La crisi che scuote Cipro sta facendo crollare un'economia che nei decenni scorsi ha costruito le proprie fortune sul settore finanziario. Un "paradiso fiscale" che ha attirato denaro anche dagli affari sporchi che hanno accompagnato le guerre jugoslave. Un commento di Michele Nardelli
E’ stravagante come la crisi finanziaria che ha travolto in queste settimane la Repubblica di Cipro abbia potuto far tremare anche l’Unione Europea. Cipro è un paese piccolo, la sua popolazione supera appena il milione di abitanti, il suo PIL di è di 19,3 miliardi di Euro, ovvero solo lo 0,2% del PIL dell’Eurozona. Perché dunque la crisi finanziaria nell’isola di Afrodite ha richiesto un intervento così drastico, mettendo peraltro in discussione le regole assicurative dei depositi bancari nella zona euro?
La risposta è che Cipro altro non è che lo specchio in miniatura della finanziarizzazione globale. Per descrivere la crisi cipriota si è fatto riferimento all’insostenibilità del rapporto fra i depositi bancari e il PIL nazionale, che nel 2011 era pari all’835%. Un dato abnorme, certamente, ma che è tipico dei paradisi fiscali e, peraltro, non lontano dal fotografare il rapporto fra l’ammontare globale dei prodotti finanziari e il PIL mondiale (i titoli derivati muovono una quantità di denaro valutabile in 12,5 volte il valore di tutto quel che si produce nel mondo).
Per rimanere in Europa, che cosa si dovrebbe dire del ricco Lussemburgo che a fronte di un PIL di 44 miliardi di euro (che in gran parte viene proprio dal settore bancario) nel 2012 contava depositi bancari per 227 miliardi di euro, ovvero il 517%?
Eppure la Repubblica di Cipro non è più considerata da tempo un paradiso fiscale, inserita com’è da OCSE nella "lista bianca" al pari dell’Italia. L’imbarazzo è tutto qui, perché in realtà Cipro ha continuato ad agire in questi anni di onorata appartenenza non solo all’Unione Europea, ma anche all’elite finanziaria (l’Eurozona) come uno stato offshore. Un’attività particolarmente redditizia tanto da fare dell’isola fin dall’inizio degli anni ‘90 un grande attrattore di depositi e, insieme, una grande lavanderia.
Cipro e le guerre nell'ex-Jugoslavia
Le fortune finanziarie di Cipro come paese offshore proliferano attorno alla cosiddetta transizione dall’economia di stato al libero mercato dei paesi dell’est europeo e dell’ex impero sovietico. Si è molto parlato dei depositi degli oligarchi russi e del loro rapporto speciale con Cipro, tant’è che il premier Dmitry Medvedev ha subito posto le sue condizioni per tutelare gli investimenti russi sull’isola. Quel che si conosce un po’ meno è che Cipro è stata per anni il crocevia del riciclaggio (ma anche del traffico d’armi) fra Balcani e Medio Oriente.
O forse ci siamo scordati che il Corriere della Sera definiva Cipro come “l'isola del tesoro” di Slobodan Milosević? Che nell’isola mediterranea approdarono i 480 milioni di dollari che rappresentavano la tangente nell’affare Telekom Serbia, un’operazione da 1.500 miliardi di lire con la quale nel giugno del '97 il regime di Belgrado cedette il 29% dell' azienda telefonica di Stato a Telecom Italia e un altro 20% ai greci della Ote. Una parte di quel denaro venne destinato a tenere in vita un regime traballante che da mesi non pagava gli stipendi dei dipendenti statali (e a vincere le elezioni politiche), mentre un’altra finì – attraverso l’European popular Bank di Atene, intestato alla filiale offshore di Cipro della Beogradska Banka – proprio nelle casseforti d’oltremare di Milosević.
Quando l’Ocse decide di togliere Cipro dalla lista dei paradisi fiscali qualcuno si è forse interrogato sul fatto che i proventi finanziari della guerra dei dieci anni nell’ex Jugoslavia finivano proprio nei forzieri delle banche cipriote? Tra il ' 92 e il 2000, il regime di Milosević riuscì ad accumulare oltre 650 milioni di euro, denaro che veniva accreditato su conti di banche cipriote, intestati a società fantasma di copertura (la Browncourt, la Hillsay marketing e la Vericon management). Solo tra il gennaio ' 98 e il giugno ' 99 arrivarono da Belgrado a Larnaca oltre 300 milioni di euro utilizzati dal regime per aggirare le sanzioni internazionali e per acquistare armi principalmente da produttori israeliani.
