Dal passato di Crevatin, professore di storia all'Università di Padova, emerge improvvisamente la figura di Vesna, suo grande amore da studente, a Zagabria. E con lei il ricordo della Primavera di Zagabria del 1971. Recensione
Si è parlato poco della cosiddetta Primavera croata (Hrvatsko proljeće) un movimento studentesco di piazza che esplose nel 1971 a Zagabria e che ebbe i suoi leader in Ivan Žvonimir Čičak e Dražen Budiša, il suo ispiratore nel professor Marko Veselica, docente di economia, e i suoi riferimenti nel Partito Comunista Jugoslavo nei politici Savka Dabčević-Kučar e Miko Tripalo.
L’istriana Gabriella Chmet, nata e cresciuta nella Capodistria jugoslava (è del 1973), poi riparatasi a Trieste dove tuttora vive e lavora, ha preso spunto da quella per una storia che racconta nel romanzo “La primavera di Zagabria” pubblicato dall’editore triestino Luglio , lo stesso che, della Chmet, ha fatto uscire un paio di anni fa l’intenso romanzo autobiografico “L’abisso socialista”, nel quale l’autrice racconta i difficili anni da lei vissuti come italiana non integrata nel sistema ideologico imposto alla minoranza di cui faceva parte, fino a esserne in qualche modo estranea.
Rispetto a “L’abisso socialista” questo nuovo romanzo è meno legato alla sua esperienza autobiografica, per ovvi motivi anagrafici. Tant’è che la prima volta che la Chmet, come racconta nel prologo, ha sentito parlare della Primavera croata è stato soltanto a sedici anni, dalla sua insegnante alle superiori, una professoressa di lingua e letteratura croata, che “nel mezzo di un discorso sulla democrazia di cui si cominciava timidamente a discutere in Jugoslavia” raccontò che non c’era stata soltanto la Primavera di Praga, ma anche quella di Zagabria, avvenuta nel 1971. Con la differenza che a reprimerla non erano stati i carri armati sovietici, bensì la stessa polizia del regime titoista che aveva affrontato gli studenti con l’uso della violenza, gli arresti e le condanne a lunghi anni di carcere, a parte le espulsioni dei responsabili dall’università e dal partito.
Naturalmente non ci fu, sia in Italia che nel resto d’Europa, quel clamore che aveva suscitato la Primavera di Praga, così come non ci fu clamore neppure anni prima, nel 1966, quando Aleksandar Ranković, capo dell’UDBA, la polizia segreta, represse con i carri armati le proteste degli studenti kosovari a Priština che reclamavano maggiore autonomia. Infatti, il favore di cui godeva in occidente la Jugoslavia di Tito, per il suo essere avulsa dal sistema sovietico, era tale da concederle una condiscendenza che ad altri, per gli stessi motivi, non ci sarebbe stata.
In questo contesto che farà da sfondo a tutto il romanzo, Gabriella Chmet dà avvio a una storia d’amore che offrirà il pretesto alla riesumazione storica, e relativa riflessione, di quella pagina lontana.
Il romanzo comincia ai nostri giorni, con il professore Crevatin, ormai anziano docente di storia all’università di Padova, che riceve una telefonata da una giornalista croata, Snježana Savić, che si rivela essere la nipote di Vesna Matić. Al che Crevatin ha un sussulto: Vesna è stato il suo grande amore quando era studente a Zagabria. Apprende così, non solo che la donna è morta, ma anche che ha lasciato un diario molto personale e intimo che, per stessa volontà della zia, era giusto lui leggesse. Lo invita così a venire a Zagabria. Alla fine, seppur restio a muoversi, davanti alle insistenze della giornalista, Crevatin accetta e parte per Zagabria. Da quel momento, prendono il via, con la tecnica del flash-back, i ricordi di quella stagione interamente incentrata sulla Primavera croata che l’amata Vesna, al contrario di lui, aveva sposato in pieno, compromettendosi di fronte al regime, tanto da venire arrestata, picchiata e tradotta in carcere, addirittura nella famigerata fortezza di Stara Gradiška (la stessa dove fu rinchiuso per sette anni Marko Veselica), ormai chiusa, dove egli, nel mezzo del viaggio, andrà in pellegrinaggio così come farà alla tomba di Vesna. Un destino, quello della scelta politica assoluta della donna, che sarebbe stato anche all’origine della fine della loro relazione, perché i genitori di lui, appartenenti alla minoranza italiana, impauriti, lo avrebbero convinto a lasciare l’università di Zagabria, per quella più tranquilla di Padova.
Il romanzo ripercorre così - in tutte le sue fasi, con nomi, cognomi, situazioni autentiche, compreso il duro discorso che Tito tenne a riguardo nel novembre del 1971 a Karadjordjevo, in Vojvodina, discorso con il quale il destino della rivolta fu definitivamente segnato - quella pagina di storia jugoslava.
Una pagina, però, che è anche, se non soprattutto, croata. Perché quella rivolta, allora sicuramente libertaria, date le condizioni in cui era esplosa, è servita anche a far germogliare quel seme nazionalista che negli anni a venire avrebbe investito il paese fino a condurlo a una guerra fratricida e il cui esito finale ha, purtroppo, reso opachi molti di quei valori liberali e di convivenza per i quali la primavera croata era sorta e si era battuta.