I continui attentati in Daghestan lo hanno fatto passare inosservato. I rappresentanti delle due fazioni religiose in lotta, sufiti e salafiti, si sono seduti al tavolo dei negoziati. Per OBC il commento di Irina Gordienko, inviata speciale di "Novaja Gazeta"
Il Daghestan è considerato il luogo più pericoloso della Russia e, secondo molti attivisti per i diritti umani, anche d'Europa. Ogni giorno qualcuno viene ucciso, rapito o fatto saltare in aria. Secondo i dati disponibili, l'anno scorso 824 persone sono rimaste uccise o ferite: un numero paragonabile alla popolazione del villaggio russo medio. In altre parole ogni anno, solo in Daghestan, la Russia perde un intero villaggio di persone giovani, sane e abili al lavoro, perlopiù uomini. Le iniziative del governo per "pacificare" la regione ribelle non cambiano radicalmente la situazione, perché lo stato si concentra sui fenomeni "criminali" senza prestare attenzione alle origini ideologiche, culturali e religiose del conflitto.
Il conflitto in Daghestan dura ormai da 15 anni. La sua specificità è nella natura religiosa della contrapposizione fra ribelli e forze di sicurezza: salafiti da una parte, sufi dall'altra. La minoranza religiosa dei salafiti radicali si batte contro la maggioranza filo-governativa sufi. L'atteggiamento dei ribelli verso gli imam "ufficiali" sufi (in gran parte nominati dall'Amministrazione spirituale dei musulmani del Daghestan, intermediario tra governo e comunità islamica) è eloquentemente illustrato da una dichiarazione di Abdullah Saadulaev, leader salafita ucciso diversi anni fa. "Questo è un messaggio per tutti gli Imam che sono stati nominati dall'Amministrazione, hanno rapporti con essa e seminano l'eresia tra i musulmani. Entro una settimana a partire dalla data di pubblicazione di questo comunicato dovranno lasciare i propri incarichi. In caso contrario, saranno prese misure". Dichiarazioni di questo tipo sono caratteristiche dei leader della fazione radicale.
Le origini della scissione
L'Islam ha cominciato a fiorire in Daghestan dopo il crollo dell'Unione Sovietica e l'apertura delle frontiere. La gente poteva andare in pellegrinaggio alla Mecca, studiare nelle università islamiche di tutto il mondo e leggere o ascoltare gli studiosi islamici. E allora sono emerse profonde differenze di vedute.
Il sufismo, storicamente la più diffusa forma di Islam nella regione, è in Daghestan strettamente intrecciata con le tradizioni popolari e nazionali. I sufi si considerano seguaci dei propri maestri spirituali, gli sceicchi, venerati quasi come santi. I salafiti negano invece l'autorità degli sceicchi, che vedono come una violazione del principio del monoteismo, e sostengono un'interpretazione letterale del Corano. L'obiettivo principale dei salafiti è ripulire l'Islam dalle tradizioni locali, intento che dalla metà degli anni novanta ha incontrato la netta opposizione della vecchia generazione prima e dello stato, che vi ha visto i germi dell'estremismo, poi.
Anziché cercare di appianare il conflitto a livello ideologico il governo, spaventato dagli eventi in Cecenia e poi dalla comparsa di ribelli nelle montagne del Daghestan nel 1999, ha preferito affrontare il problema con la forza, legalizzando praticamente la "caccia alle streghe". La polizia ha introdotto le "liste di wahhabiti", dove si registravano indistintamente tutti coloro che non pregavano nelle moschee ufficiali, bambini compresi. A volte erano sufficienti barba o pantaloni corti (costume dei salafiti) per finire in detenzione. Chi finiva nella lista veniva rapito, torturato, umiliato e praticamente costretto a prendere le armi e scappare nei boschi. Gradualmente la resistenza armata si è radicalizzata, rispondendo con la violenza agli attacchi della polizia.
Il risultato di questa politica del governo nei primi anni 2000 è che oggi in Daghestan è in corso una guerra non dichiarata, mentre in Russia il termine "wahhabita" (introdotto dalla polizia) è diventato sinonimo di "terrorista" e la comunità salafita moderata, che vuole vivere in pace, è vista come complice dei "terroristi".
Il conflitto armato ha causato migliaia di vittime su entrambi i fronti, tra cui decine di leader religiosi che, con la loro conoscenza e autorità, avrebbero potuto favorire la riconciliazione. Ad esempio Murtazali Magomedov, unico dottore in scienze islamiche dello spazio post-sovietico, è stato assassinato nella propria auto, mentre Sirazhutdin Huriksky, influente sceicco sufi, è stato ucciso da ignoti in casa propria. Ogni morte non ha fatto che esacerbare la divisione tra i credenti. In tutti questi anni non è stato fatto alcun tentativo di avvicinamento, e immaginare i capi spirituali salafiti e sufi al tavolo dei negoziati era impossibile solo pochi anni fa.
Appello alla pace
Il 29 aprile di quest'anno, la moschea centrale della capitale Makhachkala ha ospitato un incontro fra i leader religiosi. Gli studiosi salafiti dell'organizzazione "Ahlu Sunnah" hanno incontrato il mufti Ahmad-Hajji Abdullaev e una serie di sceicchi. L'enorme moschea non riusciva a contenere tutti e la gente si affollava in strada, raccontandosi ciò che stava accadendo nella moschea.
Le parti hanno invitato i musulmani ad unirsi e risolvere le controversie, senza l'intervento di forze terze e su base accademica. A questo scopo si è costituita una commissione speciale composta da rappresentanti sufi e salafiti. Al termine dei colloqui è stata adottata una risoluzione in nove punti che comprende linee guida come la "stretta aderenza al Corano e alla Sunnah del Profeta" (in linea di principio, una possibile futura purificazione dell'Islam dai costumi) e il divieto per i musulmani di usare violenza e insulti fra di loro.
Questa risoluzione è solo un primo passo, che ha segnato la volontà delle parti di superare le divergenze religiose a livello ideologico e pratico. Incontri analoghi sono previsti in tutte le regioni del Daghestan. Questi primi passi sono anche i più difficili e queste iniziative hanno incontrato forte resistenza da entrambi i lati: troppi l'odio e la sfiducia accumulati nel corso degli anni. In futuro, tuttavia, potrebbero essere questi primi passi a portare al superamento del conflitto iniziato quindici anni fa.
*Irina Gordienko è corrispondente speciale della Novaja Gazeta, Mosca