Privatizzazione selvaggia o privatizzazione diretta?
A differenza dalla maggior parte dei paesi dell'Europa centrale ed orientale, paesi della cosiddetta transizione, la privatizzazione in Croazia non è stata ne' selvaggia ne' equa. E' stata concepita in chiave di 'rinnovamento nazionale' pianificato o, meglio, sognato, da parte di Franjo Tudjman.
Primo passo del processo di privatizzazione è stato trovare uno o più soggetti titolari della proprietà. Nella ex-Jugoslavia la proprietà sulle fabbriche, sugli istituti bancari ecc. non era definita 'statale', come nei paesi del Patto di Varsavia, ma 'sociale', sulla base dell'idea di autogestione.
La Slovenia ha, per esempio, risolto il problema della proprietà astratta, distribuendo - con il sistema dei vaucher - una parte delle azioni ai cittadini, inclusi anche i neonati, e il resto ai dipendenti delle ditte ex-sociali. Qualcosa di simile (ma con la preferenza assoluta per i lavoratori, attuali ed ex) ha pensato di fare anche l'ultimo presidente jugoslavo, il riformista Ante Markovic. Ma non c'è stato il tempo di realizzare queste idee, a causa del crollo della Federazione Jugoslava, della guerra, ecc. Tudjman ha invece prima statalizzato, nazionalizzato, la proprietà sociale, in modo tale che lo Stato diventasse titolare e proprietario. Una parte di questa nuova proprietà statale e' stata poi destinata alla privatizzazione. Ma non si è trattato di una vendita secondo criteri di mercato. L'Agenzia statale per la privatizzazione (al cui vertice è stato per un certo periodo il futuro primo ministro Zlatko Matesa, presidente dell'ultimo governo dell'Unione Democratica Croata (HDZ), e dopo di lui Ivan Penic, ultimo ministro degli interni nel governo di Matesa) doveva seguire i criteri definiti da Tudjman stesso. La vendita era controllata. Il criterio centrale era 'l'interesse nazionale': "la Croazia non può essere ricca, se non sono ricchi i Croati"; a partire da questo slogan si è giustificato il progetto tudjmaniano di affidare a duecento famiglie, croate e cattoliche, la proprietà della maggior parte della ricchezza nazionale per rassicurare e garantire lo sviluppo del paese. Non era lecito, ad esempio, vendere la proprietà agli stranieri nè ai Croati che non godevano la fiducia di Tudjman. Coloro i quali avevano appoggiato finanziariamente la costituzione dell'HDZ, o avevano comprato armi per la Croazia, diventata nel frattempo uno stato indipendente, potevano invece diventare proprietari o anche azionisti maggioritari delle ditte economicamente sane, a basso costo o, in alcuni casi, addirittura gratuitamente. Un esempio su tutti: Andronico Luksic, uomo d'affari cileno di origini croate, già molto vicino al regime di Pinochet, ha potuto comprare la birreria di Karlovac, alberghi istriani, ecc. pagando somme quasi simboliche; in questo modo Tudjman ha compensato l'aiuto finanziario che Luksic aveva concesso all'HDZ e all'esercito croato.
Ci sono moltissimi esempi di questa privatizzazione diretta dall'alto. Il metodo usato era il seguente: un certo candidato, legato per parte paterna ad una tra le duecento famiglie elette, non possedeva il denaro per l'acquisto, ma era stato designato da Tudjman come acquirente di una proprietà. Chiedeva dunque all'agenzia di comprare una fabbrica, che pagava con credito ottenuto ad hoc da un istituto bancario di proprietà statale. Il pagamento regolare del debito era garantito con l'ipoteca sulla fabbrica. A questo punto poteva scegliere: o intensificare la produzione, o vendere pezzo per pezzo la proprietà della fabbrica (macchine, proprietà del terreno, edifici...) al capitale estero, unico a disporre di mezzi finanziari, e trasferire il denaro a Malta, in Svizzera, e specialmente alle Isole delle Vergini nei Caraibi (molto ambite dai nuovi ricchi croati).
