Ogni 5 agosto in Croazia si celebra il "colpo finale" della cosiddetta Guerra patriottica. A distanza di 24 anni purtroppo c'è ancora strumentalizzazione delle vittime, numeri delle vittime discordanti e poca giustizia
Oggi a Knin la Croazia celebrerà l’Operazione militare Oluja (Tempesta) con la quale il 5 agosto del 1995 l’esercito riprese il controllo della Krajina, fascia di territorio che abbraccia il confine orientale del paese con la Bosnia Erzegovina, allora abitato in maggioranza da serbi di Croazia. Un territorio dove nel 1990 era stata autoproclamata la cosiddetta Republika Srpska di Krajina e che dal 1991 divenne roccaforte dei serbi ribelli che, con l’aiuto dell’Armata popolare jugoslava e delle unità paramilitari provenienti dalla Serbia, crearono all’interno della Croazia uno stato dentro lo stato, perpetrando crimini e la cacciata dei croati residenti.
Iniziata alle 5 del mattino del 4 agosto 1995 con il bombardamento di Knin - dove le truppe entrarono il giorno successivo - in pochi giorni i militari croati ripresero il controllo dell’intero territorio. L'azione lampo è raccontata con enfasi nel documentario "VRO Oluja " - premiato al Festival 'Eserciti e popoli' tenutosi a Bracciano: "Già il secondo giorno la maggior parte delle città era libera. In sole 84 ore, con l'impegno di 200mila soldati, più di 10 km² del territorio è stato liberato!". Nessuna menzione delle centinaia di vittime, ma anche dell’esodo di circa 200mila serbi di Croazia dei quali solo poche migliaia rientrarono a fine conflitto.
Da 24 anni Oluja viene celebrata in Croazia in pompa magna, perseguendo la retorica da vincitore e senza riferimento alle vittime civili serbe, come colpo conclusivo della vittoriosa “Domovinski rat” (Guerra patriottica”). In parallelo, in Serbia, dove si era rifugiato il maggior numero dei serbi di Croazia, si celebra una giornata di lutto. Così è accaduto ieri, con la manifestazione nazionale "Oluja è pogrom " sulla spianata del Monastero di Krušedol.
Vittime strumentalizzate
Le vittime di quell'operazione sono, di nuovo, assenti nelle dichiarazioni rilasciate il 1° agosto scorso dalla presidente croata Kolinda Grabar-Kitarović. Anzi, la presidente ha definito l’operazione Oluja una pietra miliare che ha segnato l’arrivo della pace, ribadendo inoltre che le operazioni militari dell'esercito croato in Bosnia Erzegovina hanno interrotto l’aggressione serba ed evitato una nuova Srebrenica. “Di fatto, Oluja ha salvato la Bosnia e vorrei che i nostri vicini non si dimentichino mai di chi ha dato loro una mano nei giorni più duri”, ha concluso la presidente croata, provocando immediate e dure reazioni in Bosnia.
Ad alimentare il discorso nazionalista, sulla pelle delle vittime, non è stato da meno Milorad Dodik - rappresentante serbo alla presidenza tripartita della BiH. Presente alla giornata di Krušedol, accanto al presidente Vučić e alla premier serba Brnabić, ha dichiarato: "Il secolo passato è stato il secolo della tragedia serba (...) e la libertà del popolo serbo dipende dalla costruzione di un unico stato".
A distanza di 24 anni molti si dimenticano invece ciò che ha ricordato Milorad Pupovac, deputato del Sabor e presidente del Partito democratico indipendente serbo (SDSS ), alla Tv N1 : “Non vi sono cambiamenti significativi, il problema maggiore è rimasto quello dell’assenza di procedimenti legali per i crimini di guerra e l’esodo forzato di quei giorni, la distruzione dei villaggi e il saccheggio delle proprietà, oltre che l’impedimento al ritorno. E il problema maggiore per i serbi di Croazia è il fatto che non vi sono visibili intenzioni di risolvere questi problemi”.
Infatti, solo una minima percentuale della minoranza serba è rientrata a vivere in Croazia. Nell’anno dell’ingresso del paese nell'UE, avevamo intervistato Pupovac: “Dai dati in nostro possesso risulta che sono tornate a vivere nelle loro case 136.000 persone. Questo è vero sulla carta, ma nella realtà il numero è di 70.000, quindi circa la metà, su un totale di oltre 300.000 tra profughi e sfollati, di cui la maggior parte dalla Krajina a causa dell'operazione Tempesta. Secondo il censimento del 2011, risulta che oggi in Croazia ci sono 186.000 persone della minoranza serba e cioè il 4,6 per cento sul totale della popolazione. Mentre prima della guerra erano 600.000.”
