(Flickr - Leonid Mamchenkov )

Non accennano a diminuire a Cipro le proteste contro il governo Christofias dopo la disastrosa esplosione avvenuta nel luglio scorso in un deposito di armi. Esplosivi ed armamenti provenienti dall'Iran e diretti in Siria erano stoccati da oltre due anni nella base navale di Mari in stato di abbandono. Una commissione di indagine ora indaga sulle responsabilità

15/09/2011 -  Francesco Grisolia

L’estate del 2011 sarà ricordata negli anni a venire dai greco-ciprioti per il più grave incidente e peggior scandalo che abbiano colpito la propria comunità dopo il 1974. Lo scorso 11 luglio un’esplosione nella base navale di Mari, nei pressi di Limassol, ha causato 13 vittime fra membri dell’esercito e vigili del fuoco intervenuti per domare l’incendio. Ulteriore conseguenza della tragedia è stato il pesante danneggiamento della vicina centrale elettrica di Vassilikos, fondamentale per l’approvvigionamento energetico della comunità greco-cipriota.

Il carico sequestrato e la sua controversa gestione

Nel 2009 la nave russa Monchegorsk, battente bandiera cipriota e diretta dall’Iran verso la Siria, venne intercettata dalla corazzata statunitense San Antonio e costretta ad attraccare a Cipro. A bordo della nave viaggiavano 98 container carichi di armi e vari tipi di esplosivi. Le risoluzioni ONU 1737 (2006) e 1747 (2007) proibiscono l’esportazione di armi dall’Iran, pertanto le autorità cipriote, dietro pressione statunitense, procedettero alla confisca della nave e alla conservazione dei container presso la base navale di Mari. Il materiale è rimasto quindi per oltre due anni esposto agli agenti atmosferici, in un’isola le cui temperature estive sono notoriamente elevate.

Nel corso di un primo discorso alla nazione, lo scorso 14 luglio, il presidente greco-cipriota Dimitris Christofias ha dismesso ogni accusa di responsabilità politica rispetto all’accaduto. Nelle settimane successive il portavoce del governo, Stefanos Stefanou, e vari esponenti del Partito Progressista del Popolo Lavoratore  (AKEL) hanno consolidato questa linea difensiva sostenendo che al presidente non è imputabile alcuna negligenza, non avendo mai ricevuto informazioni dettagliate sul carico confiscato e la sua reale pericolosità. I responsabili della delicata gestione dei container sarebbero stati esclusivamente il capo dell’esercito, Petros Tsalikidis, il ministro della Difesa, Costas Papacostas, e il ministro degli Esteri, Markos Kyprianou. I primi due hanno rassegnato le proprie dimissioni immediatamente dopo l’incidente. Una settimana dopo anche Kyprianou ha chiesto di essere sollevato dal proprio incarico, annunciando l’intenzione di collaborare alle indagini per l’accertamento delle responsabilità.

La commissione Polyviou

I lavori della commissione di indagine ad hoc presieduta dall’avvocato Polys Polyviou stanno delineando un’immagine dell’apparato governativo della Repubblica di Cipro decisamente poco confortante. Le tre principali zone d’ombra finora emerse riguardano la negligenza nella gestione del carico confiscato, l’apparente indifferenza verso le sollecitazioni della Commissione ONU per le sanzioni all’Iran e infine le ragioni per cui la Repubblica di Cipro, pur avendo ricevuto da vari paesi europei proposte di collaborazione allo stoccaggio ed eventuale distruzione del carico, ha preferito rinviare a tempo indefinito una decisione in merito.

Sul primo punto ogni commento pare superfluo: il semplice buon senso – ancor prima dei ripetuti inviti dell’ONU – sarebbe stato sufficiente a giudicare inopportuna l’esposizione agli agenti atmosferici per oltre due anni di 98 container pieni di armi ed esplosivi. La Commissione Onu chiese inoltre alle autorità cipriote di concordare un’ispezione del contenuto del carico, verosimilmente in modo da procedere ad una rapida distruzione dello stesso. Non è del tutto chiaro cosa abbia spinto le massime autorità della Repubblica di Cipro a tergiversare.