Anche i proventi delle operazioni di pulizia etnica in Bosnia Erzegovina finiscono negli anni ’90 nelle banche di Cipro. Contrariamente a quel che si è soliti pensare, la pulizia etnica è una vera e propria attività di crimine organizzato attraverso l’esproprio degli averi di chi la subisce, conti correnti, proprietà immobiliari, beni mobili… Ho personalmente raccolto informazioni sulla circostanza che i denari che venivano espropriati dai depositi nelle banche e negli uffici postali di Prijedor da parte del Comitato di crisi che aveva pianificato la pulizia etnica in quella regione fin dal 1991, finivano proprio a Cipro.
Un altro capitolo che intreccia negli anni ’90 la dissoluzione della Jugoslavia e il ruolo offshore di Cipro sono i traffici che vedono protagonista la mafia montenegrina. Traffici che in un primo momento (dal 1994 e per gli anni successivi) riguardano le sigarette (“1000 tonnellate al mese”, indicano gli inquirenti pugliesi) e poi l’eroina, la cocaina, gli esseri umani… consolidando un patto criminale con la “quarta mafia”, quella Sacra Corona Unita oggi diventata la manodopera della criminalità russa, serba e montenegrina che si è messa in proprio e che agisce in varie regioni del nostro paese sul piano del riciclaggio e dell’usura.
Arriva l'”Organizatsya”
Infine la mafia russa. Il salto di qualità nella struttura della Organizatsya, la mafia che ha radici profonde nella storia sovietica, si ha nel 1991 con l’affare dei vouchers. In quell’anno il governo Gorbačev vara un’importante legge per la privatizzazione della proprietà pubblica. Una norma che prevede l’uso dei vouchers, certificati azionari con cui i lavoratori acquisivano le loro quote di aziende pubbliche. Chi nell’allora Unione Sovietica aveva la possibilità di essere inserito nelle imprese pubbliche e di disporre di capitali per fare incetta di certificati azionari, di fronte al bisogno di liquidità e alla svalutazione dei certificati, furono gli operatori del mercato nero, ovvero della Organizatsya. In questo modo la mafia russa ha fatto cassa ed ha allargato il proprio giro d’azione nei traffici d’armi e di esseri umani (Transnistria) e nello stoccaggio di rifiuti tossici e nucleari, nel riciclaggio di denaro sporco. Divenendo il soggetto criminale più potente al mondo. E’ in questo contesto che Cipro diventa il luogo credibile per le operazioni verso l’Europa e non solo.
Le pratiche bancarie che avevano permesso di drenare verso Cipro enormi capitali per operazioni di lavanderia e spesso destinati ad investimenti in lidi più sicuri, proseguono anche dopo l’ingresso di quel paese in zona euro, senza particolari controlli tanto che la crisi della Grecia investe in pieno anche le banche cipriote cariche di titoli di stato il cui valore nel frattempo s’era dimezzato.
Casinò al posto delle banche?
Arriviamo così alla grave crisi finanziaria, che ha posto la Repubblica di Cipro di fronte ad un bivio: o accettare il piano della troika europea, un’operazione di salvataggio da 17 miliardi di euro, oppure l’uscita dall’Euro. Viene accettato il piano europeo ma le incognite rimangono.
E infatti il primo aprile scorso, in occasione del giorno dell’indipendenza, il presidente Nicos Anastasiades, nell’affermare la necessità di costruire “una nuova epoca” e rilanciare l’economia cipriota, ha proposto un piano in dodici punti, dove vengono proposti fra l’altro sgravi fiscali per gli imprenditori esteri che investono nel paese e la rimozione del bando che fino ad oggi aveva vietato l’apertura dei casinò che invece sono prosperati a Cipro Nord, l’altra faccia di un conflitto mai risolto.
Dalle banche ai casinò… Sarà il gioco d’azzardo lo strumento per superare la crisi e, già che ci siamo, per la riconciliazione dell’isola?
Michele Nardelli è presidente del Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani.