La strategia con cui la Croazia ha intenzione di investire i fondi europei in efficienza energetica, fonti rinnovabili, gestione dei rifiuti e settore dei trasporti sembra inadeguata a garantire una transizione decisiva verso l’economia verde. Un commento
(Pubblicato originariamente da H-Alter il 20 febbraio 2015, titolo orginale Crno zlato pred očima )
Davanti a casse pubbliche piuttosto vuote, folli progetti come la trivellazione di fondali marini alla ricerca di petrolio, la concessione “a vita” della costa adriatica o la “carbonizzazione” della produzione di energia elettrica diventano tentazioni irresistibili. L’unica barriera che potrebbe ostacolarle sono quei (piccoli?) Verdi, ostinati nell’inibire ogni possibile crescita, pardon sviluppo, e in aggiunta il fatto che le risorse naturali si rifiutano di autorinnovarsi. Trovare i finanziamenti, invece, sembra più facile, e dato il budget statale limitato sarà benvenuto qualsiasi investimento, basta che non si debba attuare una redistribuzione di reddito tra ricchi e poveri.
La soluzione più evidente quindi sono i fondi europei, per accedere ai quali, però, bisogna ideare i cosiddetti piani operativi, impegnandosi in seguito a realizzare adeguati progetti. I fondi stanziati dall’Unione europea a favore della Croazia per il periodo 2014-2020 ammontano a 8,397 miliardi di euro, dei quali l’82 per cento previsti dal programma “Competitività e Coesione” approvato dalla Commissione europea lo scorso dicembre. A questa cifra vanno aggiunti altri 1,2 miliardi di euro affiancati ai fondi europei dal bilancio dello stato, e nonostante non si sappia ancora a chi verranno dati quanti soldi e per quali progetti, si può anticipare che si tratta di quasi il 5 per cento del budget statale relativo al settennio in questione. Non ci sembra poco.
Gli ambiti in cui la Croazia potrebbe investire questi fondi sono molti, basti pensare al sistema di assistenza sociale che ha raggiunto l’apice dell’inefficienza, o al fenomeno della disoccupazione ormai diventato stabile e di proporzioni preoccupanti. Un’altra sfida è quella dei cambiamenti climatici, di fronte alla quale la Croazia si dimostra quasi completamente impreparata nonostante occupi il 42° posto nell’indice globale di rischio climatico relativo al periodo 1994-2013 (su un totale di più di 150 paesi presi in considerazione). Non possiamo vantarci neanche di troppa efficienza nell'utilizzo dell'energia prodotta, siamo infatti un paese delle ferrovie sempre più arrugginite e caratterizzato dalla forte riluttanza a rinunciare ai combustibili fossili.
Risulta, quindi, innegabile la necessità di investire i fondi europei nei vari ambiti dell’economia “verde”, dall’efficienza energetica al recupero dei rifiuti, ma in che misura l’esecutivo croato è realmente interessato a farlo si può dedurre da uno studio recentemente pubblicato dall’organizzazione Friends of the Earth e focalizzato sui temi dello sviluppo sostenibile e del contrasto ai cambiamenti climatici in alcuni stati membri Ue (Croazia, Ungheria, Slovakia, Repubblica Ceca, Polonia, Lettonia, Lituania e Estonia).
Secondo quanto emerge da quest’analisi, dei fondi europei stanziati a suo favore per il settennio 2014-2020 (il Fondo Europeo di Sviluppo regionale e il Fondo di Coesione) la Croazia ha intenzione di utilizzare 322 milioni di euro per le misure di efficienza energetica, i quali risultano pochi se comparati con quanto previsto da altri paesi. Più ragguardevole è la cifra di 95 milioni di euro destinati allo sviluppo delle energie rinnovabili, di cui 35 milioni riservati ai progetti di energia solare e 60 milioni alle biomasse.
Fatti i calcoli solo il 5,1 per cento delle risorse disponibili verrà destinato alle infrastrutture per l’energia sostenibile, mentre il 15,5 per cento andrà all’estrazione di combustibili fossili, il che non stupisce dato lo stretto legame instaurato tra benessere della classe dirigente e sfruttamento delle fonti di energia non rinnovabili.
Per quanto riguarda la gestione dei rifiuti urbani, solo una piccola parte dei capitali disponibili verrà utilizzata in linea con la direttiva Ue in questa materia (EU waste hierarchy), mentre i capitali che si pensa di investire nei trasporti risultano insignificanti in comparazione con quelli previsti da altri paesi (170 milioni per il trasporto urbano più pulito, 480 per il sistema ferroviario e 400 per quello stradale). L’unico dato incoraggiante è quello relativo alla protezione della natura e della biodiversità, per la quale Zagabria ha intenzione di stanziare il 23,2 per cento dell’intero capitale messo a sua disposizione.
In questo momento, una stima univoca dei dati sopra riportati potrebbe essere prematura, tuttavia si impone la conclusione che le risorse finanziarie destinate alle misure di sostegno all’efficienza energetica, fonti rinnovabili, gestione dei rifiuti e settore dei trasporti sono piuttosto modeste, soprattutto se comparate con quelle degli altri paesi coinvolti nello studio. Secondo quanto ribadito dal network internazionale Friends of the Earth, le strategie di questi paesi “non garantiscono la sicurezza e gli incentivi di cui gli investitori hanno bisogno per sostenere l’energia rinnovabile e altre tecnologie a basso tenore di carbonio, né dimostrano alcuno sforzo per stimolare la transizione verso un’economia circolare”.
Tenendo conto dell’allocazione dei mezzi finanziari presentata dall’esecutivo croato, non resta che confermare questa valutazione ancora prima di sapere tutti i dettagli del piano di investimenti. È un peccato, perché proprio “la transizione verso un’economia circolare” potrebbe essere la chiave per garantire una maggiore occupazione e tutela dell’ambiente senza dover rinunciare all’ambizione di aumentare la produttività dell’economia nazionale. Senza le buone idee, però, c’è poco da sperare.