E' stata la prima giornalista politica professionista in Croazia e nell’Europa sudorientale, una sostenitrice dei diritti delle donne, una delle scrittrici croate più lette di sempre. La storia di Marija Jurić Zagorka
(Originariamente pubblicato da Vitamine vaganti , il 21 agosto 2021)
La statua che la ritrae, a Zagabria, ricorda, forse per il lezioso ombrellino e gli abiti da Belle époque, una Mary Poppins un po’ appesantita dagli anni, che procede con atteggiamento determinato e portamento fiero nel cammino della vita. E la rappresentazione è assolutamente fedele a ciò che questa signora è stata.
Come dice Ana Pavli: Marija Jurić Zagorka "è stata la prima giornalista politica professionista in Croazia e nell’Europa sudorientale, una sostenitrice dei diritti delle donne, una delle scrittrici croate più lette di sempre, una co-fondatrice della Croatian Journalists Association, una scrittrice, una drammaturga, una sceneggiatrice, una pioniera della fantascienza, fondatrice della prima organizzazione sindacale femminile in Croazia, e l’elenco potrebbe continuare. Questo è ciò che rende Marija Jurić Zagorka una vera icona femminista".
Era nata nel 1873, presumibilmente il 2 marzo, nel villaggio di Negovec vicino a Vrbovec, nella regione di Zagabria. A quell’epoca la Croazia faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico all’interno del quale si agitavano da tempo spinte indipendentiste delle diverse nazionalità. In particolare i croati mal tolleravano la politica di magiarizzazione messa in atto dal governo di Budapest. Il padre di Marija, Ivan Jurić, era l’amministratore della tenuta Golubovec del barone Geza Rauch, dunque la famiglia si poteva dire benestante. Ciononostante l’infanzia di Marija non deve essere stata facile, con una madre autoritaria e bigotta, ostile a questa figlia così precocemente insofferente delle regole.
La giovane Marija, intelligente e studiosa, riceve l’istruzione elementare al castello, da precettori privati, insieme ai figli del barone. È brava a scuola, così brava che il barone sarebbe stato disposto a pagarle gli studi in un istituto superiore in Svizzera. Ma sua madre, che vedeva in quell’allontanamento un pericolo per la sua educazione morale, si oppone in modo irremovibile; così la ragazza viene iscritta a un liceo femminile presso il convento delle suore della Misericordia a Zagabria.
Già da bambina, Marija aveva dato del filo da torcere, allontanandosi dall’ideale femminile in base al quale sua madre avrebbe voluto plasmarla. A dieci anni si era comportata in modo disdicevole mettendo in imbarazzo la famiglia per aver preso posizione in difesa dell’identità croata, in aperto contrasto con le posizioni politiche filoungheresi del barone; a dodici, aveva realizzato a mano il suo primo giornale. Diciottenne, aveva replicato l’impresa pubblicando con uno pseudonimo maschile un editoriale sulla figura di Matija Gubec, un contadino croato del XVI sec. che aveva guidato una rivolta popolare contro la nobiltà feudale. Ama la giustizia sociale, Marija, ama la possibilità di esprimere liberamente con le parole i suoi pensieri, le sue convinzioni, i suoi ideali; ama anche recitare… Avrebbe voluto fare l’attrice Marija, liceale inquieta, ma a una ragazza di buona famiglia non era certo consentito dare scandalo calcando le scene…
Quanto basta perché sua madre decida di mettere fine a questa deriva ribelle costringendola a un matrimonio combinato con Andrija Matraja, un funzionario delle ferrovie ungheresi che ha quasi il doppio dei suoi anni. Così Marija a diciotto anni si sposa e segue il marito in Ungheria. Lui la vorrebbe sposa sottomessa, “angelo del focolare”, convertita al “suo” ideale nazionalista, ma lei non si piega; impara la lingua “del suo colonizzatore”, impara a usare il telegrafo, competenze queste che le saranno molto utili nella carriera giornalistica che la aspetta.
Il matrimonio dura solo tre anni, anni di violenza fisica e psicologica da cui Marija si libera fuggendo e tornando in patria. Riesce a divorziare da Matraja che però scarica su di lei la responsabilità del fallimento del matrimonio, accusandola di instabilità psichica (l’aveva anche fatta rinchiudere in un ospedale psichiatrico). Ancora una volta, è il padre che prende le sue difese, mentre la madre testimonia contro di lei. Perde così il diritto al pagamento degli alimenti e alla restituzione dei suoi beni personali lasciati sotto il tetto coniugale.
Ritrovata la libertà, si stabilisce a Zagabria dove comincia a scrivere e così inizia la sua vera carriera giornalistica.