Rispetto al territorio della Krajina, sono in maggioranza anziani e in numero molto basso. C’è chi rientrato ha vissuto situazioni di terrore e minaccia, soprattutto nei primi anni dalla fine del conflitto. Un gran numero ha incontrato difficoltà a riprendere possesso della proprietà, e chi ci è riuscito non ha ottenuto, o solo in parte, i fondi per ricostruirla. Dopodiché c’è anche chi l’ha venduta agli occupanti, in gran parte croati di Bosnia fuggiti dalla guerra scoppiata nel 1992 e accolti nei campi profughi in Croazia, qui spostati a seguito dell’esodo dei serbi dell’agosto ‘95. Infine, dopo anni e anni di attesa e di vita all’estero, parecchi non hanno voluto rientrare in un territorio con grossi problemi infrastrutturali ed economici.
Guerra dei numeri
A distanza di 24 anni prosegue inoltre quella che possiamo definire la “guerra dei numeri”: infatti, rispetto alle vittime civili serbe durante (e dopo) l’Operazione Oluja si parla ancora di stime (non essendoci un numero ufficiale sia dei morti che degli scomparsi) che divergono di molto a seconda delle parti in causa.
Stime che permettono alle parti di proseguire da vent’anni ad aumentare o diminuire il numero delle vittime a seconda delle necessità del momento. Lo ha spiegato bene Aleksandar Sekulović, autore del capitolo "Srpso-hrvatske kotroverze – Šta je bila 'Oluja' " (Le controversie serbo-croate. Cosa è stato Oluja), della rivista del Comitato Helsinki per i diritti umani di Belgrado uscita a ottobre 2012, in cui ha analizzato metodi e motivi del "gioco" delle parti sui numeri. “In una situazione dove sarebbe necessario raccogliere finalmente dati incontrovertibili, visto che Human Rights Watch stima 116 tra le vittime civili (…) mentre il Comitato Helsinki croato ne stima molti di più, 681, e allo stesso tempo fonti serbe ne dichiarano 1205, per fermare questo brutale gioco che sia la Serbia che la Croazia fanno sulla pelle delle vittime”.
A proposito di fonti serbe, l’unica organizzazione che finora ha pubblicato, nel 2014, una lista “Vittime civili e militari serbe durante Oluja” – con nomi e cognomi, nome del padre, data di nascita, data e luogo di uccisione/sparizione di 1719 persone - è il Centro di documentazione e informazione Veritas di Belgrado.
Abbiamo elaborato solo i dati dei civili (1070) in base a sesso, data di morte ed età. Ne è emerso che: 475 sono donne, 595 uomini; nel periodo 4-8 agosto 1995 le vittime risultano 835 (376 donne e 459 uomini), rappresentando rispettivamente il 79,16% e il 77,14% sul totale dei civili in lista, dove sono inserite persone morte anche in giorni successivi a Oluja. Sempre nel periodo 4-8 agosto, il numero più alto di vittime lo si ha nella fascia di età dai sessant’anni in su (615).
Trattasi tuttavia di una fonte "di parte" e che necessita di riscontro. Ecco perché la "Mappa delle vittime delle guerre 1991-2001 sul territorio della ex Jugoslavia " presentata a Dubrovnik lo scorso 20 dicembre , è di estrema importanza. Un’iniziativa nata nell’ambito della coalizione REKOM e che si basa sulla collaborazione tra enti che da anni raccolgono dati: "Documenta - Centro per il confronto con il passato" ("Documenta – Centar za suočavanje s prošlošću"), "Fond za humanitarno pravo" (Centro per il diritto umanitario) di Belgrado e di Pristina, "Associazione per la giustizia, la responsabilità e la memoria di transizione " ("Udruženja Tranzicijska pravda, odgovornost i sjećanje") di Sarajevo. Il lavoro è complesso e richiede l’incrocio di informazioni tra questi enti, ma anche con enti governativi e altre realtà della società civile.
Crimini e processi
Un terzo punto, molto importante, è il mancato riconoscimento di giustizia alle vittime di quei giorni, e dunque il problema dei crimini di guerra rimasti di fatto impuniti.
