Confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina © BalkansCat/Shutterstock

Confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina © BalkansCat/Shutterstock

La proposta di un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, elaborata dalla Commissione europea e ancora in fase negoziale, contempla un meccanismo di monitoraggio indipendente in grado di vigilare sulle violazioni dei diritti dei migranti. Vi è già l'ostruzione da parte di gruppo di Visegrád, Croazia, Bulgaria e Romania

20/10/2020 -  Apostolis Fotiadis Atene

(Originariamente pubblicato da Balkan Insight , il 13 ottobre 2020)

Mentre i governi e i gruppi pro e anti-migrazione si preparano ad affrontare difficili negoziati sul nuovo patto sulla migrazione e l'asilo , presentato dalla Commissione europea lo scorso 23 settembre, le disposizioni che prevedono la creazione, da parte degli stati membri, di un meccanismo indipendente di monitoraggio dei confini sono rimaste in secondo piano rispetto ad altre proposte e sono state ampiamente ignorate nelle prime analisi del documento. In un momento in cui Bruxelles sta pensando di vincolare i fondi UE al rispetto dello stato di diritto, questo meccanismo di monitoraggio potrebbe diventare una questione alquanto problematica per i governi dei paesi dell’Europa centrale e sud-orientale.

Il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo, elaborato dalla Commissione europea nel tentativo di risolvere la spinosa questione migratoria che sta lacerando l’UE dalla crisi dei migranti del 2015, ha suscitato reazioni contrastanti.

Secondo la Commissione europea, l’obiettivo principale del patto è quello di rendere più efficiente la procedura di asilo per “gli arrivi irregolari” attraverso screening più veloci, controlli sanitari e di sicurezza e  determinando con chiarezza lo stato competente ad esaminare la domanda di asilo.

“Cercando di raggiungere un consenso, la Commissione europea, nel suo patto sulla migrazione e l’asilo, ha ceduto alle pressioni dei governi anti-migrazione”, ha affermato Oxfam , sostenendo che le proposte della Commissione europea non faranno altro che perpetuare l’attuale situazione, “invece di abolire un sistema già fallito”.

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán che, insieme ai leader di altri paesi del Gruppo di Visegrád (Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia), si è sempre opposto fermamente all’idea delle quote – secondo cui i migranti andrebbero distribuiti tra gli stati membri – , ha definito il tono del nuovo patto come “migliore”, aggiungendo però che “non c’è alcuna svolta”.

Nonostante l’idea delle quote obbligatorie sia stata accantonata, sostituita dal principio secondo cui i paesi restii a ricevere migranti e richiedenti asilo dovrebbero aiutare in altri modi, Zoltán Kovács, portavoce di Orbán, ha sottolineato in un tweet che: “Pur comparendo sotto un altro nome nel nuovo pacchetto di proposte della Commissione europea su migrazione e asilo, le quote migranti ci sono ancora, e l’Ungheria vi si oppone, insieme alla Polonia e alla Repubblica Ceca”.

A seguito di un incontro dei leader dei paesi del Gruppo di Visegrád con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il primo ministro ceco Andrej Babiš ha twittato che “la difesa dei confini europei e lo stop alla migrazione illegale” dovrebbero essere i principali punti del nuovo patto sulla migrazione.

Le reazioni negative del Gruppo di Visegrád alla proposta del nuovo patto su migrazione e asilo sono state interpretate da molti come una presa di posizione in vista degli imminenti negoziati. Come ha sottolineato Catherine Woollard, direttrice del think thank European Council on Refugees and Exiles con sede a Bruxelles, il nuovo patto mira a “consolidare la strategia di prevenzione degli arrivi, invece di cercare di far funzionare [il sistema di] asilo in Europa. Date queste premesse, è difficile comprendere l’insoddisfazione dei populisti anti-migrazione, compreso il Gruppo di Visegrád. Il Patto è più o meno quello che volevano, ma ancora non basta loro”.