I primi tempi sono davvero duri. Lavora come correttrice di bozze nella redazione di “Obzor”, il più importante periodico di Zagabria e qui, in modo quasi clandestino, comincia a scrivere; è costretta a farlo chiusa in uno stanzino, nascosta agli occhi degli altri giornalisti, che la deridono e la criticano pesantemente, convinti che la scrittura, e in particolare quella politica, sia una prerogativa maschile.
È determinata e così capace che per cinque mesi riesce, da sola, durante la rivolta popolare al regime autoritario di Khuen, a far uscire il giornale. Lei stessa, come i suoi colleghi, finisce in carcere e ne approfitta per stendere un testo teatrale in cui rilegge, in chiave femminista, un episodio della storia croata, dando credito alla tradizione orale che vedeva una donna a capo della rivolta contadina del 1553.
A partire dal 1895, nei dieci anni durante i quali lavora a “Obzor”, si occupa di politica estera ed economia relativamente all’area balcanica, in particolare per quanto riguarda i rapporti tra Croazia e Ungheria; è la prima analista politica corrispondente da Budapest e Vienna e inaugura con la sua scrittura uno stile innovativo nel giornalismo del suo paese.
Intanto collabora anche con altre riviste, scrive testi di narrativa, combatte per l’uguaglianza di genere con le parole e con le azioni: fonda il primo sindacato di donne lavoratrici, nel 1903 organizza la prima manifestazione delle donne a Zagabria. La sua passione per l’emancipazione femminile trova voce in “Ženski list”, il primo periodico rivolto alle donne, e poi in “Hrvatica”, un giornale femminista interamente finanziato a proprie spese.
Dal 1910 si afferma anche come narratrice. Le sue storie compaiono a puntate come romanzi d’appendice, poi pubblicate in volume. Il titolo più famoso, La strega di Gri (Gri ka vještica), è in realtà un ciclo di sette romanzi storici che attingono sia alla tradizione popolare, sia alle fonti documentarie. Il suo sguardo di genere crea e illumina personaggi femminili portatori di caratteri positivi: le sue eroine sono donne intelligenti, intraprendenti, coraggiose e determinate che lottano per la giustizia. Una di queste protagoniste è la Contessa Nera, difenditrice delle donne accusate di stregoneria. Un’altra, Jadranka, protagonista del romanzo omonimo, sostiene il diritto delle donne al lavoro in quanto fonte di autonomia economica e di libertà. Come dice Simona Amadori, "… l’intento storico e narrativo si fonde con la necessità di Zagorka di scuotere le coscienze, rappresentando la ricerca dell’uguaglianza e della giustizia attraverso donne fuori dagli schemi".
"Rinunciare alla mia penna significa rinunciare alla mia vita" dice Zagorka nel suo scritto autobiografico La pietra sulla strada (Kamen na cesti), e in effetti scrive durante tutta la sua lunga vita: romanzi (una ventina) alcuni dei quali inaugurano generi mai prima praticati da autori croati come il poliziesco e la fantascienza, testi teatrali, sceneggiature cinematografiche, senza contare il formidabile contributo di pensiero contenuto nei suoi articoli giornalistici e nei suoi testi polemici a sostegno della parità di genere e dei diritti delle donne (suffragio femminile, diritto all’istruzione, al lavoro e alla proprietà).
La critica non è stata benevola nei confronti della sua produzione narrativa, ma Zagorka aveva capito che la letteratura popolare poteva essere un formidabile veicolo per far arrivare il suo messaggio di giustizia e parità di genere a una platea molto vasta.
Anche l’ultima parte della sua vita non è stata facile. Durante la Seconda guerra mondiale ha subito persecuzioni dal regime degli Ustaša che le hanno confiscato proprietà e vietato qualsiasi attività pubblica. Avrebbe voluto entrare nelle file dei partigiani, ma aveva ormai una certa età… e, conclusa la guerra, per il nuovo regime socialista le sue posizioni femministe non erano accettabili: per i propugnatori del realismo socialista in letteratura, la questione femminile non doveva essere disgiunta dalla lotta di classe, alla quale era subordinata.
Muore il 30 novembre 1957. La sua abitazione in via Dolac a Zagabria, dopo alcune vicissitudini ereditarie, diventa una casa museo, sede di uno dei centri più importanti di Women’s Studies.
Le sono intitolate diverse vie nelle città e cittadine della Croazia, 13, secondo la ricerca di Ana Kuzmanić e Ivana Perić pubblicata in italiano sul portale on line dell’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, e presso il centro culturale di via Dolac si tengono ogni anno iniziative che ricordano il suo valore. Esiste anche una guida di Zagabria alla scoperta dei luoghi di Zagorka.
Persino Google le ha dedicato un doodle nel 143esimo anniversario della nascita.
In Italia, però, nessuno dei suoi romanzi è stato tradotto e su di lei, nella nostra lingua, pochissimo è stato scritto. Chi avrà letto sin qui, potrà dire di saperne almeno un po’ di più…