L'impatto sociale
La maggior parte dei nuovi proprietari ha scelto la seconda via. L'esempio più eccellente e' quello del famoso Miroslav Kutle, proprietario formale nel 1997 di quasi un terzo della ricchezza nazionale. Proprietario formale perché proprietari erano in realtà cinque soci, quattro conosciuti, un quinto sconosciuto (sembra che si trattasse di Ivic Pasalic, ma non vi sono tracce che lo confermino: tutti i contratti e i documenti rilevanti sono spariti durante un furto nell'ufficio di un notaio, a Zagabria, prima del 3 gennaio 2000, data del tracollo dell'HDZ). Molto denaro è sparito alle Isole delle vergini o in qualche altro luogo, alcune solide ditte sono fallite (tra le altre, la 'Diona', la rete di negozi più grande in Croazia, la 'Tisak', rete di distribuzione di tabacchi e giornali) e migliaia di dipendenti sono diventati disoccupati.
Ma ci sono anche esempi diversi (piuttosto rari). Uno dei personaggi preferiti da Tudjman, Ivan Todoric, e' diventato, in base alla prassi descritta, proprietario d'una parte rilevante dell'industria alimentare, inclusa la rete commerciale per gli alimenti 'Konzum'. Ma ha stabilizzato e rafforzato il lavoro fino all'indipendenza dall'HDZ, stabilendo con i sindacati un accordo a livello europeo. La sua impresa è ancora oggi funzionante senza difficoltà di rilievo e si trova in costante espansione. L'industria farmaceutica 'Pliva' di Zagabria e l'industria alimentare e cosmetica 'Podravka' di Koprivnica sono diventate vere multinazionali, tramite contratti di collaborazione commerciale e finanziaria con diversi partner esteri (come scrive il Jutarnji list, la 'Podravka' si trova negli ultimi giorni in difficoltà, ma senza timore di un crollo). Il 15 giugno e' stata pubblicata la notizia che la 'Pliva' è stata comprata da un'industria farmaceutica tedesca. Il direttore generale della 'Pliva' ha risposto all'accusa che la ditta non e' piu' una ditta croata, dicendo: ''Pliva' e' una ditta croata nella misura in cui 'Nokia' e' una ditta finlandese, o 'Nestlé una ditta svizzera".
Negli ultimi anni di governo dell'HDZ quasi ogni imprenditore che comprava una ditta doveva regolarmente sottoscrivere un contratto, sulla base del quale si impegnava a non diminuire il numero del personale impiegato. Questo contratto restava però senza effetti reali nel caso di fallimento della ditta, provocato dalla trasformazione della produzione in denaro trasferito alle Isole delle vergini o altrove. Così, il numero dei disoccupati è aumentato di giorno in giorno e la società si è spaccata in una minoranza di ricchi e benestanti e in una maggioranza di disoccupati, mal pagati e lavoratori in nero.
Grazie alle pressioni internazionali, e specialmente grazie al crollo o alle difficoltà molto serie dei diversi istituti bancari, negli ultimi anni di governo dell'HDZ in Croazia si e' intensificata l'entrata di capitale finanziario estero, che ha comprato quasi tutte le banche sopravissute (in primo luogo si tratta di capitale tedesco e specialmente proveniente dal nord Italia). Con una politica monetaria rigida il governo è riuscito a ristabilire il corso della moneta nazionale, ma a farne le spese è stata l'esportazione, diventata quasi impossibile, e soprattutto il livello di vita della maggior parte della popolazione. Questi fatti possono contribuire a spiegare il crollo dell'HDZ.
Nuovo corso in difficoltà
La promessa elettorale della nuova coalizione vincente era in primo luogo la seguente: fare subito una revisione radicale della privatizzazione e iniziare la lotta contro la corruzione, una tra le caratteristiche principali del periodo precedente. Kutle e' stato arrestato e con lui più di venti nuovi ricchi (ma la maggior parte di loro godono ancora oggi i frutti di una privatizzazione vantaggiosa: nonostante sia senza ogni proprietà, Kutle stesso, dopo 15 mesi di reclusione, in libertà provvisoria, ha dichiarato che un giorno continuerà la carriera di imprenditore). L'economia nazionale e' stata rilevata dal nuovo governo in condizioni di devastazione senza precedenti e cosi è stato necessario proseguire con i licenziamenti e con le chiusure (più precisamente: con le bancarotte) delle imprese, private delle potenzialità per una ristrutturazione. Nel 2000 si sono registrate, secondo l'ammissione del nuovo presidente dell'Agenzia statale per la privatizzazione Hrvoje Vojkovic (HSLS Partito Social Liberale), più di 300 casi di bancarotta.
