L'ultimo libro della grande scrittrice Dubravka Ugrešić – recentemente scomparsa – raccoglie una varietà di testi molto personali, accomunati dall'amore per la letteratura e intrisi delle esperienze vissute dall'autrice, dai viaggi e gli incontri agli attacchi subiti dai nazionalisti. Una recensione
Dubravka Ugrešić è stata una grande scrittrice croata, anche se lei, forse, preferirebbe essere definita jugoslava. Malata terminale, ha fatto la scelta della morte per eutanasia, venendo a mancare lo scorso 17 marzo all’età di 74 anni. Da anni viveva ad Amsterdam, in volontario esilio dopo essere diventata un bersaglio dei nazionalisti croati per la sua ostilità al conflitto che, dal 1991 al 1995, portò alla dissoluzione della Jugoslavia e all'indipendenza del paese (al pari, ricordo, di un altro grande scrittore croato e jugoslavo, Predrag Matvejević, rifugiatosi prima in Francia e poi a Roma in seguito alle minacce – determinante fu un colpo di pistola contro la cassetta della posta di casa a Zagabria – da parte degli stessi nazionalisti).
Nota in Italia per i tanti suoi libri tradotti da diverse case editrici (Garzanti, Bompiani, Nottetempo), Dubravka Ugrešić ha fatto appena in tempo a vedere pubblicato il suo ultimo libro, “La volpe” , edito da La Nave di Teseo.
Il libro è un’interessante raccolta di testi molto personali, a tratti magnificamente intimi, che però sono anche dei saggi sulla letteratura e sul suo amore per essa – paragonata alla volpe per la sua astuzia nel nascondersi durante i difficili inseguimenti da parte di mute di scrittori che hanno bisogno di grandi doti per catturarla, per farne il loro trofeo, e assai difficile poi da, appunto, raggiungere e mostrare. La scrittrice, pertanto, s’inoltra in operazioni di caccia che attraversano vari paesi – “La volpe” è anche un libro di viaggi – a cominciare dalla Russia, anzi dall’Unione Sovietica, dov’era arrivata, giovane studiosa di letteratura russa, nel 1975 grazie a una borsa di studio che le permise di vivere a Mosca per due semestri.
I suoi studi lì avevano lo scopo di raccogliere materiale per la sua tesi magistrale sullo scrittore Boris Pil’niak. Caduto in disgrazia ai tempi di Stalin, fu arrestato nel 1937, deportato in Siberia e ucciso il 21 aprile del 1938. La Ugrešić prende spunto da quei lontani ricordi per trattare il tema del racconto, caro a Pil’niak, facendo riferimento alle ricerche dello scrittore russo e in particolare al suo testo “Racconto sul come scrivere racconti”, che la scrittrice più tardi avrebbe tradotto in croato insieme ad altre sue opere. E lo fa, in questo suo scritto che prende lo stesso tema, scrivendo a sua volta, da vera volpe, un suo racconto sul come scrivere racconti. Vi si parla anche dell’incontro con il figlio di Pil’niak, Boris, in cui Dubravka Ugrešić ricevette in regalo da lui la raccolta di opere in prosa dello scrittore russo. Poi, sempre col figlio “ci scambiammo alcune lettere, dopo di che perdemmo ogni contatto. L’Unione sovietica si era dissolta, la Jugoslavia si stava dissolvendo, e io quattro anni più tardi avrei abbandonato il mio paese. Chiusi molti file, tra i quali il file di quell’anno moscovita in cui dovevo occuparmi di Boris Pil’niak, e invece che di letteratura, mi occupai della vita, le due cose all’epoca sembravano inscindibili.”
Così, nei testi successivi, dai titoli curiosi come “L’arte dell’equilibrio”, “Il giardino del diavolo”, “L’avventura di Teocrito”, “Little Miss Footnote”, “La volpe vedova”, abbiamo molta vita, ma c’è anche molta letteratura. In questi scritti la Ugrešić appare aver fatto propria la ricerca di Pil’niak riguardante il “racconto sul come scrivere i racconti”. Infatti, prendendo spunto da alcuni suoi viaggi di lavoro – oltre che in Unione Sovietica, anche in Estremo Oriente, Napoli, Stati Uniti e Croazia – vediamo raccogliersi magistralmente materiali vari che all’inizio sembrano parlare d’altro per poi, alla fine, comporsi inaspettatamente in un racconto, diventando a sua volta, appunto, “un racconto su come si scrivono i racconti”.
