Dalla Serbia alla Spagna – passando per l’Italia – il dibattito sui vaccini è acceso. Un uso distorto e troppo superficiale di cifre e percentuali non aiuta però il dibattito su una tematica complessa
La questione dei vaccini è senza dubbio complessa, perché riguarda le scelte, i diritti, la salute del singolo rispetto alla collettività, con tutti gli elementi etici che ne conseguono; perché coinvolge più patologie e spesso ci si concentra su alcune soltanto; perché il tema della malattia e del contagio smuove da secoli più la pancia che non la ragione dell'opinione pubblica. In merito all'obbligatorietà o meno di un determinato numero di vaccini è in atto un dibattito molto acceso in molti paesi europei. Un dibattito non sempre proficuo e spesso divisivo.
Ad aiutare una disamina più serena della questione potrebbero e dovrebbero servire i numeri. Sul tema dei vaccini sono fondamentali. L'assumersi da parte dei decisori pubblici la scelta di obbligare alla vaccinazione i propri cittadini non può infatti prescindere dal ponderare attentamente i rischi di cause avverse – tutti i farmaci ne hanno, e di conseguenza anche i vaccini – con i benefici invece che ne deriverebbero.
I numeri però di per sé non sono garanzia di contributo positivo ad un dibattito pubblico. Ed è evidente proprio nel caso del dibattito europeo sui vaccini. Perché non solo devono essere corretti ma devono anche essere presentati in modo corretto. Cosa che spesso non accade. L'esempio più evidente della distorsione in molti paesi europei nel trattare i numeri è quello del morbillo e della cosiddetta immunità di gregge.
95%
Si parla per la prima volta di immunità di gregge in uno studio pubblicato nel 1923 (W.W.C. Topley, G.S. Wilson, "The spread of bacterial infection. The problem of herd immunity", in The Journal of Hygene, 1923). Secondo il principio dell'immunità di gregge nelle malattie infettive che vengono trasmesse da individuo a individuo la catena dell'infezione può essere interrotta quando un gran numero di appartenenti alla popolazione sono immuni o meno suscettibili alla malattia. La soglia minima di efficacia dell'immunità di gregge varia in base all'agente patogeno considerato; per quelli a maggiore diffusione viene fissata attualmente dalla medicina la soglia del 95% di popolazione immunizzata.
In questi anni di morbillo si è parlato spesso in Europa in termini allarmistici e quale soluzione consequenziale è emersa quella di aumentare la copertura vaccinale per riuscire a raggiungere la fatidica soglia del 95%.
Vicini o lontani?
“Vaccini, crescono le coperture. Quasi raggiunta l'immunità di gregge per l'esavalente”, titola ad esempio un articolo della versione on-line di Repubblica il 24 aprile del 2018 , salvo poi aggiungere – non in modo chiaro – che ci si riferisce ai soli nati nel 2015; il quotidiano ABC, tra i più diffusi in Spagna, pubblica il 22 agosto dello scorso anno un articolo in cui si afferma che “in alcuni paesi si è abbassata sotto il 95% la percentuale della popolazione vaccinata”; Republica.ro, portale on-line romeno, parla ad esempio nel 2016 del “...calo del tasso di vaccinazione all'80% a livello nazionale, nonostante dovrebbe essere superiore al 95% per prevenire la malattia”.
Basta una sommaria indagine tramite Google per trovare decine di articoli di questo tipo, su molti media europei, dai quali sembrerebbe evincere che così lontani da quella soglia del 95% non saremmo. In realtà, con precisione, non sappiamo quanta parte di popolazione dei singoli paesi europei è effettivamente immunizzata al morbillo. Purtroppo infatti gli esempi sopracitati rappresentano una modalità del tutto distorta di presentare i dati a nostra disposizione, perché vengono comparati dati di natura diversa.
Popolazione vs. fasce d’età
Il 95% nella teoria dell’immunità di gregge si riferisce infatti all'intera popolazione, mentre gli unici dati complessivi disponibili a livello europeo e internazionale – sui quali si basano poi i database dell'Organizzazione mondiale della sanità – si riferiscono a specifici anni di nascita, in particolare alle vaccinazioni effettuate sulle fasce più giovani della popolazione.
Quando quindi, sempre per citare il quotidiano italiano La Repubblica, si afferma che “dalla Regione Toscana fanno infatti sapere che per la polio, che si fa insieme a emofilo B, epatite B, difterite, tetano e pertosse, si è superata la soglia dell'effetto gregge, raggiungendo il 95,78%. Per il morbillo, che si fa insieme a parotite, rosolia e varicella, che l'anno scorso era intorno all'89%, il nuovo dato segna un 93,5%” si dà una visione fortemente distorta della realtà perché quel 95,78% e quel 93,5% ci danno solo un’informazione parziale dell'immunità di gregge riferendosi solo ad una minima parte dell'intera popolazione, quella dei più giovani (secondo dati Istat al primo gennaio 2016 la fascia di età 0-9 rappresentava poco meno del 9% della popolazione totale). Non aiuta inoltre il fatto che in alcuni paesi europei, tra cui l'Italia, non esiste neppure un'anagrafe vaccinale a livello nazionale.
Da questo si evince che per dire con relativa certezza, in ciascun paese europeo, quanta percentuale della popolazione è immunizzata ad esempio al morbillo, l’unica strada percorribile è attualmente quello di fare analisi a campione su tutte le fasce d’età della popolazione e poi espandere il dato a livello nazionale. Studi che ad oggi sono stati fatti solo parzialmente .
Con queste premesse si può affermare che non si conosce in molti paesi europei il reale dato su quanta popolazione è immunizzata, e di conseguenza il dibattito sull’immunità di gregge viene spesso fatto in modo ideologico e senza dati solidi a supporto.
Esistono anche casi ovviamente positivi di trattamento puntuale della questione. In un articolo di Politika , storico quotidiano di Belgrado, i giornalisti chiedono ad un esperto locale, l’epidemiologo Zoran Radovanović, del livello di copertura della popolazione dal morbillo e quest’ultimo sostiene che ad esempio i nati negli anni ‘50 dovrebbero essere immuni perché hanno contratto in gran numero il morbillo da piccoli, mentre quelli nati dopo il 1971, a cui è stata somministrata una sola dose dell’allora vaccino potrebbero ammalarsi ma senza sintomi virulenti. Un’analisi che può essere o meno discussa ma che non si nasconde dietro all’utilizzo distorto dei dati.
Risposte facili per risolvere “l’emergenza”
La verità è che politiche messe in campo su questo tema, come ad esempio in Italia il Decreto vaccini convertito in legge il 31 luglio 2017, daranno forse una risposta piena a quella che è stata in più occasioni definita come “un'emergenza” solo nei decenni a venire, perché la copertura dell'intera popolazione rimarrà comunque parziale. In questo aspetto risiede anche il motivo per cui questa distorsione dei dati ottiene così ampia diffusione. Perché in alcune delle società europee si parla troppo spesso di emergenze e ad ogni emergenza, o presunta tale, si deve rispondere in modo immediato e trovare soluzioni subitanee, senza esitazioni e senza dibattito.
Se risposte immediate non ci sono – spesso è così – occorre presentarle come tali: ed allora sostenere che si è con certezza prossimi – o non distanti – al famigerato 95% tranquillizza di più e crea più consenso piuttosto che descrivere la realtà dei fatti: occorrerebbero indagini capillari e puntuali per definire, in ciascun paese europeo, i livelli di copertura.
Se una parte della politica può avere proprie ragioni elettorali per procedere in questo modo, il giornalismo ha il dovere deontologico ed etico di non accodarsi.