D'altra parte non c'era consenso politico tra le componenti della nuova coalizione governativa sulla necessità di realizzare la promessa elettorale principale. La legge sulla revisione della privatizzazione e' stata messa nell'agenda parlamentare soltanto negli ultimi giorni, ed e' tutto tranne che una legge che apra uno spazio per una revisione radicale; piuttosto si potrebbe dire che rappresenta un compromesso tra lo status quo e l'urgenza di fare qualche cosa in direzione della promessa elettorale.
Privatizzazione oggi
La privatizzazione oggi procede in modo ancor più intensivo che nel periodo di Tudjman. Ora vigono criteri economici e commerciali. Si vende talvolta senza garanzie per i dipendenti. E così accade, come in un caso recente, che il nuovo proprietario della Istarska Banka di Pola, Regent Fond, licenzi trenta lavoratori definiti 'manodopera superflua'. Secondo Novi list dal 20 maggio, sembra che in questo caso tutti siano soddisfatti perché i licenziati percepiscono una liquidazione di dieci stipendi mensili. Ci sono però, riguardo alla privatizzazione e gli effetti che essa produce, controversie molto acute. Alcuni esempi.
Ci sono le polemiche aspre riguardo alla vendita agli stranieri degli alberghi sulla costa adriatica. Il governo ha deciso di privatizzare tutte le risorse turistiche possibili, nel periodo più breve possibile. Precisamente, nell' arco di due mesi. Ci sono due principali pretendenti alla privatizzazione dell'industria turistica, ambedue croati. Uno e' il già menzionato Andronico Luksic, vicino alla destra radicale; l'altro è Goran Strok, imprenditore di Londra, vicino all'SDP (Partito Social Democratico). L'IDS (Dieta Democratica Istriana) ha contestato questa idea di privatizzazione aggressiva e questo sarebbe il motivo principale per cui il partito ha deciso di passare all'opposizione. In questo senso, i funzionari dell'IDS Damir Kajin e Marino Folo hanno severamente accusato la politica che trasforma la costa istriana in una zona praticamente extraterritoriale.
La fabbrica di tabacco di Rovigno (TDR), per citare un altro esempio, si è appropriata, tramite una sua ditta turistica (la 'Jadran-turist'), di 200 ettari di terreno presso Rovigno, e ha intenzione di appropriarsi di terreni a Versaro e Cittanova. Tra l'altro, la TDR possiede anche due isole istriane: San Giovanni e Strugaro. Una polemica molto dura riguarda la cosiddetta 'guerra delle sigarette'. TDR ha chiesto al governo di proibire la vendita della fabbrica di tabacco zaratina alla multinazionale BAT, definendo gli investimenti della multinazionale superflui e distruttivi. TDR vuole comprare la fabbrica zaratina, evidentemente per ottenere il monopolio nel paese e nella regione. Un commento molto significativo arriva dal cronista del Jutarnji list, Ratko Boskovic: "TDR parla degli interessi del popolo croato, ma produce superprofitti con i quali i suoi proprietari comprano ogni anno una parte della riviera adriatica." Vojkovic risponde che le accuse dell'IDS non si reggono su fondamenti economici, ma sono ispirate dalla politica. Il presidente del Sonaewest Shopping, Ted Kupchevski (che in questo momento dice di non avere nessun interesse a comprare risorse turistiche croate) dichiara che gli investitori esteri ora hanno interesse esclusivamente per la costa adriatica, ma nel futuro potrebbero acquistare anche all'interno; e aggiunge: "la Croazia deve cambiare le leggi per facilitare l'ingresso del capitale estero nel paese, se vuole essere integrata in Europa" (Jutarnji list, 25 maggio).
