenza, imputa a questa unica non coincidenza, la differenza delle due vite e figure, che altrimenti sarebbero simili. Per cui la poveretta avverte questo iato astrale come una sofferenza identitaria, un vuoto che lei cerca di colmare proprio attraverso la persecuzione di Asja. “Perché noi siamo una sorta di sorelle stellari” afferma Radost “Sembra un po’ complicato da spiegare, ma in realtà non lo è affatto. Noi due siamo nate lo stesso anno, nello stesso giorno e alla stessa ora, io però un mese dopo. Ecco perché lei è Sagittario ed io Capricorno. Questo ovviamente non significa che tutto il resto è uguale. Perché le cose si muovono. Quando dai al programma del computer il comando Transiti, tutti i pianeti cominciano a muoversi e a scorrere su e giù per lo schermo. (…) In un mese non soltanto il sole ma la maggior parte dei pianeti si sono spostati. (…) E così la sua Venere è in Bilancia, e la mia no.” E conclude: “Ho sempre pensato che in me ci fosse un errore iniziale, fin da bambina. E quando ho visto il suo oroscopo, ho capito di avere ragione. Sono nata un mese più tardi. Nello stesso anno, nello stesso giorno, alla stessa ora – ma un mese più tardi. Io potevo essere lei”.
Da qui la fissazione che la farà, in assenza di Asja – che dentro di sé Radost critica per il mese e mezzo di vacanza che si è presa – avvicinare alla famiglia di lei, al figlio e al marito, con conclusioni che lasciamo al lettore, mentre, lontano, Asja ormai rimasta sola in un’isola di inizio fine stagione e con pochi soldi in tasca per tornare a casa, rischia di fare il crollo, il Krach, che Radost aveva, dalle sue letture degli astri, presagito per lei. Ma se avverrà o non avverrà lasciamolo scoprire al lettore, al quale anticipiamo solo che le interpretazioni astrali di Radost si dimostreranno, in chiave beffarda, fallaci. Ma l’aspetto interessante del romanzo non è la preveggenza o meno di Radost, quanto l’invenzione dell’autrice di far navigare la storia su diverse rette parallele che, in realtà, non s’incontreranno mai, dando però, appunto, al lettore più storie, quasi raccolte tutte in un incrocio che offre al lettore l’illusione di una unica storia.