Si chiude oggi a Zagabria il dibattito pubblico voluto dal governo sulle esplorazioni petrolifere. Resta ora soltanto la firma dei contratti con le imprese, ma gli ambientalisti sono più agguerriti che mai
SOS za Jadran !, SOS per l’Adriatico!, le associazioni ecologiste croate hanno lanciato il loro grido d’allarme. A Dubrovnik, Zara, Pola, Fiume e in altre città della costa dalmata, decine di ambientalisti sono scesi in strada negli ultimi giorni per protestare contro il piano del governo per lo sfruttamento delle risorse energetiche dell’Adriatico (gas e petrolio). A Zagabria, i militanti hanno sfilato davanti alla sede del ministero dell’Economia e dell’Energia, mentre su internet fioccano le foto di manifesti, cartelli e slogan esposti ovunque nel paese. Su Facebook, più di 4000 persone hanno già aderito all’iniziativa, sostenendo la pagina “SOS za Jadran ”, creata venerdì scorso per l’occasione. Dietro all’iniziativa ci sono una decina di ONG: Zelena Akcija (Azione verde), Zelena Istra (Istria verde), le sezioni nazionali di Greenpeace e del WWF, così come altre associazioni locali per l’ambiente.
“Tu scommetti, ma perdiamo tutti”, questo è il messaggio che gli ecologisti hanno recapitato - sotto forma di striscione - a Ivan Vrdoljak, il ministro dell’Energia e vero artefice della corsa al petrolio. È infatti nella testa di quest’ingegnere di 42 anni, originario di Osijek, che è nata l’idea di trasformare la Croazia in “una piccola Norvegia” (per usare le parole di Vrdoljak, pronunciate ormai più di un anno fa). Su volontà del ministro, l’avventura petrolifera croata inizia ufficialmente il 2 aprile 2014, quando l’esecutivo socialdemocratico di Zoran Milanović pubblica il suo primo bando di esplorazione offshore. Le acque territoriali croate vengono allora divise in 29 blocchi da 1000–1600 km2, quindici dei quali sono proposti in concessione. La gara si chiude nel novembre dello scorso anno e i risultati vengono annunciati a inizio 2015. Il 2 gennaio, il governo informa la popolazione che cinque colossi dell’energia si sono aggiudicati 10 settori. Si tratta di Marathon Oil, OMV, INA, Medoilgas ed ENI, che potranno esplorare le acque croate nell’Adriatico centrale e meridionale, in sostanza di fronte alle isole Incoronate e al largo di Dubrovnik.
L’annuncio del ministro Vrdoljak suona come una sveglia nel campo degli ecologisti, fino ad allora fin troppo attendisti. E mentre il governo accelera, le ONG si organizzano. Il 16 gennaio, l’Agenzia croata per gli idrocarburi presenta la valutazione d’impatto ambientale: è l’inizio del mese di “consultazioni pubbliche” indetto dall’esecutivo per rassicurare la popolazione. Greenpeace insorge: “Il documento del ministero è disordinatissimo e pieno di omissioni e, inoltre, arriva dopo la distribuzione delle licenze di esplorazione!”, afferma Marko Gregović dell’organizzazione ecologista. Zelena Akcija - che festeggia in queste settimane i suoi primi 25 anni di esistenza - si presenta al ministero con il cartello: “Dite no a questa farsa!”. Lo slogan “SOS per l’Adriatico” è lanciato, ma Vrdoljak non fa una piega. “Sono molto soddisfatto del lavoro fatto finora - si rallegra il ministro, che assicura - nei prossimi cinque anni guadagneremo 2,5 miliardi di euro grazie alle attività di ricerca”. E non si sa ancora quanto potranno apportare i successivi 25 anni di esplorazione…”
Insomma, i socialdemocratici ne sono sicuri: attività petrolifere e turismo possono coesistere senza problemi e i rischi per l’ambiente sono minimi. “La Croazia utilizzerà le tecnologie più recenti e i migliori esperti, non c'è alcun motivo di aver paura”, rassicura dal canto suo l’ormai ex presidente Ivo Josipović. E la neoeletta Grabar-Kitarović non la pensa diversamente. Per il ministero dell’Energia, i turisti non se ne accorgeranno neppure. “Le piattaforme saranno ad almeno sei chilometri dalle isole: provi lei ad andare a sei chilometri e a guardare da questa parte!”, scherza Vrdoljak. Ma sul loro sito “Clean Adriatic ”, gli ecologisti croati sono meno ironici. “Quando guido sull’isola di Korčula, posso vedere chiaramente l’isola di Lastovo a 17km di distanza da dove mi trovo. E se guardo un po’ più a Est, posso vedere Mljet. Sì, Mljet, il Parco naturale!”, scrive sul blog uno dei membri della “Clean Adriatic Sea Alliance”.
Secondo la mappa diffusa dal ministero e riprodotta più volte nelle 450 pagine del suo studio di impatto ambientale , i 29 settori interessati dall’attività petrolifera rasentano tutti i parchi naturali e nazionali della costa croata: l’arcipelago delle Brioni al largo dell’Istria, il Parco naturale di Porto Taier (Telašćica), le celebri Incoronate (Kornati), l’isola di Lagosta (Lastovo) e, appunto, il parco di Mljet. Dei luoghi non soltanto protetti dall’ordinamento croato, ma che attirano milioni di turisti europei. In media, un milione di Italiani passano ogni anno l’estate sulla costa dalmata, tant’è che il sito di petizioni “avaaz.it ” ha deciso di rivolgersi proprio a loro per fermare l’azione dell’esecutivo croato. “Se riusciamo a raccogliere 150.000 firme, potremo fare pressione sul governo di Zagabria”, riassume Francesco Benetti, attivista presso il sito web. Ad oggi, il sito ha raccolto quasi 130.000 firme e una campagna simile è stata lanciata dalla versione croata del portale. “I nostri colleghi tedeschi stanno pensando di pubblicare una petizione identica”, aggiunge Benetti.
Ma i turisti europei e gli ecologisti croati non hanno più molto tempo a disposizione. Ivan Vrdoljak ha fissato al 2 aprile la deadline per la firma dei contratti definitivi con le cinque imprese vincitrici del bando. Oltre quella data, ogni manifestazione di contrarietà alla corsa all’oro nero potrebbe rivelarsi inutile.