C'è in corso anche una guerra tra banchieri italiani, sul mercato croato. Alessandro Profumo di UniCredito ha contatti spesso diretti con il governatore della Banca nazionale croata, Zeljko Rohatinski. UniCredito possiede già la Splitska Banka ed ora vuole comprare anche la Zagrebacka Banka. Il concorrente più forte e' la Banca Commerciale Italiana che già possiede la Privredna Banka di Zagabria, l'istituto bancario più forte nel paese. Il capitale estero possiede in questo momento circa l'85% del capitale bancario croato.
C'è l'intenzione di vendere il porto fiumano alla ditta italiana Contship. Il 30 maggio i rappresentanti del porto e della ditta italiana (che tra l'altro possiede il porto di Gioia Tauro) hanno controfirmato un contratto sulla collaborazione tecnico-commerciale, che potrebbe segnare l'inizio della privatizzazione del piu' grande porto croato. Molti temono che queste vendite, effettuate rapidamente per guadagnare il denaro necessario al normale funzionamento dell'apparato statale, producano per il governo croato difficoltà ancora più grosse di quelle già registrate. Come dice Nada Kolega Gril (Jutarnji list, 27 maggio), c'e quasi unanime consenso tra gli economisti e tra moltissimi manager nel definire il processo in corso come un processo di perdita delle infrastrutture nazionali e come l'inizio della trasformazione della Croazia in un paese dipendente in senso neocoloniale.
La linea politica seguita dal vice primo ministro Goran Granic (HSLS) conduce ora alla vendita della compagnia petrolifera nazionale INA e del distributore nazionale monopolista dell'energia elettrica HEP. Tramite questa vendita, il capitale straniero controllerebbe, oltre al sistema bancario, anche le infrastrutture. Così pensa la Presidente del sindacato maggioritario della INA, Dubravka Corak.
Una delle conseguenze di questa accelerata privatizzazione e' il venir meno dei diritti dei lavoratori. Il presidente Stipe Mesic ha recentemente criticato in modo molto duro la politica governativa: invece di diminuire i diritti sindacali, il governo dovrebbe insistere sul congelamento dei conti bancari delle persone che hanno trasformato la proprietà produttiva privatizzata in denaro trasferito al estero. Ma sembra che il governo croato non vi badi troppo.
Privatizzazione selvaggia o privatizzazione diretta?
A differenza dalla maggior parte dei paesi dell'Europa centrale ed orientale, paesi della cosiddetta transizione, la privatizzazione in Croazia non è stata ne' selvaggia ne' equa. E' stata concepita in chiave di 'rinnovamento nazionale' pianificato o, meglio, sognato, da parte di Franjo Tudjman.
Primo passo del processo di privatizzazione è stato trovare uno o più soggetti titolari della proprietà. Nella ex-Jugoslavia la proprietà sulle fabbriche, sugli istituti bancari ecc. non era definita 'statale', come nei paesi del Patto di Varsavia, ma 'sociale', sulla base dell'idea di autogestione.
La Slovenia ha, per esempio, risolto il problema della proprietà astratta, distribuendo - con il sistema dei vaucher - una parte delle azioni ai cittadini, inclusi anche i neonati, e il resto ai dipendenti delle ditte ex-sociali. Qualcosa di simile (ma con la preferenza assoluta per i lavoratori, attuali ed ex) ha pensato di fare anche l'ultimo presidente jugoslavo, il riformista Ante Markovic. Ma non c'è stato il tempo di realizzare queste idee, a causa del crollo della Federazione Jugoslava, della guerra, ecc. Tudjman ha invece prima statalizzato, nazionalizzato, la proprietà sociale, in modo tale che lo Stato diventasse titolare e proprietario. Una parte di questa nuova proprietà statale e' stata poi destinata alla privatizzazione. Ma non si è trattato di una vendita secondo criteri di mercato. L'Agenzia statale per la privatizzazione (al cui vertice è stato per un certo periodo il futuro primo ministro Zlatko Matesa, presidente dell'ultimo governo dell'Unione Democratica Croata (HDZ), e dopo di lui Ivan Penic, ultimo ministro degli interni nel governo di Matesa) doveva seguire i criteri definiti da Tudjman stesso. La vendita era controllata. Il criterio centrale era 'l'interesse nazionale': "la Croazia non può essere ricca, se non sono ricchi i Croati"; a partire da questo slogan si è giustificato il progetto tudjmaniano di affidare a duecento famiglie, croate e cattoliche, la proprietà della maggior parte della ricchezza nazionale per rassicurare e garantire lo sviluppo del paese. Non era lecito, ad esempio, vendere la proprietà agli stranieri nè ai Croati che non godevano la fiducia di Tudjman. Coloro i quali avevano appoggiato finanziariamente la costituzione dell'HDZ, o avevano comprato armi per la Croazia, diventata nel frattempo uno stato indipendente, potevano invece diventare proprietari o anche azionisti maggioritari delle ditte economicamente sane, a basso costo o, in alcuni casi, addirittura gratuitamente. Un esempio su tutti: Andronico Luksic, uomo d'affari cileno di origini croate, già molto vicino al regime di Pinochet, ha potuto comprare la birreria di Karlovac, alberghi istriani, ecc. pagando somme quasi simboliche; in questo modo Tudjman ha compensato l'aiuto finanziario che Luksic aveva concesso all'HDZ e all'esercito croato.