Le scuse di Christofias

Lunedì 5 settembre, durante la sua deposizione pubblica di fronte alla commissione presieduta da Polyviou, il presidente Christofias non ha espresso le attese scuse ufficiali ed ha ancora una volta respinto la responsabilità politica dell’accaduto. Egli ha inoltre dichiarato di aver agito “nell’interesse nazionale”, ma i contenuti della sua argomentazione hanno lasciato perplessi molti opinionisti ciprioti. Il presidente ha fatto riferimento alle pressioni ricevute dopo la confisca della nave Monchegorsk diretta dall’Iran e dalla Siria. Damasco avrebbe richiesto con particolare forza che fosse consentito alla nave di continuare il suo viaggio verso la Siria, prevedendo in caso contrario conseguenze negative per le relazioni fra Repubblica di Cipro e il mondo arabo. Christofias ha quindi sottolineato che il rischio di un deterioramento dei rapporti con Damasco avrebbe potuto sommarsi al simultaneo rafforzamento della cooperazione economica e politica tra Siria e Turchia e quindi all’eventualità che la prima operasse in favore del riconoscimento della Repubblica Turca di Cipro Nord da parte della Conferenza Islamica.

Dubbi e ambiguità

Il governo cipriota, stando alle dichiarazioni di Christofias, sembra aver tenuto in considerazione le possibili reazioni di Siria e Iran molto più delle prevedibili tensioni con la commissione ONU, gli Stati Uniti e vari membri dell’Unione Europea. Proprio questa singolare sensibilità per le ragioni di Damasco e Teheran e la relativa noncuranza mostrata verso le sollecitazioni degli alleati occidentali ha spinto alcuni commentatori a cogliere nella mancanza di risolutezza dell’ex-ministro Papacostas e del presidente Christofias una conseguenza dell’orientamento ideologico dell’AKEL. Secondo quanto emerge da documenti ufficiali, Christofias avrebbe assicurato al presidente Bashar Al-Assad che il carico sarebbe rimasto nell’isola fin quando non fosse stato possibile trasferirlo in Siria. Una simile posizione, se dimostrata come linea diplomatica ufficiale, danneggerebbe l’immagine del governo cipriota, costituendo una palese violazione delle risoluzioni ONU in materia di sanzioni contro il regime di Teheran. Christofias ha definito le rassicurazioni fornite a Damasco come una semplice “manovra diplomatica”, ma le sue parole non hanno dissipato l’impressione che il presidente e i suoi più stretti collaboratori non abbiano agito tempestivamente a causa di condizionamenti ideologici antiamericani e del principio “il nemico del mio nemico è mio amico”. Sfortunatamente queste ambiguità hanno impedito un’efficace gestione del carico confiscato, conducendo ad un disastro prevedibile e pertanto ancor più inaccettabile.

L’indignazione popolare e le sentenze già pronunciate

I fatti dell’11 luglio costituiscono un evento eccezionale nella storia della Repubblica di Cipro sotto vari punti di vista. In primo luogo, la distruzione della centrale elettrica di Vasilikos, da cui veniva generata oltre la metà dell’energia utilizzata dai greco-ciprioti, ha tremendamente danneggiato un’economia già in seria difficoltà, tanto da rendere tangibile il rischio della bancarotta e la necessità del salvataggio da parte dell’Unione Europea. Il settore turistico e finanziario, essenziali per l’economia cipriota, sono stati quasi paralizzati dall'improvvisa inutilizzabilità della centrale. Per settimane i cittadini hanno dovuto convivere con regolari blackout nella fornitura di luce e acqua.

In secondo luogo, si è registrata un’ondata d’indignazione popolare senza precedenti. A partire dal 12 luglio, il palazzo presidenziale a Nicosia e le vie dei principali centri dell’isola sono stati scenario di imponenti manifestazioni e sit-in di protesta. L’AKEL e il presidente Christofias hanno colto in tali iniziative una regia politica occulta, finalizzata a creare una crisi di governo e predeterminare l’esito delle elezioni presidenziali del 2013. I manifestanti hanno tuttavia rigettato categoricamente l’accusa di essere mossi da partigianeria politica e finanziati da gruppi ostili all’attuale governo. Al contrario, gli aganaktismeni polites (“cittadini indignati”) hanno in più occasioni sottolineato la propria estraneità ad ogni affiliazione partitica e ribadito che l’unico fine della loro mobilitazione è la pretesa di procedure trasparenti ed efficaci per l’accertamento delle responsabilità dell’accaduto.

Legato all’intensità delle proteste è il terzo elemento d’eccezionalità della vicenda: per la prima volta il presidente della Repubblica di Cipro, capo di stato e di governo, è stato chiamato a fornire la propria deposizione nel corso di una pubblica udienza e per la prima volta, come dichiarato in una lettera che gli aganaktismeni hanno consegnato a Polyviou, esponenti di primo piano del governo saranno chiamati a dar conto delle proprie azioni e dovranno assumere la responsabilità delle proprie scelte di fronte ai cittadini.