Viktor Ivancic

Il 16 giugno scorso usciva l'ultimo numero dello storico settimanale spalatino "Feral Tribune". I motivi della chiusura in questa intervista del settimanale sarajevese "Dani" al redattore responsabile del Feral, Viktor Ivančić. Nostra traduzione

21/07/2008 -  Anonymous User

Di Vildana Selimbegović, DANI, (titolo orig. «Nismo svi ista govna»)
Traduzione per Osservatorio Balcani: Maria Elena Franco

Veramente "La strada sotto ai piedi" è stato l'ultimo numero del Feral?

Sì, è stato l'ultimo.

Perfino i colleghi benintenzionati hanno rimproverato al Feral di non essersi impegnato a vendere pagine di pubblicità. Vorrei che riuscissimo a spiegare le modalità con cui il Feral è «morto di eutanasia»

Queste critiche dei benintenzionati in realtà non hanno fondamento. Ci può essere imputata la colpa di aver avuto poca agilità e incapacità in qualsiasi altra cosa, ma non nella ricerca degli annunci: per molti anni abbiamo pagato diverse agenzie di marketing affinché lo facessero per noi, abbiamo aumentato le provvigioni fino al 50% per ogni annuncio procacciato, ma il risultato è stato nullo... Il boicottaggio del Feral da parte dell'industria pubblicitaria è un fatto oggettivo, e il Feral di questo non ha colpa. Sì, il Feral è colpevole, ma per la sua politica di redazione, non per incapacità professionale.

È legittimo affermare che il Feral non ha adeguato la sua politica redazionale di «mercato», e per questo è fallito. Questo è evidente. Ma allo stesso modo è legittimo - se sappiamo qual è stata la politica gestionale del Feral - parlare delle caratteristiche di questo «mercato». Perché non ci si dovrebbe interrogare sul fatto che il «mercato» croato stabilisce criteri inviolabili? Io credo che questi criteri siano perversi e dannosi, in quanto generano un giornalismo castrato e servile, e le corporazioni dei media lo sostengono, per via del profitto e per danneggiare la concorrenza indipendente, costringendo i loro giornalisti a sottostare a tali regole di gioco senza opporre resistenza. Se il "mercato" del marketing fissa un cordone sanitario per un giornale che vende 13-14 mila copie alla settimana, perché affronta temi che sono politicamente scomodi e non c'è rispetto nei confronti delle lobby dei nuovi ricchi - allora io qui vedo un modo di agire da Commissariato, non di standard liberali. Capiamoci, a me non importa nulla degli annunci. Preferisco i giornali che non ne hanno. Solamente pongo l'attenzione - invano, lo so - sulla tendenza generale che è già giunta ad un punto tale per cui il giornalismo diventa un volgare imballaggio di annunci. Non riuscirete a leggere in un giornale croato qualcosa che non sia un elogio, ad esempio, dei proprietari di «Agrokor» o «T-com», o di tutta una serie di altri «soggetti», perché senza le loro pubblicità i giornali non possono sopravvivere. Così il «mercato», dietro la maschera di un falso liberalismo, restringe continuamente lo spazio alla libertà. La censura diventa capillare, e si capisce che è semplicemente necessario accettarla, perché se non lo fai ti scaverai la fossa da solo e sarai sconfitto di fronte al «mercato». In realtà si tratta del più semplice dei racket trasposto nel sistema.

Forse anche a causa della sua lunga agonia sembra che quest'estate il Feral si sia spento sotto voce - sono mancate le reazioni, sia dei media che delle diverse associazioni e difensori dei diritti umani, per i quali proprio il Feral rappresentava un rifugio, dal momento che per anni ha dato loro la possibilità di far sentire la propria voce. Perché ?

L'ultimo numero del Feral Tribune

È vero, questa volta noi non ci siamo sforzati di fare chiasso, anzi, abbiamo deciso di chiudere l'ultima pagina e andarcene, mettendo a tacere tutti, come si dice. Tutto ciò che dovevamo dire l'abbiamo scritto nel nostro testo di accomiato sul Feral. Perfino questa intervista è un «di più» che faccio un po' contro voglia. Per quanto riguarda i media, non sono più così ingenuo da non riconoscere i «programmi» e le «strategie». Le pubblicazioni EPH Europapress holding, ad esempio, guidata dallo "Jutarnji List" - che comprende il 60% della stampa del paese - non solo hanno boicottato qualsiasi racconto sul Feral, ma non hanno nemmeno dato la notizia che il Feral non sarebbe più uscito, così come la mancata reazione dell'Associazione dei giornalisti croati sulla chiusura del Feral. Non dare la notizia sulla fine della pubblicazione del Feral è infine poco professionale - dal punto di vista del nostro mestiere perfino imperdonabile - ma è evidente che esistono delle ragioni che sono più importanti della professione, e che la professione serve solo per soddisfare queste ragioni più alte, e così in sostanza ha lavorato alla sua autodistruzione.