Ci sono moltissimi esempi di questa privatizzazione diretta dall'alto. Il metodo usato era il seguente: un certo candidato, legato per parte paterna ad una tra le duecento famiglie elette, non possedeva il denaro per l'acquisto, ma era stato designato da Tudjman come acquirente di una proprietà. Chiedeva dunque all'agenzia di comprare una fabbrica, che pagava con credito ottenuto ad hoc da un istituto bancario di proprietà statale. Il pagamento regolare del debito era garantito con l'ipoteca sulla fabbrica. A questo punto poteva scegliere: o intensificare la produzione, o vendere pezzo per pezzo la proprietà della fabbrica (macchine, proprietà del terreno, edifici...) al capitale estero, unico a disporre di mezzi finanziari, e trasferire il denaro a Malta, in Svizzera, e specialmente alle Isole delle Vergini nei Caraibi (molto ambite dai nuovi ricchi croati).
L'impatto sociale
La maggior parte dei nuovi proprietari ha scelto la seconda via. L'esempio più eccellente e' quello del famoso Miroslav Kutle, proprietario formale nel 1997 di quasi un terzo della ricchezza nazionale. Proprietario formale perché proprietari erano in realtà cinque soci, quattro conosciuti, un quinto sconosciuto (sembra che si trattasse di Ivic Pasalic, ma non vi sono tracce che lo confermino: tutti i contratti e i documenti rilevanti sono spariti durante un furto nell'ufficio di un notaio, a Zagabria, prima del 3 gennaio 2000, data del tracollo dell'HDZ). Molto denaro è sparito alle Isole delle vergini o in qualche altro luogo, alcune solide ditte sono fallite (tra le altre, la 'Diona', la rete di negozi più grande in Croazia, la 'Tisak', rete di distribuzione di tabacchi e giornali) e migliaia di dipendenti sono diventati disoccupati.
Ma ci sono anche esempi diversi (piuttosto rari). Uno dei personaggi preferiti da Tudjman, Ivan Todoric, e' diventato, in base alla prassi descritta, proprietario d'una parte rilevante dell'industria alimentare, inclusa la rete commerciale per gli alimenti 'Konzum'. Ma ha stabilizzato e rafforzato il lavoro fino all'indipendenza dall'HDZ, stabilendo con i sindacati un accordo a livello europeo. La sua impresa è ancora oggi funzionante senza difficoltà di rilievo e si trova in costante espansione. L'industria farmaceutica 'Pliva' di Zagabria e l'industria alimentare e cosmetica 'Podravka' di Koprivnica sono diventate vere multinazionali, tramite contratti di collaborazione commerciale e finanziaria con diversi partner esteri (come scrive il Jutarnji list, la 'Podravka' si trova negli ultimi giorni in difficoltà, ma senza timore di un crollo). Il 15 giugno e' stata pubblicata la notizia che la 'Pliva' è stata comprata da un'industria farmaceutica tedesca. Il direttore generale della 'Pliva' ha risposto all'accusa che la ditta non e' piu' una ditta croata, dicendo: ''Pliva' e' una ditta croata nella misura in cui 'Nokia' e' una ditta finlandese, o 'Nestlé una ditta svizzera".
