Due bicchieri di vino - © Lenti Hill/Shutterstock

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Prosecco e Prošek sono due vini molto differenti con una storia però in comune. Ed alla luce di questo il trambusto mediatico e politico, seguito all'intenzione dell'Ue di dare protezione di prodotto tradizionale al vino croato, rischia d'essere pretestuoso

17/09/2021 -  Giovanni Vale Zagabria

A giudicare dai fiumi di inchiostro sui giornali e dalle dichiarazioni martellanti alla televisione, il tema della settimana, per quanto riguarda i Balcani, non è stata l’ultima visita di Angela Merkel nella regione e il relativo bilancio quasi ventennale, né la legge sul cirillico approvata mercoledì a Belgrado e a Banja Luka, e tantomeno l’aggravarsi della situazione epidemiologica, ma lo scontro – tanto roboante quanto poco credibile – tra il Prosecco e il Prošek. Sul tema sono intervenuti tutti, ministri e sindaci, editorialisti ed eurodeputati, produttori ed associazioni di categoria. La stampa ha parlato della «levata di scudi» e delle «barricate» promesse dai politici e soprattutto della decisione «vergognosa» e «folle» della Commissione europea, anche se alla fine è emerso che quella decisione non è ancora stata presa.

Di cosa stiamo parlando? Cos’è il Prošek e cosa sta succedendo in Croazia? Un elemento che è mancato, in questa settimana di subbuglio mediatico, è infatti la spiegazione di cosa sia quel vino croato che «minaccia» il Prosecco. Si è detto che ha un nome simile a quello dello spumante e che è un chiaro esempio di «Italian sounding» – quel fenomeno che consiste nel dare ad un prodotto alimentare straniero tutte le apparenze (visive e terminologiche) di un prodotto italiano per venderlo con più facilità – ma si è spesso taciuto sul fatto che il Prošek non è in realtà uno spumante che vuole rivaleggiare col Prosecco e che la storia dei due vini è molto intrecciata.

Una storia intrecciata

Siamo a fine Cinquecento, la Repubblica di Venezia vive il suo momento di massimo splendore. Tra i vini che vanno più di moda c’è anche il Prosecco, un vino liquoroso, che si beve sia in accompagnamento a piatti salati che dolci. Quel vino deve il suo nome ad una località, Prosecco (la traduzione italiana del toponimo sloveno Prosek, che significa «zona disboscata»), che si trova vicino a Trieste e che oggi fa parte del comune. La Serenissima controlla allora la Dalmazia e il Prosecco viaggia raggiungendo anche quelle terre. Vi è menzionato per la prima volta, in forma scritta, nel 1774, quando l’abate padovano Alberto Fortis lo menziona nel suo celebre «Viaggio in Dalmazia», dopo averlo provato nei dintorni di Almissa (oggi Omiš, a sud di Spalato). Bisogna aspettare ancora qualche decennio perché appaia anche la traduzione croata del nome, ovvero Prošek, menzionato per la prima volta nel 1867.

Fino a qui, il Prosecco di cui parliamo è quasi un liquore, una sorta di vin santo. La moda dell’epoca è d’altra parte questa: i vini devono poter viaggiare per molte settimane per mare e l’alta gradazione permette loro di sopravvivere al viaggio. Basti pensare alla Malvasia, che deve il suo nome alla località greca di Monemvasia (allora un hub commerciale di primo piano, soprattutto per i vini detti «viaggiati»): anch’essa era nel Rinascimento un vino liquoroso e non il bianco fermo o frizzante che conosciamo oggi. Quando avviene allora la trasformazione del Prosecco in spumante?

"Nel 1821 un viticultore francese fa a Trieste l’esperimento della spumantizzazione del Prosecco", racconta lo storico Fulvio Colombo, autore di numerosi libri sul tema. "In città c’è una nutrita comunità francese che conosce la tradizione dello Champagne e la moda è cambiata: il mercato chiede altri vini, meno dolci e più effervescenti". Ad inizio Ottocento, dunque, nasce il Prosecco moderno, che si diffonde in tutto il Triveneto. Cosa succede al Prosecco dalmata, col tempo detto Prošek? «"Rimane un vino dolce, non “evolve”, diciamo, in spumante»", risponde Colombo, secondo cui "il Prošek è una sorta di fossile enologico".