Monitoraggio indipendente

Il nuovo patto contiene anche le disposizioni per la creazione e l’implementazione di un meccanismo indipendente di monitoraggio dei confini volto a “garantire il pieno rispetto dei diritti [dei migranti] dall’inizio alla fine della procedura”. Secondo alcuni analisti, questo meccanismo potrebbe diventare il nodo più spinoso per il Gruppo di Visegrád.

“Proporremo un nuovo meccanismo di monitoraggio indipendente da implementare da tutti gli stati membri sotto la guida dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali, per garantire che non vi siano respingimenti ai confini“, ha affermato la Commissaria europea per gli Affari Interni Ylva Johansson lo scorso 23 settembre, presentando il nuovo patto su migrazione e asilo.

Pur non essendo ancora del tutto chiaro come questo nuovo meccanismo sarà realizzato e reso operativo, l’istituzione di un organismo incaricato di vigilare sulle procedure effettuate ai confini e di indagare sulle accuse di violazioni potrebbe rappresentare un importante passo in avanti.

“È una presa di coscienza della necessità di un monitoraggio indipendente sulle procedure di accoglienza e di controllo dei confini”, ha dichiarato a BIRN il difensore civico greco Andreas Pottakis.

“Insieme a molti miei colleghi, abbiamo sottolineato che questo [meccanismo] era necessario da molto tempo. Ora bisogna vedere come reagiranno gli stati membri a questa proposta”, ha affermato Pottakis.

Negli ultimi anni, alcuni stati periferici dell’UE hanno intrapreso diverse azioni per ostacolare qualsiasi attività di vigilanza sui loro sistemi di controllo dei confini, ignorando gli inviti a indagare sulle accuse di violazioni dei diritti umani.

Ad esempio, nel marzo 2019 l’ombudswoman croata ha ricevuto una lettera anonima scritta da un gruppo di agenti della polizia di frontiera croata [in cui denunciavano i comportamenti violenti dei loro colleghi] e ne ha informato il procuratore generale della Croazia, il quale però non ha intrapreso alcuna azione. Poi nel giugno 2019 l’ombudswoman, conformemente al suo mandato, ha inviato la lettera scritta dai poliziotti alle competenti commissioni parlamentari, ma nemmeno loro hanno reagito, non lasciando all’ombudswoman altra scelta se non quella di rendere nota l’intera vicenda all’opinione pubblica.

Un altro esempio riguarda la decisione di Budapest di sospendere, nel 2017, un accordo sul monitoraggio dei confini sottoscritto nel 2007 tra UNHCR, il Comitato di Helsinki ungherese (HHC) e la polizia ungherese con lo scopo di sostenere il diritto [dei migranti] di entrare nel territorio ungherese e di accedere alla procedura di asilo. Nel 2018 il governo ungherese ha approvato la cosiddetta legge “Stop Soros” che “criminalizza le attività a sostegno dei richiedenti asilo e restringe ulteriormente il diritto di chiedere asilo”, come ha affermato la Commissione europea nel ricorso per inadempimento presentato contro Budapest davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea a Lussemburgo.

Marta Pardavi, co-presidente del Comitato di Helsinki ungherese, ha dichiarato a BIRN che “oltre a intimidire la società civile [ungherese], queste misure miravano a impedire che le informazioni su abusi e maltrattamenti venissero a galla. Il monitoraggio svolge un ruolo importante nella prevenzione dei trattamenti disumani e delle violazioni dei diritti umani. La messa al bando delle attività di monitoraggio indipendente permette che le violazioni passino inosservate”.

“Gli stati [membri] hanno il diritto di controllare i [propri] confini, ma hanno anche il dovere di proteggere i diritti umani nelle situazioni che si verificano ai confini. In pratica, però, c’è una tensione intrinseca tra forze dell’ordine ai confini e osservatori indipendenti. È difficile immaginare che gli stati membri che avevano intrapreso azioni contro gli osservatori indipendenti possano accogliere facilmente la proposta della Commissione“, ha affermato Pardavi.