Con questo piccolo esempio, per me assolutamente poco importante, si vede bene il sistematico utilizzo della censura. È sempre più frequente che i giornali non si redigano nelle redazioni, a cui è stata tolta qualsiasi autonomia, ma nei centri corporativi del potere, a loro volta collegati con i loro partner politici ed economici. I mezzi di comunicazione non sono qui per informare veramente o, Dio ci guardi, per essere criticamente almeno un po' scomodi, ma per produrre l'«opinione pubblica», o l'appetibile «umore della società», combinando metodi di riduzione radicale e pura propaganda. È sempre meno necessaria la forza politica, per raggiungere ciò è sufficiente l'abuso del «mercato» e della proprietà privata, e i risultati sono molto più evidenti. Žižek lo definirebbe "violenza invisibile".

Temo che la maggior parte delle organizzazioni non governative sia in una situazione del tutto simile a quella del Feral, e in base a ciò, la loro presenza in "pubblico" dipende sempre meno da loro. Qui si è anche arrivati a significative ridistribuzioni. Il Comitato di Helsinki croato, per esempio, funziona già da molto tempo come singolare succursale del governo, organo parastatale per l'attività dell'abbellimento sociale, mentre il Comitato cittadino per i diritti umani - che ha sempre agito in modo più concreto e di successo rispetto al Comitato di Helsinki - d'ufficio è messo ai margini.

Se non sbaglio, sembra che la fine del Feral fosse attesa con un certo sollievo, e questo da parte dell'intero spettro politico - da destra a sinistra...

Credo che abbia ragione. Questo cavallo alla fine è morto, e in qualche modo si respira più facilmente. Se fosse morto dieci anni fa sarebbe stato ancora meglio, e ugualmente si sarebbe sentito uno certo sollievo. La verità è che il Feral e la Croazia non sono mai andati d'amore e d'accordo. Siamo esistiti solo perché creiamo problemi e parliamo di cose che la maggior parte vuole mettere a tacere. Per fortuna non abbiamo fatto questo giornale per interessi nazionali, ma per il nostro interesse e dei nostri lettori. Così chi a perderci sarà solo un limitato gruppo di persone. In generale, non dubito che la vita in Croazia sarà più confortevole e piacevole senza Feral: si vive sempre meglio quando si sa meno.

Nell'introduzione in cui voi del Feral vi siete accomiatati dai lettori è stata fatta una chiara analisi dei rapporti tra i pubblicitari, le oligarchie di governo e le politiche di redazione: tutto sottostà al diktat della politica. Si tratta solo di un problema dei paesi in transizione o di un trend generale?

Il trend è generale, ovvio, non c'è alcun dubbio che al mondo - almeno nella sua parte occidentale - governi l'ideologia dello status quo e che i media siano i principali produttori di questi prodotti ideologici. Ciò significa conservare e promuovere il valore del capitalismo liberale come "il migliore di tutti i mondi", e seguire la messa in scena dei presunti "cambiamenti" che di fatto simulano la fede collettiva nel "progresso" e la "riparazione della situazione"; e infine è brutto porre domande radicali e mettere in discussione il sistema. Tutto ciò che è fuori dall'assoluta lealtà al vigente sistema neoliberale è ritenuto politicamente scorretto e odioso. I media si rivolgono sempre di più ai consumatori e sempre meno ai cittadini, in quanto l'intenzione è che i cittadini si trasformino il più possibile in consumatori, ovvero nella classe che sarà corrotta con false possibilità di scelta e di fiducia in una vita più confortevole.

La transizione, invece, ha le sue irresistibili particolarità, e queste si notano soprattutto nella mancanza di scrupoli. Lì dove in Occidente interviene la chirurgia, qui si lavora con l'accetta. Le democrazie occidentali stabiliscono enormi infrastrutture per attuare e "scagionare" nella maniera più scrupolosa il dominio di gruppi politici ed economici, e al contempo è possibile che tali infrastrutture vengano loro in mente, perché è necessario almeno rispettare le regole del gioco. Qui non ci sono tali riferimenti. Qui l'associazione di potere politico, economico e dell'informazione si realizza in organizzazioni criminali nel senso più classico di queste parole. Con le stesse manovre e lealtà reciproche vincono le elezioni parlamentari, ricomprano terreni edificabili e vendono patate geneticamente modificate.

Oltre a questo, nei piccoli paesi in transizione si superano i limiti. I "mercati" funzionano sulla base del principio o tutto o niente, non è riservato nemmeno un ghetto per un'alternativa, e al contempo questi "mercati" sono talmente piccoli che si possono completamente distruggere davvero in poco tempo. Nei grandi mercati si mantiene ancora la tradizione della buona scrittura e dei cosiddetti giornali seri che non hanno una finalità solamente commerciale e di divertimento, se non in alcune enclave limitate. Qui, invece, si mette in pratica lo sfratto generale della ragione dal giornalismo, alla radice e urgentemente. La voracità è il carburante combustibile della transizione e a nessuno importa cosa resterà quando nella generale devastazione si consumerà la sostanza della materia, ciò che noi chiamiamo autenticità. Forse questo è pretenzioso e patetico, ma davvero penso che la fine del Feral sia più triste come sintomo piuttosto che come fatto stesso della scomparsa di un giornale.

