Cinema Tuskanac, Zagabria (foto L. Zanoni)

Centinaia di persone hanno assistito venerdì sera a Zagabria all'anteprima mondiale del film documentario "Vukovar - Atto finale". La prima produzione serbo-croata racconta dopo 15 anni la storia dell'assedio e caduta della cittadina danubiana, preludio del decennio di guerre in Europa. Nostro servizio

27/02/2006 -  Andrea Rossini Zagabria

Il film di Janko Baljak e Drago Hedl "Vukovar - Atto finale" ha molti pregi. Il più importante è probabilmente questo: riuscire a spiegare senza enfasi, con la serietà e il rigore del linguaggio giornalistico, come sia possibile che una qualsiasi pacifica cittadina europea possa improvvisamente trovarsi in guerra. I racconti incrociati dei diversi protagonisti partono esattamente da quel "prima" in cui la normalità della vita quotidiana rende incredibile la possibilità di un conflitto ("Non sapevamo neppure chi fosse serbo e chi croato", ricorda uno degli intervistati). Poi la narrazione procede inesorabile verso il punto in cui negli stessi protagonisti emerge la consapevolezza che la guerra sia inevitabile, e che sia inevitabile armarsi. Tra il prima e il dopo c'è una sola differenza: entra in scena la paura, diffusa con generosità da politici e organi d'informazione.

Oltre 400 persone nella sala stipata del cinema "Tuskanac", nel centro di Zagabria, hanno assistito senza fiatare alla proiezione. Tra gli spettatori alcuni dei protagonisti delle interviste. La storia è quella dell'assedio e caduta di Vukovar, dal maggio 1991 fino alla fine. Lo stile, come ricorda nella presentazione iniziale Drago Hedl, sceneggiatore e coordinatore del team giornalistico serbo-croato sulla cui inchiesta si basa il documentario, esclude qualsiasi intervento di voce "off". La storia si compone da sé, attraverso l'imponente lavoro di raccolta di interviste ai protagonisti e alla gente comune, e il ricchissimo materiale di repertorio.

Veran Matic, Drago Hedl, Janko Baljak (foto L. Zanoni)

All'inizio c'è la pressione della crisi economica, le fabbriche che si svuotano e i primi licenziamenti. Poi, dopo la cosiddetta "rivolta dei tronchi" in Krajina e i primi blocchi stradali, il racconto di come a Vukovar inizino ad arrivare le armi. Un eloquente cameo sulla "Beretta" ci fa subito vergognare di essere italiani. Il primo episodio ricostruito in maniera corale dai protagonisti di entrambi gli schieramenti è l'assassinio dei 12 poliziotti croati a Borovo Selo. Il metodo della ricostruzione resta lo stesso anche per gli episodi successivi: gli angoli di visuale continuano a cambiare e lo spettatore si confronta con la verità attraverso lo straniamento prodotto dalle diverse ricostruzioni.

Tutto esaurito al Tuskanac (foto L. Zanoni)

Dopo Borovo Selo cominciano gli omicidi, le esplosioni notturne contro case e luoghi di lavoro, le sparizioni, il terrorismo. Sullo schermo scorrono le immagini dei serbi che cominciano a imbarcarsi su grosse chiatte per lasciare Vukovar attraversando il Danubio. Dopo le immagini della povera gente, i volti cupi di Tudjman e Milosevic che nella riserva di caccia di Karadjordjevo si impegnano nello stesso gioco di Churchill, Roosevelt e Stalin in Crimea (Risiko). Il 4 agosto del '91 l'ordine di Tudjman di bloccare le caserme della JNA (esercito federale) intorno a Vukovar. Il generale federale Kadijevic fa intervenire l'esercito, ma la mobilitazione delle forze paramilitari cambia velocemente la fisionomia di quella che avrebbe dovuto essere una forza di interposizione. Le immagini di Arkan e Seselj rendono ancora più cupa l'atmosfera in sala. Poco dopo sono però le stesse immagini del capo dei Radicali serbi, nella sua prima apparizione di fronte ai giudici dell'Aja ("Voi del Tribunale dell'Aja potete fare una cosa sola: succhiarmi il c...") a provocare una breve ma significativa risata tra il pubblico.

L'assedio viene raccontato attraverso le immagini e le voci dei difensori croati (Blago Zadro e tra gli altri Branko Borkovic, il "giovane falco" che ancora maledice il momento della resa) e dei soldati dell'esercito jugoslavo. Orgoglio per la sconfitta nelle voci dei primi, smarrimento in quelle dei secondi: "Qual era il nostro obiettivo?", si chiede sconsolato un soldato serbo che riflette davanti alla telecamera. I disertori sono rapidamente rimpiazzati dai volontari di Arkan. Gente di Vukovar ricorda ancora con orrore: "Cantavano quelle canzoni inni nazionalisti, ndr, e mettevano davvero in pratica quello che cantavano".

I sopravvissuti raccontano l'odissea delle migliaia di persone intrappolate sotto bombardamenti continui. Altre immagini di repertorio mostrano la "strada del mais", sentiero in terra battuta che rappresentava l'unico collegamento con il resto della Croazia. Non mancano le voci di funzionari dei neonati servizi di informazione croati e soprattutto l'intervista a Tomislav Mercep, signore della vita e della morte in città, le cui milizie sono indagate per le torture e sparizioni dei civili serbi di Vukovar.

Le immagini dei negoziati per la resa e le lunghe file di profughi con le borsine di plastica chiudono la storia di Vukovar, tra la primavera e l'autunno di 15 anni fa. Le scene dei paramilitari che rubano tutto quello che vogliono nelle abitazioni ci aiutano a capire che, in tutto questo, almeno qualcuno il proprio obiettivo ce l'aveva chiaro.

Veran Matic (foto L. Zanoni)

"Vukovar - Atto finale" si chiude tuttavia così come era iniziato, con le immagini del processo conclusosi poche settimane fa a Belgrado contro alcuni dei responsabili del massacro di Ovcara, la fattoria dove erano state torturate e uccise duecento persone prelevate dall'Ospedale dopo la caduta della città. I volti allampanati dei familiari, che ottengono giustizia, ma restano sospesi nel vuoto, concludono il racconto.

All'inizio della serata, era stato il produttore Veran Matic, direttore della televisione di Belgrado B 92, a spiegare come il film rientrasse nel più ampio progetto "Indipendenti per la verità": "Il nostro scopo è quello di trovare una forma documentaria, utilizzando il linguaggio giornalistico, per parlare dei crimini di guerra .... Il miglior successo che auguriamo a questo film è che possa aiutare il processo di confronto con il passato, indipendentemente da quanto questo possa essere difficile e doloroso".

Questo film, in programmazione ora anche a Belgrado e Sarajevo, non interessa solo serbi e croati, riguarda anche noi. A Vukovar è iniziata una notte lunga dieci anni, la guerra in Europa. Il lavoro di giornalisti come questi ci aiuta ad uscire da quella notte.