A partire dal 2015 si sono moltiplicate le accuse di violazioni delle norme comunitarie e internazionali alle frontiere esterne dell’UE, comprese le denunce di aggressioni e torture ai danni dei migranti, seguite da respingimenti effettuati dalle autorità croate, ceche e ultimamente anche quelle romene . Tuttavia, la Commissione europea si è sempre dimostrata restia a confrontarsi con gli stati membri su questa questione, sostenendo di non essere incaricata di indagare su tali accuse.

Anche gli strumenti di monitoraggio interno di cui dispone l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) – istituita con il compito di coordinare le operazioni congiunte di controllo dei confini e di rimpatrio forzato – si sono dimostrati inefficaci per quanto riguarda l’accertamento di presunte violazioni commesse durante le operazioni di Frontex. La mancanza di rapporti sui controlli interni è stata più volte citata dai più alti funzionari dell’UE e della stessa Frontex a dimostrazione dell’assenza di prove delle violazioni.

“Questo riporta in primo piano la questione della mancanza di un monitoraggio indipendente delle operazioni che vedono sempre più coinvolta l’UE, una questione che continua a non essere affrontata“, afferma Andreas Pottakis.

Rapporto annuale sulla migrazione

I paesi del Gruppo di Visegrád e gli stati membri situati alle frontiere esterne dell’UE (Croazia, Bulgaria e Romania) hanno buoni motivi per tentare di stroncare l’idea di un monitoraggio indipendente durante i negoziati o durante l’implementazione del nuovo patto su migrazione e asilo.

Questi paesi sono stati criticati, seppur non in egual misura, dalla Commissione europea nella sua prima Relazione annuale sullo stato di diritto nell'UE , presentata lo scorso 30 settembre, per aver violato diversi principi democratici. Questo documento, insieme a un nuovo rapporto annuale sulla gestione delle migrazioni proposto dalla Commissione europea, potrebbe giocare un ruolo importante nei tentativi di vincolare l’erogazione dei fondi di bilancio dell’UE e delle risorse del Recovery Fund (che ammontano a 750 miliardi di euro) al rispetto dello stato di diritto.

Catherine Woollard, direttrice di ECRE, mette in guardia dalla possibilità che il modo in cui è stata formulata la proposta dell’introduzione di un meccanismo di monitoraggio indipendente possa circoscrivere l’impatto di questo meccanismo, e quindi anche la sua efficacia alle procedure di screening. ECRE intende proporre alcune modifiche al testo presentato dalla Commissione europea per migliorarlo quanto possibile. “Queste [proposte] riguarderanno diverse questioni come l’indipendenza e le risorse destinate agli organismi incaricati della gestione di questo meccanismo in ogni stato membro, nonché la necessità di estendere il raggio d’azione del meccanismo a tutte le operazioni effettuate ai confini”, spiega Woollard.

La proposta di creare un meccanismo di monitoraggio indipendente potrebbe incidere anche sulla riforma della normativa UE in materia di rimpatri forzati. Entro fine ottobre dovrebbe essere discusso un emendamento che invita gli stati membri a garantire che “gli osservatori indipendenti del rimpatrio forzato, con un’adeguata formazione sui diritti umani, sorveglino debitamente tutte le operazioni di rimpatrio forzato”.

Il Forum consultivo sui diritti fondamentali – un organismo consultivo dell’agenzia Frontex costituito dalle principali ong internazionali e da varie agenzie dell’UE e dell’ONU – ha recentemente pubblicato una serie di raccomandazioni volte a migliorare la capacità di monitoraggio di Frontex, invitando l’agenzia a “rafforzare l’efficacia e l’indipendenza del team di osservatori del rimpatrio forzato”.