Lo scorso anno per salvare il Feral si adoperò anche il capo del governo croato Ivo Sanader. Quest'estate sulle pagine del Nacional glielo si è seriamente rinfacciato insieme all'intera lista di accuse sul suo conto, sulla caporedattore Heni Erceg e sul direttore del giornale per "appropriazione indebita" , come ha insinuato il redattore di Slobodna Bosna, l'equivalente del Nacional a Sarajevo. Quali appartamenti possedete?

Io e mia moglie abbiamo un appartamento di 60mq a Spalato e uno di 53mq a Zagabria. Quello di Spalato è un appartamento sociale, ottenuto ancora durante il socialismo, poi lo abbiamo riscattato. Rispetto a 20 anni fa, quindi, siamo più "ricchi" di questi 53 mq di Zagabria.

Ho superato cose decisamente peggiori nella mia vita, e l'attacco del Nacional personalmente non mi ha sorpreso, e conosco bene la mentalità da avvoltoi di cui in Croazia si ha pedante cura. Per molti il Feral è stato una spina nell'occhio, sia a destra che a sinistra, e in particolare per i giornalisti perché in un periodo significativo è servito come specchio delle loro puttanate. Il tentativo di screditarci moralmente - e questo con sporchi inganni, nel momento in cui abbiamo chiuso il giornale - ha quel noto significato patriottico: "Ecco, vedete che eravamo tutti la stessa merda!" Ma non lo siamo, maledizione, eravamo una merda completamente differente. Come se fosse semplice essere un escremento come Pukanić o Avdić. Al Nacional, comunque, ho mandato la risposta, ma loro - tipicamente vigliacchi - non l'hanno voluta pubblicare, e propongo a "Dani"che lo faccia.

Ci sono possibilità per il giornalismo indipendente dalle nostre parti? Dove? Da anni la stampa è stata portatrice di sconquassati temi tabù: potrà essere così anche più avanti?

Il giornalismo sta diventando sempre più un'attività di produzione di divertimento, cambiano anche i suoi scopi e le sue regole: tutto è più superficiale, più ottimistico, sempre più privo di criticità, e nell'attività c'è un rapporto abbastanza irrispettoso nei confronti dei fatti, che un tempo erano considerati "cose sacre". Il solo fatto di "informare" presuppone una presentazione quotidiana ai lettori sotto il fuoco di sbarramento delle sensazioni, di cui nessuna ha la priorità, e la maggior parte sono mera costruzione degli stessi media. I maghi delle compagnie dei media predicano "un prodotto di contenuti" in cui prima di tutto bisogna riconoscere la negazione della paternità, e il "contenuto" risulta come un chicco di granturco o una crema di cioccolato alle nocciole: facilmente digeribile, gustoso per il palato, ma del tutto facoltativo. Visto che si cerca la quantità, si impegna una forza lavoro economica, con un alfabetismo che ora è già spaventosamente basso. L'intera storia diventa molto, molto economica. Ciò che nel vecchio stile si chiamava "impegno" ora è diventato sgradito, ma ben celato, e l'odierno ruolo del giornalismo si potrebbe meglio definire - usando la stessa lingua vetusta - reazionario.

Non sono proprio sicuro che il giornalismo cambierà - non in meglio - in base al carattere dei soli media. Mi sembra che sia fondamentale l'intenzione, non la tecnologia che la mette in pratica. Invece, ci saranno sempre coloro che sanno scrivere e coloro che sanno leggere. Questi troveranno canali di comunicazione tra di loro, solo che sarà probabilmente fuori dalle correnti principali. E questo è forse un bene.

La Croazia è ad un numero infinito di passi davanti alla Bosnia Erzegovina: come si vede dalla Croazia la disperazione politica bosniaca?

Non vedo la Croazia di oggi tanto migliore rispetto alla Bosnia Erzegovina. Semplicemente la Croazia usa un trucco di qualità, i suoi cittadini hanno in percentuale una paga un po' più alta. La Croazia coltiva l'illusione della sua importanza e qualità, e questo è proprio l'essenza della politica imperante. Tutto ciò che abbiamo è il marketing al potere, è quindi logico che i media, quelli obbedienti, siano straordinariamente importanti per la politica. Ma quando un dichiarato neofascista tiene un concerto nella piazza principale di Zagabria, e persino con l'organizzazione del governo, allora la Bosnia Erzegovina mi sembra un paese in cui vale la pena immigrare.

Cosa farà ora, di cosa si occuperà e di cosa vivrà Viktor Ivančić e i suoi colleghi del Feral?

Davvero non lo so. Visto che non ho un'età per riqualificarmi, probabilmente sarò condannato a scrivere.