© Hana/Shutterstock

© Hana/Shutterstock

Dopo anni di tensioni e a seguito di una recente sentenza della Corte costituzionale croata, Vukovar dovrà reintrodurre le targhe coi due alfabeti, latino e cirillico, che ancora mancano

29/07/2019 -  Giovanni Vale Zagabria

Tornano a far discutere, in Croazia, le targhe bilingue che per legge dovrebbe essere affisse a Vukovar, ma che invece continuano a latitare. A metà luglio, la Corte costituzionale di Zagabria ha dato tempo tre mesi al comune di Vukovar per modificare il proprio statuto (editato nel 2015) e per tornare ad essere in linea con il dettato costituzionale. In altre parole, la legge sulle minoranze che le autorità cittadine volevano eludere deve essere ripristinata anche nel luogo simbolo della cosiddetta guerra d’indipendenza croata, assicurando così il rispetto dei diritti di cui gode, per legge, la minoranza serba locale.

La decisione della Corte costituzionale

Tutto è cominciato lo scorso venerdì 12 luglio, quando in una conferenza stampa, il presidente della Corte costituzionale croata, Miroslav Šeparović, ha annunciato che le autorità comunali di Vukovar devono ampliare i diritti legati all’uso dell’alfabeto cirillico negli spazi pubblici. Šeparović ha illustrato pubblicamente quanto deciso dai giudici della corte lo scorso 2 luglio, in una sentenza che ha invitato il comune di Vukovar a modificare il proprio statuto entro il prossimo mese di ottobre. In questione sono le modifiche apportate nel 2015 allo statuto di Vukovar, in seguito alle proteste del 2013, e che secondo i giudici sono incompatibili con la costituzione della Croazia. 

Sei anni fa, l’introduzione delle targhe bilingue ha incontrato una grande opposizione nella «città martire» (come viene spesso chiamata Vukovar in Croazia per via del terribile assedio a cui la sottoposero per quasi tre mesi nel 1991 le forze paramilitari serbe e quelle dell'Armata Popolare Jugoslava). 20mila persone sono allora scese in piazza per opporsi al bilinguismo. Quello stesso anno, il consiglio comunale, guidato da partiti di destra, ha deciso di proclamare Vukovar «un luogo di particolare pietà» (mjesto posebnog pijeteta), una definizione che avrebbe in pratica esentato il comune dal rispetto della legge sulle minoranze.

Due anni più tardi, nel 2015, quell’opposizione alla politica del governo socialdemocratico veniva istituzionalizzata con la modifica dello statuto cittadino. Si decideva che «i diritti collettivi della minoranza etnica serba» dovevano essere da allora in poi «garantiti» nell’area di Vukovar solo nei casi in cui ci fossero «le condizioni per farlo». Era di fatto un’eccezione alla legge. Ad oggi, ad esempio, i consiglieri comunali serbi possono ottenere la traduzione in serbo e in alfabeto cirillico dei documenti solo dopo averne fatto richiesta scritta, quando per legge basterebbe una domanda orale.

La normativa croata, che dovrebbe valere su tutto il territorio nazionale, prevede che nei comuni in cui una minoranza etnica rappresenti più del 30% della popolazione residente (com’è il caso a Vukovar), quella comunità abbia diritto ad usare la propria lingua nell’interfacciarsi con l’amministrazione pubblica e che sia al tempo stesso introdotto il bilinguismo visivo negli spazi pubblici. Ma a Vukovar, fin dalla loro introduzione, le targhe in cirillico sono state regolarmente prese di mira e distrutte da gruppi di nazionalisti croati, fino a quando il comune non ha modificato il proprio statuto.

I politici scendono in campo

Com’era prevedibile, la decisione della Corte costituzionale ha provocato una levata di scudi in seno all’amministrazione comunale di Vukovar e ha trascinato nel dibattito anche le figure di primissimo piano del panorama politico croato, dal Primo ministro Andrej Plenković alla capo di Stato Kolinda Grabar-Kitarović. Il sindaco Ivan Penava ha dapprima dichiarato che «aumentare i diritti (dei serbi) farebbe peggiorare le relazioni» tra serbi e croati in città, poi ha discusso telefonicamente con il premier e infine è partito alla volta di Zagabria per incontrare la presidente.

Se dalla conversazione con Plenković non è emerso molto (il sindaco ha assicurato che il premier avrebbe espresso «la sua comprensione per la gravità del problema»), l’incontro con Grabar-Kitarović è stato più gravido di conseguenze. La capo di Stato ha infatti espresso il «suo sostegno al sindaco Penava» e pur non sfidando apertamente il verdetto della Corte costituzionale si è lanciata in un commento a limiti del fair-play istituzionale. «La presidente della Repubblica non può commentare sulla decisione della Corte costituzionale, ma porta l’attenzione all’articolo 8 della Legge costituzionale sui diritti delle minoranze nazionali, che sancisce come questi diritti devono essere interpretati ed applicati con l’obiettivo di rispettare le minoranze e il popolo croato, sviluppando comprensione, solidarietà, tolleranza e dialogo tra di loro».

L’intervento di Grabar-Kitarović, che ha anche ricordato il ruolo di Vukovar nella guerra di indipendenza e le ingiustizie subite in passato dalla città, è stato pesantemente criticato, in particolare dal leader della minoranza serba, il deputato Milorad Pupovac. In un intervento lo scorso 19 luglio, Pupovac ha ricordato che la decisione della Corte costituzionale è chiara, sancendo che i diritti della minoranza serba a Vukovar devono essere ampliati, «che questo piaccia o meno». «Annacquare la decisione della Corte costituzionale significa annacquare il ruolo della stessa e l’ordine in Croazia», ha dichiarato Pupovac.

Verso il ritorno dello stato di diritto a Vukovar?

Dopo una settimana di commenti accesi, il sindaco di Vukovar Ivan Penava è intervenuto nuovamente sulla decisione della corte, assicurando questa volta di non aver mai pensato di disubbidire al verdetto dei giudici. «In ottobre il consiglio comunale analizzerà ciò che prevede lo statuto e risponderà di conseguenza», ha dichiarato Penava. Il primo cittadino ha comunque ripetuto che i diritti delle vittime della guerra d’indipendenza «sono stati ignorati per 28 anni» e ha accusato una parte della società croata di «ignorare la Guerra Patriottica e le sue vittime».

Malgrado la sua contrarietà alla decisione della Corte, Penava dovrà comunque implementare il verdetto. Lo stesso ministro della Pubblica amministrazione, Ivan Malenica, ha auspicato che «il consiglio comunale di Vukovar adotti una conclusione di modo che ad ottobre non sarà necessario sciogliere il consiglio». Seppur a controvoglia, dunque, lo stato di diritto dovrebbe fare il suo ritorno nella città simbolo della guerra d’indipendenza croata, dopo sei anni di stallo in cui i diritti della minoranza serba sono stati sospesi.