La Croazia è il ventottesimo membro dell'Unione europea. Un cammino lungo che ha obbligato il paese a grandi riforme per raggiungere l'obiettivo tanto anelato. Seppur molte questioni rimangano irrisolte, ieri è stata una giornata di festa. Da Zagabria, il reportage della nostra inviata
“Ventottesimo. Ritorno in Europa, avanti con l’Europa”. È la prima pagina del settimanale croato Globus, uscito venerdì scorso, che ha dedicato l’inserto centrale alla “nascita dell’Europa, dalla paura, dal caos, dalla fame e dall’odio”, nel secondo dopoguerra. Un racconto che si snoda tra immagini in bianco e nero di archivio e ricostruzione storica altrettanto in chiaro-scuro. È lo specchio dell’atmosfera respirata in Croazia nei giorni del conto alla rovescia verso il varco europeo. Fino a ieri. Le ore di celebrazione tenutesi nella capitale sono riuscite – almeno per un giorno - a trasformare le ombre in luci colorate, balli, canti e applausi decisi ai discorsi ufficiali.
Rabbia e felicità, orgoglio e attesa
Mercoledì, 26 giugno. Tecnici e operai hanno cominciato a montare palchi, gradinate e strutture di illuminazione nell'ampia piazza ban Josip Jelačić dove il 30 giugno si terrà la maestosa celebrazione per l’ingresso in Ue. In una pausa, un ragazzo si rivolge innervosito a un compagno di lavoro e commenta: “Festeggiamo e spendiamo alla grande, però non abbiamo da mangiare!”. Dalibor mi racconta che ha 26 anni e più volte è stato all’estero per lavori stagionali o per periodi di studio. Ma poi è sempre tornato in Croazia dai genitori, per lo scadere dei permessi di lavoro o perché non riusciva a mantenersi. Il suo malumore è quello sentito più volte in questi giorni, in strada come sui giornali. Le cifre ufficiali della spesa stanziata per le celebrazioni è di 740mila euro. Comprensibile la reazione di Dalibor, considerato che nella fascia dei giovani tra i 19 e i 29 anni di età la disoccupazione ha superato il 40%.
Mirjana lavora mezza giornata in uno dei bar dello struscio serale, la via Tkalčićeva che si arrampica verso la città alta. Dice di essere felice: “Perché finalmente potrò andare in altri paesi dell’Unione, a specializzarmi in terapie naturali che qui non esistono, senza dover fare montagne di carte e permessi”. Certo, aggiunge, il rischio è che molti facciano come lei e che la Croazia si svuoti. Però, aggiunge, sarà una soddisfazione poter dire che il suo paese è in Ue: “Mi ferisce sempre, quando vado all’estero, incontrare persone il cui immaginario sulla Croazia è rimasto al tempo della guerra… come se da allora il paese fosse rimasto fermo. Invece siamo cambiati e riusciti ad entrare in Unione europea”.
L’obiettivo da raggiungere ha spinto la Croazia, obbligata a rispondere alle richieste dell’UE, ad avviare molteplici riforme. L’orgoglio per essere riusciti a concludere il cammino tortuoso e difficile verso questo primo luglio, è emerso dalle parole del presidente Ivo Josipović, intervistato da Osservatorio nella sua residenza di Pantovčak. Un giovane paese, dice, che ha fatto grandi passi avanti in molti campi, da quello istituzionale a quello dei diritti umani e delle minoranze, fino al settore culturale, sportivo, scientifico e, nonostante la crisi, nel settore economico.
Milorad Pupovac, deputato del SDSS (Partito Democratico Indipendente Serbo) nonché leader della comunità serba di Croazia, esprime invece preoccupazione e attesa: “La Croazia non ha motivi per festeggiare. La situazione nel nostro paese, come nell’UE, non è rosea. Abbiamo migliorato molte cose, ne abbiamo avviato di nuove ma altre sono peggiorate, come la situazione economica. Inoltre, la Croazia ha al suo interno ancora molto da risolvere”. Nonostante negli ultimi nove anni sia stato fatto molto sul piano dei diritti di tutte le minoranze e si siano cercate soluzioni ai problemi del rientro dei profughi e degli sfollati, ricorda alcune delle questioni irrisolte: “Ad esempio, la non imparzialità dei giudici nel trattamento degli imputati serbi nei processi per crimini di guerra. Oppure, la lentezza con cui vengono restituiti gli appartamenti e le case in cui vivevano i serbi prima della guerra”.
Dopo il primo luglio?
“Cosa succederà da lunedì? Non mi aspetto grandi cambiamenti perché negli ultimi dieci anni è già accaduto abbastanza. Si dovrà semmai vedere come riusciremo a mantenere le promesse di stabilità fatte all’Ue”, dichiara Tomislav Domes di Pravo na Grad (Diritto alla città), una rete di associazioni culturali giovanili che da anni lotta contro lo sfruttamento economico degli spazi pubblici da parte del comune. Secondo Domes il sistema di corruzione in Croazia è stato smantellato in buona parte. Ma comunque la soluzione sta alla radice: è necessario un cambio culturale e di mentalità. “A livelli bassi e intermedi accade che chi ha un po’ di potere lo usa per inserire proprie conoscenze dentro le amministrazioni, o distribuire i fondi pubblici in base agli equilibri politici che ha costruito attorno a sé”, spiega Domes.