A novembre 2012 il nostro corrispondente dalla Croazia, Drago Hedl, alla notizia dell’assoluzione in appello da parte del Tribunale dell’Aja dall’accusa di crimini di guerra dei due generali dell’esercito croato, Ante Gotovina e Mladen Markač – condannati nel 2011 in primo grado rispettivamente a 24 e 18 anni di carcere - scriveva: “Ora sono ufficialmente diventati ciò che per la maggior parte dei cittadini croati erano già prima della sentenza d'appello: eroi e non criminali. La notizia della liberazione dei due generali, ha suscitato un grande entusiasmo in Croazia. Prima di tutto per la sentenza di assoluzione, poi per la sua motivazione: non c’è stata associazione di impresa criminale, non c’è stata deportazione degli abitanti di nazionalità serba, non c’è stato eccessivo bombardamento di Knin”.
Questa sentenza ha gettato un’ombra sul forte valore politico delle parole pronunciate nell’ottobre 2010 dall’allora presidente croato Ivo Josipović, alla posa del primo monumento in memoria delle vittime civili serbe durante Oluja, nel villaggio di Varivode: “La vendetta, il saccheggio e il crimine è inammissibile e non possiamo pulire il sangue versato, né lavare la vergogna per ciò che è stato fatto. La Croazia era vittima di un’aggressione e aveva il diritto di difendersi, ma questo crimine non doveva accadere. La responsabilità dei perpetratori non deve essere messa in discussione: vanno condannati”.
In Croazia continua ad esserci chi lavora per assicurare verità e giustizia, come Documenta di Zagabria: oltre a raccogliere dati e per creare un database sulle vittime civili dei conflitti degli anni '90, offre assistenza legale ai familiari nei procedimenti per crimini o per la restituzione dei beni, e realizza percorsi di confronto con il passato.
Tra i tanti, vale citare il caso di due dei nove anziani serbi uccisi a Varivode il 28 settembre 1995, genitori di Jovo Berić che in un’intervista dell’estate del 2012 aveva sottolineato: “Hanno fatto molto di più le parole di Josipović nel far prendere coscienza pubblica dei crimini perpetrati durante e dopo Oluja, della condanna in primo grado emessa dal Tribunale dell’Aja a carico dei due generali”.
Jovo, assieme alla sorella, ha cercato giustizia per anni. I genitori Radivoje e Marija Berić erano stati uccisi di notte nelle loro case da un gruppo di soldati, ad oggi non si sa se regolari o meno. I corpi erano stati seppelliti nella fossa comune del cimitero di Knin e solo nel 2001 sono stati esumati per l’identificazione. Per l’uccisione dei nove anziani, tutti serbi di Croazia, sono stati portati a processo sei militari, poi assolti. Le indagini sono state riaperte a carico di ignoti presso il Tribunale di Šibenik e in seguito, la Corte suprema croata ha sentenziato che la Repubblica di Croazia è responsabile della morte dei nove serbi del villaggio di Varivode, dichiarando: “Due mesi dopo la fine dell’operazione Tempesta, è stato perpetrato un atto di terrorismo contro civili serbi di Varivode, con l’intento di seminare il terrore e diffondere sentimenti di insicurezza tra i cittadini”. Per questo è stato loro riconosciuto un indennizzo di 540mila Kune (74mila euro).
E sono ancora tanti coloro che ad oggi non hanno ottenuto giustizia nelle aule di un tribunale né un risarcimento in denaro oltre che il ritrovamento dei resti dei propri familiari. È Documenta, di Zagabria, a denunciare la situazione nel suo comunicato del 1° agosto scorso: “A 24 anni da Oluja la magistratura croata ha sollevato tre accuse per crimini di guerra perpetrati su serbi della Krajina, contro sette soldati dell’Esercito croato e delle forze di polizia. Solo in due processi si è arrivati alla condanna: per i crimini contro civili nel villaggio di Mandić e di Prokljan (tra il 9 e l’11 agosto 1995)". Procedimenti legali che proseguono a rilento e che in pochi casi hanno portato a una condanna.
A 24 anni di distanza almeno un gruppo di giovani croati e serbi hanno voluto manifestare insieme: nei giorni di questo anniversario hanno ricordato da un lato l'eccidio di civili a Ovčara, perpetrato dalle truppe della JNA e di paramilitari serbi alla caduta della città di Vukovar, e dall'altra le vittime di Oluja. Gettando una timida luce in un buio panorama di negazione, rimozione o addirittura revisione della storia.