Negli ultimi anni di governo dell'HDZ quasi ogni imprenditore che comprava una ditta doveva regolarmente sottoscrivere un contratto, sulla base del quale si impegnava a non diminuire il numero del personale impiegato. Questo contratto restava però senza effetti reali nel caso di fallimento della ditta, provocato dalla trasformazione della produzione in denaro trasferito alle Isole delle vergini o altrove. Così, il numero dei disoccupati è aumentato di giorno in giorno e la società si è spaccata in una minoranza di ricchi e benestanti e in una maggioranza di disoccupati, mal pagati e lavoratori in nero.
Grazie alle pressioni internazionali, e specialmente grazie al crollo o alle difficoltà molto serie dei diversi istituti bancari, negli ultimi anni di governo dell'HDZ in Croazia si e' intensificata l'entrata di capitale finanziario estero, che ha comprato quasi tutte le banche sopravissute (in primo luogo si tratta di capitale tedesco e specialmente proveniente dal nord Italia). Con una politica monetaria rigida il governo è riuscito a ristabilire il corso della moneta nazionale, ma a farne le spese è stata l'esportazione, diventata quasi impossibile, e soprattutto il livello di vita della maggior parte della popolazione. Questi fatti possono contribuire a spiegare il crollo dell'HDZ.
Nuovo corso in difficoltà
La promessa elettorale della nuova coalizione vincente era in primo luogo la seguente: fare subito una revisione radicale della privatizzazione e iniziare la lotta contro la corruzione, una tra le caratteristiche principali del periodo precedente. Kutle e' stato arrestato e con lui più di venti nuovi ricchi (ma la maggior parte di loro godono ancora oggi i frutti di una privatizzazione vantaggiosa: nonostante sia senza ogni proprietà, Kutle stesso, dopo 15 mesi di reclusione, in libertà provvisoria, ha dichiarato che un giorno continuerà la carriera di imprenditore). L'economia nazionale e' stata rilevata dal nuovo governo in condizioni di devastazione senza precedenti e cosi è stato necessario proseguire con i licenziamenti e con le chiusure (più precisamente: con le bancarotte) delle imprese, private delle potenzialità per una ristrutturazione. Nel 2000 si sono registrate, secondo l'ammissione del nuovo presidente dell'Agenzia statale per la privatizzazione Hrvoje Vojkovic (HSLS Partito Social Liberale), più di 300 casi di bancarotta.
D'altra parte non c'era consenso politico tra le componenti della nuova coalizione governativa sulla necessità di realizzare la promessa elettorale principale. La legge sulla revisione della privatizzazione e' stata messa nell'agenda parlamentare soltanto negli ultimi giorni, ed e' tutto tranne che una legge che apra uno spazio per una revisione radicale; piuttosto si potrebbe dire che rappresenta un compromesso tra lo status quo e l'urgenza di fare qualche cosa in direzione della promessa elettorale.
Privatizzazione oggi
La privatizzazione oggi procede in modo ancor più intensivo che nel periodo di Tudjman. Ora vigono criteri economici e commerciali. Si vende talvolta senza garanzie per i dipendenti. E così accade, come in un caso recente, che il nuovo proprietario della Istarska Banka di Pola, Regent Fond, licenzi trenta lavoratori definiti 'manodopera superflua'. Secondo Novi list dal 20 maggio, sembra che in questo caso tutti siano soddisfatti perché i licenziati percepiscono una liquidazione di dieci stipendi mensili. Ci sono però, riguardo alla privatizzazione e gli effetti che essa produce, controversie molto acute. Alcuni esempi.
Ci sono le polemiche aspre riguardo alla vendita agli stranieri degli alberghi sulla costa adriatica. Il governo ha deciso di privatizzare tutte le risorse turistiche possibili, nel periodo più breve possibile. Precisamente, nell' arco di due mesi. Ci sono due principali pretendenti alla privatizzazione dell'industria turistica, ambedue croati. Uno e' il già menzionato Andronico Luksic, vicino alla destra radicale; l'altro è Goran Strok, imprenditore di Londra, vicino all'SDP (Partito Social Democratico). L'IDS (Dieta Democratica Istriana) ha contestato questa idea di privatizzazione aggressiva e questo sarebbe il motivo principale per cui il partito ha deciso di passare all'opposizione. In questo senso, i funzionari dell'IDS Damir Kajin e Marino Folo hanno severamente accusato la politica che trasforma la costa istriana in una zona praticamente extraterritoriale.
