La nave dell'Osservatorio fa tappa al porto di Vukovar. Accoglienza calorosa tra le note delle "tamburice", la giornata di lavoro è dedicata alla questione dell'informazione.
Quinto giorno di viaggio, terzo giorno di incontri. Stavolta però il luogo induce più degli altri alla cautela nei ragionamenti. Siamo a Vukovar, dove tutto è iniziato. Qui la disgregazione yugoslava è uscita dal "drole de guerre" sloveno per assumere le forme inquietanti della pulizia etnica. Era il 1991, ma i segni sono ancora ben visibili nonostante la rappresentante del Comune mostri con orgoglio quanti sforzi siano stati spesi nella ricostruzione. Anche la chiesa ortodossa - lei la chiama "serba" lasciando pochi dubbi sul grado di identificazione che ancora permane tra comunità nazionali e religiose - è stata ricostruita. Vukovar però assomiglia tristemente ad una cittadina che era mitteleuropea ed è diventata croata, una città dove oggi convivono maggioranza e gruppi di minoranze, ma il cui "genius loci" è stato distrutto insieme ai palazzi asburgici.
Oggi si parla di media, e del loro possibile ruolo nel contesto balcanico alla luce del processo di integrazione europeo. Insieme a Osservatorio, nella organizzazione della giornata ci sono anche la Agenzia della Democrazia Locale di Osijek/Vukovar e One World - South East Europe, la ong basata a Londra che insieme a 1.500 associazioni sparse per il mondo si occupa di informazione elettronica a contenuto sociale. Nei Balcani è proprio South East Europe, per il tramite di Unimondo Italia, ad aver creato un portale multilingue che connette realtà radiofoniche e del giornalismo di base dei diversi paesi della regione.
Dopo le introduzioni è proprio Alex Lockwood, il rappresentante inglese di One World, a prendere la parola.
Discutendo di "media elettronici in quanto attori sociali", Lockwood attacca la rappresentazione del mondo semplificata che forniscono i mezzi di comunicazione di massa tradizionali, "monolitici". Citando il subcomandante Marcos e Philippe Merlant (Attac Francia), Alex snocciola la sua presentazione in power point ricordando che "tutti i cittadini devono poter essere sia consumatori che produttori di informazione. Internet fornisce concretamente questa possibilità, permettendo una competizione di idee che è l'antitesi del pensiero unico espresso dalla informazione tradizionale."
Ad entrare nel vivo del rapporto tra media e processo di integrazione europea nei Balcani è il rappresentante del Media Development Centre di Skoplje. Roberto Belichanec ("mia nonna era emigrata dalla Macedonia in sud America all'inizio del secolo") informa brutalmente la folta platea che: "Sulla integrazione europea i media macedoni ci stanno raccontando solo storie. ... Nel periodo comunista era semplice leggere la propaganda, oggi invece le diverse televisioni private macedoni portano una maschera che rende impossibile all'uomo comune discernere le menzogne.
Dopo Milan Ivanovic, docente alla facoltà di economia della Università di Osijek ("Media e processo di transizione"), "...ma la transizione è troppo complessa da spiegare, non la capiscono nemmeno i politici croati, adesso non c'è tempo a sufficienza se volete posso segnalarvi i miei libri" e Borka Rudic, che oltre a collaborare con One World SEE rappresenta una esperienza radiofonica nata a Sarajevo nel quadro del lavoro del Danish Refugee Council ed è specificamente diretta agli sfollati e ai rifugiati della regione, prende la parola Ljliana Neskovic.
Ljliana è di Belgrado e le sue prime parole sono di emozione "perchè ritorno per la prima volta a Vukovar dopo esserci stata in gita scolastica quando questa città faceva parte di un paese che si chiamava Yugoslavia...". La associazione che rappresenta, ANEM (Associazione dei Media Elettronici Indipendenti) non ha bisogno di presentazioni per chi conosce lo sviluppo del mondo dell'informazione negli ultimi anni nei paesi della exYugoslavia. Nei confronti dell'Europa il concetto è chiaro: "Sappiamo che anche da voi non sono rose e fiori - gli Italiani in sala fanno spallucce. Quello che vogliamo avere in comune con la UE è un quadro normativo comune, la definizione di alcuni principi sotto i quali non si possa andare."
Nella rappresentazione della realtà attuale dei media di casa sua, l'analisi di Ljliana è spietata: "In passato la nostra opera consisteva soprattutto nel difendere le emittenti locali dalle pressioni governative. Oggi possiamo dire la verità, ma abbiamo un problema più urgente: chi ci finanzia?"
Don Zlatko Pehar, docente di filosofia morale, rappresentante del Centro S. Filippo e Giacomo di Vukovar che ospita la conferenza sulla collina che domina la città, attacca l'Europa e la comunità internazionale per i suoi funzionari incapaci e per le pressioni esercitate nei confronti dei media e dei governi della regione. In sala alcuni sembrano condividere, anche se non è del tutto chiaro se la critica provenga da una analisi "no global" o di ultradestra. I passaggi sulla legge sui media vigente in Croazia che spostano l'accento dalla libertà di informazione alla necessità di tutelare chi viene attaccato dai giornalisti contribuiscono alla confusione.
In rappresentanza della Associazione delle Agenzie della Democrazia Locale (ALDA), co-organizzatrice dell'incontro, intervengono la direttire Antonella Valmorbida e il delegato della Adl di Osijek, Miljenko Turniski, ricordando il lavoro svolto sul territorio e i futuri programmi di impegno della rete (11 Agenzie basate in ex Yugoslavia da anni "costruttrici di ponti" tra le comunita' locali europee, con una possibile futura estensione dell'impegno ai paesi del Caucaso).
Nel dibattito conclusivo è Luca Rosini, della Unità di Comunicazione Creativa dell' Ics (Consorzio Italiano di Solidarietà) a porre al centro dell'attenzione una recente esperienza tutta italiana, per rimarcare che anche la televisione può essere un media decente, specie se è "di strada".
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Giorni migliori per i media in Croazia?