Il punto di vista croato

Oltre Adriatico, il Prošek è un vino di nicchia, che compare in alcune ricette (ad esempio in quella della pašticada, altro ponte tra il Veneto e la Dalmazia) e che si beve raramente. "È una di quelle che cose che si tengono sempre in casa – Spiega Leo Gracin, il presidente del Consorzio del vino della Dalmazia – Lo si produce e lo si mette da parte quando nasce un figlio, per berlo al suo diciottesimo compleanno, lo si sorseggia quando si è ammalati, lo si usa per cucinare…". Ambrato e dolce, il Prošek è prodotto lasciando appassire i grappoli sui rami oltre il periodo di maturazione. Ha dunque delle rese molto basse e tempi lunghi ed è infatti prodotto in poche migliaia di bottiglie ogni anno. A titolo di paragone, il Prosecco ha venduto nel 2020 più di 500 milioni di bottiglie in tutto il mondo. Inutile dire che le esportazione del Prošek sono pari a zero.

Leo Gracin è accomodante e assicura che "con i produttori di Prosecco troveremo un accordo", dato che "gli italiani sono i nostri vicini di casa", ma gli esponenti politici croati sono più fermi. Per Tonino Picula, eurodeputato del Partito socialdemocratico, "la protezione dei prodotti tradizionali è una procedura comune e standardizzata avviata prima a livello nazionale e poi a livello dell'Unione […] non si tratta di un processo insolito". E la Croazia ha avviato quel processo (già nel 2013) anche per il Prošek, perché «"consente ai produttori di tutelare la proprietà intellettuale, la qualità e la reputazione [del prodotto], difendendosi dalle imitazioni. Inoltre, consente di ottenere prezzi migliori".

E se i consumatori dovessero confondersi in futuro tra Prosecco e Prošek? "Sono convinto che non ci sia spazio per la confusione. Il Prošek è un vino da dessert tradizionale che viene prodotto nella Dalmazia centrale e meridionale dalle uve appassite delle nostre varietà tradizionali bogdanuša, maraština e vugava. Non ha alcun legame nel gusto, nei tipi di uva o nella tecnologia di produzione con il Prosecco italiano", risponde Picula. Dello stesso avviso anche l’eurodeputato istriano Valter Flego, che spiega "come abbiamo protetto il nostro olio d’oliva, il Teran istriano e il prosciutto, così vogliamo fare per il Prošek". E aggiunge, battagliero: "Abbiamo vinto sul Teran e credo che il risultato sarà lo stesso anche questa volta".

Tutto da rifare

Mentre già si scaldano le cartelle degli avvocati, la polemica sul Prosecco si è però sgonfiata a pochi giorni dal suo inizio, entrando, almeno per il momento, in stand-by. Giovedì, la Commissione europea è infatti intervenuta per calmare un po’ gli animi e raddrizzare il tiro. "Non abbiamo ancora autorizzato il Prošek. Aspetteremo le vostre osservazioni. Per noi è fondamentale proteggere le indicazioni geografiche", ha detto il Commissario europeo all’Agricoltura Janusz Wojciechowski in trasferta a Firenze.

"Non c'è ancora la parola fine", anche se dalle analisi dell’esecutivo europeo "è emerso che non ci sono motivi per rifiutare la richiesta croata". Una cosa però è ammettere la domanda, l’altra è rispondere nel merito della menzione tradizionale che andrebbe introdotta. "Ho ascoltato molte considerazioni da parte dell'Italia, del ministro [dell’Agricoltura, ndr.] Patuanelli e delle Regioni. La questione del Prosecco è molto specifica e seria. Considererò in modo molto serio le obiezioni dell'Italia", ha concluso Wojciechowski.

Lo scontro, insomma, è per il momento rimandato.