La fabbrica di tabacco di Rovigno (TDR), per citare un altro esempio, si è appropriata, tramite una sua ditta turistica (la 'Jadran-turist'), di 200 ettari di terreno presso Rovigno, e ha intenzione di appropriarsi di terreni a Versaro e Cittanova. Tra l'altro, la TDR possiede anche due isole istriane: San Giovanni e Strugaro. Una polemica molto dura riguarda la cosiddetta 'guerra delle sigarette'. TDR ha chiesto al governo di proibire la vendita della fabbrica di tabacco zaratina alla multinazionale BAT, definendo gli investimenti della multinazionale superflui e distruttivi. TDR vuole comprare la fabbrica zaratina, evidentemente per ottenere il monopolio nel paese e nella regione. Un commento molto significativo arriva dal cronista del Jutarnji list, Ratko Boskovic: "TDR parla degli interessi del popolo croato, ma produce superprofitti con i quali i suoi proprietari comprano ogni anno una parte della riviera adriatica." Vojkovic risponde che le accuse dell'IDS non si reggono su fondamenti economici, ma sono ispirate dalla politica. Il presidente del Sonaewest Shopping, Ted Kupchevski (che in questo momento dice di non avere nessun interesse a comprare risorse turistiche croate) dichiara che gli investitori esteri ora hanno interesse esclusivamente per la costa adriatica, ma nel futuro potrebbero acquistare anche all'interno; e aggiunge: "la Croazia deve cambiare le leggi per facilitare l'ingresso del capitale estero nel paese, se vuole essere integrata in Europa" (Jutarnji list, 25 maggio).
C'è in corso anche una guerra tra banchieri italiani, sul mercato croato. Alessandro Profumo di UniCredito ha contatti spesso diretti con il governatore della Banca nazionale croata, Zeljko Rohatinski. UniCredito possiede già la Splitska Banka ed ora vuole comprare anche la Zagrebacka Banka. Il concorrente più forte e' la Banca Commerciale Italiana che già possiede la Privredna Banka di Zagabria, l'istituto bancario più forte nel paese. Il capitale estero possiede in questo momento circa l'85% del capitale bancario croato.
C'è l'intenzione di vendere il porto fiumano alla ditta italiana Contship. Il 30 maggio i rappresentanti del porto e della ditta italiana (che tra l'altro possiede il porto di Gioia Tauro) hanno controfirmato un contratto sulla collaborazione tecnico-commerciale, che potrebbe segnare l'inizio della privatizzazione del piu' grande porto croato. Molti temono che queste vendite, effettuate rapidamente per guadagnare il denaro necessario al normale funzionamento dell'apparato statale, producano per il governo croato difficoltà ancora più grosse di quelle già registrate. Come dice Nada Kolega Gril (Jutarnji list, 27 maggio), c'e quasi unanime consenso tra gli economisti e tra moltissimi manager nel definire il processo in corso come un processo di perdita delle infrastrutture nazionali e come l'inizio della trasformazione della Croazia in un paese dipendente in senso neocoloniale.
La linea politica seguita dal vice primo ministro Goran Granic (HSLS) conduce ora alla vendita della compagnia petrolifera nazionale INA e del distributore nazionale monopolista dell'energia elettrica HEP. Tramite questa vendita, il capitale straniero controllerebbe, oltre al sistema bancario, anche le infrastrutture. Così pensa la Presidente del sindacato maggioritario della INA, Dubravka Corak.
Una delle conseguenze di questa accelerata privatizzazione e' il venir meno dei diritti dei lavoratori. Il presidente Stipe Mesic ha recentemente criticato in modo molto duro la politica governativa: invece di diminuire i diritti sindacali, il governo dovrebbe insistere sul congelamento dei conti bancari delle persone che hanno trasformato la proprietà produttiva privatizzata in denaro trasferito al estero. Ma sembra che il governo croato non vi badi troppo.