Giacomo Scotti, foto di Luka Zanoni

Con un suo saggio lo scrittore fiumano Giacomo Scotti ritorna sulle guerre di disgregazione jugoslava. Riceviamo e volentieri pubblichiamo quest'intervista

20/05/2015 -  Vittorio Filippi

Nonostante i suoi 87 anni Giacomo Scotti continua a scrivere. A scrivere non solo di letteratura o poesia, ma anche di saggistica, come fa in questo suo ultimo lavoro. Una saggistica “calda”, impegnata, come sempre passionale, in cui ci racconta di aver corso per anni “con lo zaino in spalla” in una Jugoslavia che si andava disgregando. Incontriamo l’autore in un ristorante a Buccari (Bakar), proprio sul porticciolo da cui partivano (in tempi ormai lontani) gli sfortunati cominformisti che andavano a finire nel famoso lager di Goli Otok.

Cosa presenta questo sua ultima fatica giornalistica?

E’ un racconto personale di circa trent’anni che parte dai primi segnali di disgregazione – emersi già fin da quando partecipai al meeting della poesia rivoluzionaria a Peć, in Kosovo nell’81 – fino al tempo presente, cioè fino all’elezione della fiumana Grabar-Kitarović a presidente della Croazia.

Una testimonianza di storia contemporanea balcanica quindi?

No, non è solo storia passata sia pure recente, perché io racconto anche il presente, le tensioni ed i problemi irrisolti che ancora persistono. La guerra nei cervelli continua oggi con i dissidi tra Croazia e Slovenia sui confini, tra Serbia e Croazia c’è ancora una guerra silenziosa e dentro la Croazia stessa, in cui vivo, persiste l’abisso tra coloro che credono nella guerra partigiana e quelli che preferiscono parlare solo di guerra patriottica. E che hanno come obiettivo latente la fascistizzazione della Croazia con tanto di messe in ricordo di Ante Pavelić e canzonacce ustascia. Che poi la Croazia sia spaccata in due lo si vede anche dalle ultime elezioni presidenziali, in cui la vittoria è avvenuta sul filo di poche centinaia di voti.

Il suo è anche un diario di un uomo che con passaporti italiano ed Unprofor portava aiuti umanitari passando tra stragi e combattimenti …

Sì, e constatai che le uniche zone dove non si combatteva erano quelle dove le etnie erano più mescolate, come l’Istria ed il Quarnero. Solo che qui Tudjman, volendo deliberatamente annacquare la presenza italiana, inviò oltre 100 mila profughi, oltre a ridurre i diritti degli italofoni. Operazione riuscita a Fiume ma non in Istria.

Anche questa è una eredità dei decenni inquieti che racconto, come – a livello personale – gli attentati che subii durante la guerra cosiddetta patriottica. Ma forse me ne faranno ancora dopo l’uscita di questo libro, dato che non voglio stare in silenzio di fronte ai rischi di condizionamento da parte dell’estrema destra croata.

Pesano ancora le violente pulizie etniche prodotte dalle operazioni Tempesta e Lampo del 1995 in Kraijna e pesa pure, a mio avviso, l’eredità dei troppi criminali di guerra che sono in giro e che da più di qualcuno sono ritenuti invece dei veri eroi. Ma io penso che se pure dovessero essere assolti dai giudici non lo saranno mai dalle loro vittime.