Mirela Holy, dal 21 giugno scorso deputata indipendente dopo essere stata 14 anni nell’SDP, il partito socialdemocratico di cui è segretario il premier croato Zoran Milanović, mi riceve nel salone bar del Sabor, il parlamento di Zagabria. Ritiene che il sistema di cui parla Domes è facilitato anche dalle paghe troppo basse dei quadri intermedi delle amministrazioni pubbliche che li rendono “corruttibili per necessità”. Capelli nerissimi a caschetto, giubbotto di pelle e camicia bianca, prosegue: “Entrare in Unione europea porterà sicuramente degli aspetti positivi”. Si occupa da anni di ambiente e sta lottando per le riforme ad esso dedicate, come la regolamentazione della gestione dei parchi nazionali e delle aree protette che in Croazia sono ben 19. “Ritengo che l’ingresso ci spingerà per forza a rivedere tutto il sistema di gestione e di tutela dell’ambiente; avremo di fronte una sentinella che ci ricorderà direttive e norme da rispettare”.
Nei bar, nei negozi, per strada, il leitmotiv è quasi sempre lo stesso. La recessione qui è già iniziata cinque anni fa e l’Europa non è in buona salute. C’è la paura di fare un passo verso il baratro: “La Slovenia stava benissimo e ora ha visto come sta?” mi dice paonazza Zora, donna di 50 anni che lavora in una panetteria della Gajeva, strada a 500 metri da piazza Jelačić: “Provi a immaginare noi, che siamo già straccioni, a confronto! L’Iva è già al 25%, se me la alzano ancora non vendo più”, conclude con voce acuta.
Le previsioni del tassista che la mattina di ieri mi ha portato al cimitero di Mirogoj, prima tappa delle celebrazioni, sono dello stesso tono. “Sarà un disastro, glielo dico io. Noi siamo piccoli, solo quattro milioni contro i 200 milioni di Germania, Francia e Gran Bretagna messi insieme. Quanto potranno pesare 12 miseri deputati croati?”. Mentre chiacchieriamo scopro che ha combattuto nella Domovinski rat (Guerra patriottica). Prima di farmi scendere si gira e mi dice: “Ho combattuto per rendere libero il mio paese e ora dovremo fare tutto quello che dirà la Merkel…”..
Dopo il primo luglio rimangono ancora da proseguire la riforma della giustizia, la lotta alla corruzione e il processo di riconciliazione con i paesi vicini. Un processo che ha fatto passi da gigante e che, per voce delle alte rappresentanze politiche del paese quali il presidente Josipović, il premier Milanović e la vicepremier - nonché ministra degli Esteri - Vesna Pusić, la Croazia continuerà a fare sostenendo politicamente e tecnicamente i paesi vicini affinché entrino quanto prima in Unione europea. Una casa comune che per essi incarna il raggiungimento di stabilità e pace duratura.
Celebrazioni “HR, EU.”
Domenica 30 giugno, ore dieci. Mentre all’aeroporto cominciano ad arrivare i primi aerei di capi di stato e premier, il programma prevede la posa di corone di fiori in memoria dei “Combattenti caduti nella Guerra patriottica” sotto all’alta croce d’oro eretta nel cimitero di Mirogoj. Tra i dieci giornalisti presenti sono l’unica straniera. L’operazione, con la presenza del premier Milanović e del ministro della Difesa, dell’Interno e del ministero per i Combattenti, è durata così poco da sembrare furtiva. Posa delle corone, spari in cielo della Guardia nazionale e poi via, ritorno all’ingresso a rilasciare interviste alla Tv nazionale. Torno dopo poco nei pressi della croce per leggere i nomi e le date dei sepolti: tutti morti tra fine giugno 1991 e dicembre 1992. Si avvicina una donna con due bimbi di circa 3 e 5 anni. Aveva aspettato in lontananza che i riflettori si spegnessero. Posa fiori sulla tomba di B.P., nato nel 1960, morto il 27 settembre del 1991. I bambini dicono “Nonna, mettiamo i fiori al nonno e poi ci fai giocare là in mezzo agli alberi?”.
Sono bambini che guardano a oggi e domani, non a ieri. E così anche le ragazze e i ragazzi che da giovedì a sabato sera ho visto sottoporsi con diligenza a prove estenuanti sui quattro palchi della piazza Jelačić, accanto alla generazione che del conflitto di vent’anni fa porta ancora il ricordo. Ieri sera hanno tutti dato il meglio di sé, sul palcoscenico di una maestosa e riuscita operazione di immagine di un paese che ha voluto mostrare che è capace di grandi cose.
Con il tempo, negli spettatori sbiadiranno le parole sentite nei discorsi ufficiali, per quanto applauditi, della troika europea Barroso, Van Rompuy e Schultz. Sono migliaia di cittadini e cittadine che, per essere presenti, hanno sfidato lunghe code per superare gli stretti cordoni di sicurezza e i controlli con i metal detector. Per vedere e ricordare ciò che sarà il simbolo dell'ingresso in Unione: la tenacia, la preparazione e la passione riposti nei balli tradizionali e moderni, nella musica classica e rock e nei magnifici canti, di nuovi cittadini europei.
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