Uno screenshot del portale della "Conferenza sul futuro dell'Europa", in primo piano una ragazza che guarda dall'alto una città

Uno screenshot del portale della "Conferenza sul futuro dell'Europa"

A partire dal 9 maggio, per un anno, le istituzioni europee lanciano un dibattito sul futuro dell'Europa e dell'Unione europea. Ma i Balcani occidentali rischiano di rimanere, ancora una volta, ai margini

07/05/2021 -  Luka Zanoni

Nelle scorse settimane sono circolati due cosiddetti non papers che mirano alla ridefinizione dei confini dei Balcani occidentali. Si tratta di documenti non ufficiali di dubbia provenienza di cui nessuno si è preso la paternità.

Il primo, attribuito al premier sloveno Janez Janša, sembra suggerire che parti della Bosnia Erzegovina vadano ridefinite diventando parti di una “grande Croazia” e di una “grande Serbia”, ed infine che l’Albania si unisca al Kosovo in una “grande Albania”.

Il secondo non paper, attribuito a Francia e Germania, le quali hanno immediatamente smentito la paternità, suggerisce invece la creazione di un distretto autonomo per i serbi del nord del Kosovo per compensare il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo da parte della Serbia. I due documenti hanno creato grandi dibattiti e un certo scalpore.

Essendo documenti non ufficiali in sostanza nessuno se ne è preso la responsabilità. I non paper possono essere interpretati come messaggi lanciati per vedere reazioni nell’opinione pubblica e nei governi ed eventualmente per influenzarne l’orientamento e l’operato.

La società civile, il mondo accademico e numerosi cittadini e cittadine dei Balcani, dell’UE e degli USA hanno reagito scrivendo una lettera aperta ai governi dell'UE, degli Stati Uniti e della NATO per denunciare e impedire la deriva etno-nazionalista che sembra sempre più prendere piede nei Balcani occidentali, di cui i recenti "non paper" sono un esempio eclatante.

La debolezza e incertezza dell’UE nel dar corso in modo coerente all’allargamento presta inevitabilmente il fianco a vecchi sogni di spartizione e unificazione, di ridefinizioni territoriali dei Balcani che tanto sono care ad una miope politica etnonazionalista, anelata da alcuni gruppi tanto nei Balcani che al di fuori di essi. Proprio ciò di cui questa regione, già martoriata da anni sanguinosi e bellicosi, non ha bisogno.

È evidente che il processo di allargamento ai Balcani occidentali si è arenato, che l’UE ha perso lo slancio per integrare a pieno titoli questi paesi. Basti osservare come nella Dichiarazione comune sul futuro dell’Europa , siglata dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Layen, dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli, da Antonio Costa per il Consiglio europeo, non ci sia traccia alcune di allargamento, integrazione, Balcani occidentali. Parole totalmente assenti da un documento comune che vuole delineare il futuro dell’Europa.

È vero, la crisi economica prima e quella pandemica poi, e non ultime la Brexit e la crisi migratoria, hanno ricalibrato le necessità e gli obiettivi dell’UE. Ma è pensabile lasciare a se stessa una regione, ormai vera e propria enclave in seno all’Unione europea? È pensabile lasciare indietro questi paesi che a pieno titolo sono parte storica, culturale, geografica e politica dell’Europa? 

A poco sono valse le esplicite richieste dell’Europarlamento, contenute nelle relazioni adottate nel mese di marzo, di includere in modo appropriato, sia a livello governativo che non governativo, Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia nella Conferenza sul Futuro dell'Europa.

"Nei Balcani occidentali sono nate e cresciute generazioni di giovani che si sentono e vogliono essere europei e che guardano con speranza all'Unione europea che a quelle aspettative e a quei sogni deve offrire un futuro di crescita e prosperità", così recita il testo della risoluzione approvata il 5 maggio all'unanimità in Commissione esteri della Camera, su proposta del presidente Piero Fassino, e che impegna fortemente il governo italiano a sostenere l’integrazione dei Balcani occidentali.

La risoluzione sottolinea inoltre che “è urgente un cambio di passo e, parallelamente al processo di adattamento dei Paesi candidati ai criteri per una adesione riuscita, un rilancio del percorso di integrazione, rispondendo alle giuste aspettative della regione, accelerando i negoziati con Serbia e Montenegro, convocando le Conferenze intergovernative per avviare i negoziati con Albania e Macedonia del Nord, nel rispetto dei criteri previsti, riconoscendo alla Bosnia Erzegovina lo status di candidato, promuovendo ogni azione utile alla normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo, liberalizzando i visti per il Kosovo e riconfermandone la prospettiva europea. Un cambio di passo è tanto più necessario per far fronte alle conseguenze del Covid-19: i Balcani occidentali siano parte dello spazio europeo di approvvigionamento dei vaccini; Next Generation EU e i programmi europei su green economy, digitalizzazione, ricerca e innovazione, modernizzazione infrastrutturale siano riferimento anche per i Paesi dei Balcani occidentali. Così come tutte le decisioni della Commissione Europea sulle migrazioni e sull’asilo tengano conto dei paesi della regione, superando i drammi della rotta balcanica".

La Conferenza sul futuro dell’Europa - che prenderà avvio domenica 9 maggio su una piattaforma dove verrà condiviso il dibattito sul futuro del continente per rilanciare il progetto democratico europeo - deve coinvolgere pienamente le classi dirigenti e la pubblica opinione dei Balcani occidentali, così da farli sentire subito parte integrante dell’Unione Europea.

I Balcani occidentali, certo, devono darsi da fare per corrispondere ai requisiti dell’integrazione europea, dall’altro i paesi membri dell’UE non possono permettersi di scordarsi regolarmente dei Balcani, abbandonando a se stessi coloro che faticosamente nella regione si battono ogni giorno per fare passi avanti nel processo di integrazione. L'UE  si impegni senza esitazione a sostenere con coerenza la società civile, i movimenti, le istituzioni impegnate sul campo a far valere i valori fondamentali dello spazio politico europeo. Li coinvolga quindi fin da subito nel dialogo sul futuro dell'Europa perché sia un futuro comune e di pace.