Infatti, cos’altro è se non un racconto di come si scrivono i racconti quello in cui la scrittrice narra del suo viaggio a Napoli, in occasione di un convegno sulle migrazioni europee al quale era stata invitata come relatrice? Tutto comincia quando sul palco, in una sala di Castel dell’Ovo, oltre a lei, autrice di libri tradotti in tutto il mondo, sale la vedova di uno scrittore russo riparatosi prima a Parigi, poi stabilitosi altrove. Di questa vedova, che la scrittrice identifica come "La Vedova" e tale sarà anche per il lettore, si sa solo che il suo unico merito è quello di aver sposato lo scrittore russo di nome Levin, peraltro soltanto tre anni prima della sua morte e, sapremo, senza consumare il matrimonio. Fino ad allora era stata, per anni, la sua segretaria, archivista, agente letteraria. Eppure, tra la Ugrešić e La Vedova, a raccogliere l’interesse del pubblico è solo quest’ultima, la rappresentante di uno scrittore assente, mentre la scrittrice croata, presente fisicamente, viene letteralmente snobbata. Tanto che anche dopo la conferenza solo La Vedova viene attorniata dalle persone, che acquistano i libri del marito, mentre la povera Dubravka si allontana a testa bassa, confortata dalla moderatrice dell’incontro che cerca di alleviare in qualche modo quel palese disinteresse per lei. Potrebbe finire tutto lì, invece accade che La Vedova la raggiunge e la invita a fare un giro per Napoli, dando così un nuovo corso al racconto che, per bocca della vedova, dirà molte verità sulla vita e sulla letteratura e sulle motivazioni dei lettori. “Il pubblico, i cui standard ricettivi si sono formati con la televisione e Internet, dal punto di vista letterario è sempre più ignorante, cerca un divertimento veloce e scevro da dubbi…”. E continuano le osservazioni, la lezione, della Vedova: “La vita letteraria è emozionante solo davanti alla scrivania, tra quattro pareti. Tutto il resto provoca un senso di sconfitta umana e professionale (…) Perché è il pubblico a dettare i criteri, non noi. E il grande pubblico non ama gli standard fuori dalla sua portata o che non è in grado di comprendere. Per le persone che ieri erano sedute nella sala io ero una spoletta vivente sulla quale avvolgere fantasie e convinzioni mai messe in discussione (…) per tutta la vita mi sono occupata dei libri di Levin (…) Ho forse affermato qualcosa di intelligente ieri? No. E se facesse sdraiare sul lettino di uno psicoterapeuta tutte le persone del pubblico che erano presenti nessuno di loro ammetterebbe alcune cose evidenti... Io ero a servizio del talento letterario di un uomo, l’ho servito con obbedienza, ho servito una mente maschile, dunque, per molti maschi sono la ragazza dei sogni, sono anche la loro potenziale vedova…”.
Affermazioni che mettono a nudo una cruda realtà.
In questo senso, sorprende anche il bel racconto “Il giardino del diavolo”, dove entriamo nelle dinamiche nazionaliste che hanno pesantemente condizionato la vita di Dubravka Ugrešić. Lo fa attraverso un incontro straordinario, che sarà anche un incontro d’amore, con un ex giudice, Bojan, diventato, alla fine della guerra che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, uno sminatore. Cioè, un membro di una squadra di uomini che perlustrano palmo a palmo i territori che furono cosparsi di mine nel corso della guerra e mettono fortemente a rischio di morte o mutilazioni quanti, a cominciare dagli stessi sminatori, vi si possono imbattere.
Bojan racconta di come, pur essendo croato, quando era giudice si fosse opposto all’allontanamento dei giudici serbi e a condanne pregiudiziali nei confronti di quanti, contrari alla guerra, venivano bollati come traditori (come venne bollata la stessa scrittrice), tant’è che fu poi a sua volta dimesso dalla magistratura. La quale, in quegli anni di retorica patriottica e fanatismo, doveva essere asservita alla causa nazionalista di Tuđman per poter continuare il proprio lavoro. La scrittrice incontra Bojan, per caso, come “intruso” in una casa a cinquanta chilometri da Zagabria, che un lettore appassionato dei libri della Ugrešić le aveva lasciato in eredità, non avendo più nessuno. I due si parlano e chiariscono la propria presenza in quella stessa casa. Da qui si sviluppa un rapporto, dal quale emerge il drammatico spaccato della società croata del primo periodo di indipendenza, che non lascia scampo ai liberi pensatori, procurando messe al rogo, non solo metaforiche, di persone, di autori e di libri non allineati, come appunto quelli di Dubravka Ugrešić, che qui fa emergere tutta l'emarginazione, i voltafaccia di amici e conoscenti, la reiezione che ha subito. E dice una cosa che lascia molto spazio alla riflessione: “Il valore letterario è una questione di lobby. Lo scopo finale è attirare più simpatizzanti dalla tua parte.”
Una verità che, forse, se ci guardiamo intorno, non appartiene solo al regime di Tuđman…