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Da poco in libreria “Sicurezza”, un breve saggio che guarda al presente europeo e prende spunto dagli anni '90 nei Balcani

10/09/2018 -  Davide Sighele

Non è facile scrivere di un libro scritto da persone con cui si è condiviso parte di un percorso di vita e professionale. Non è facile perché dopo viaggi, discussioni, esperienze comuni si teme di non riuscire più a meravigliarsi, a stupirsi e a sentirsi colpiti da ciò che si legge.

Michele Nardelli e Mauro Cereghini, gli autori di “Sicurezza”, uscito di recente per Edizioni Messaggero di Padova, sono tra coloro i quali hanno fatto nascere Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e lo hanno accompagnato nei primi passi. Sono stati poi affiancati nel farlo crescere e diventare un'esperienza matura qual è ora dalla nostra direttrice scientifica Luisa Chiodi e dal nostro direttore di testata Luka Zanoni.

E' bastata però la lettura delle prime pagine per dissipare i timori e per trovare stimolante il proseguire.

Ed a proposito di timori da dissipare, eccone un altro, che potrebbe cogliere qualche curioso che scorgesse la copertina su un espositore in libreria: data la retorica dominante di questi mesi (ma si potrebbe purtroppo dire, di questi anni) “Sicurezza” potrebbe sembrare una sorta di instant book. Non è certo così. Sarebbe del resto paradossale per due autori che, negli anni scorsi, hanno pubblicato “Darsi il tempo”, un'acuta riflessione sulla crisi del mondo della cooperazione internazionale che verte proprio sul rifuggere la cultura dell'emergenza.

Questo lavoro va al contrario nel senso opposto: non si cercano spiegazioni sommarie e usa e getta per descrivere gli attimi e gli avvenimenti del presente ma si dedica la propria attenzione ad una singola parola, sicurezza appunto, svelandone e osservandole gli ingranaggi.

I due autori lo fanno per uscire dalla strada segnata, che ci porta in questa parola a vedere solo “paura e chiusura”. E lo fanno partendo dalla Sarajevo dell'inizio della guerra e dell'assedio, nel 1992. Qui non accadrà, dicevano i suoi cittadini, mentre le trincee erano già state scavate. “Si vede solo ciò che si vuol vedere”, scrivono Cereghini e Nardelli. E così è per quanto riguarda il tema della sicurezza a cui si vuole tornare a dare un significato pieno e plurale.

Il merito di questo lavoro è quello di non lasciarsi andare alla polemica della contrapposizione ma piuttosto del tentare di scardinare i concetti con cui ancora troppo spesso guardiamo, senza capirlo, al presente.

Così si denuncia il nostro sguardo impregnato di positivismo, con una concetto lineare del tempo, concetto che hanno fatto proprio tutte le grandi ideologie del '900. Con il crollo del muro di Berlino che però non ha portato ad un comune futuro di pace, come ci si aspettava in chiave illuministica.

Si è piuttosto assistito, sottolineano gli autori, alla fine del privilegio occidentale che ci ha portati a fare i conti con il senso del limite e questo ha creato nelle nostre società un'insicurezza profonda. Che colpisce anche i movimenti in cui Cereghini e Nardelli si erano e si riconoscono tutt'ora, quelli per la pace: “La pace è in crisi, una crisi che riflette quella di tutti i corpi intermedi incapace di mettere a fuoco i processi di cambiamento per effetto di categorie interpretative inadeguate e insieme vittime di autoreferenzialità per la mancanza di ricambio generazionale e di trasmissione ed elaborazione delle esperienze precedenti.”

Pur con alcune esemplificazioni non del tutto condivisibili - come quella in cui si attribuisce l'attuale dibattito sulla questione vaccini all'egoismo di alcuni che metterebbe a repentaglio la salute della comunità e che invece sarebbe esempio calzante per le argomentazioni portate nel libro se interpretato in modo più puntuale - un grande merito degli autori è senza dubbio quello di ri-conoscere e dialogare con il senso di insicurezza che pervade le nostre società, senza negarlo.

Cereghini e Nardelli non si occupano solo di smontare e osservare il concetto di sicurezza ma provano anche a rimontarlo. E lo fanno in modo convincente, proponendo un senso plurale dell'idea di sicurezza: reinterpretando i diritti in base alla loro esigibilità universale, e legandola alla sobrietà dei consumi e alla qualità delle relazioni. E – usando le loro parole - “liberando la parola sicurezza dallo stereotipo che l'associa alla difesa e all'esclusione, cogliendo invece la domanda intima e profonda che le soggiace, quello del prendersi cura”.

Un breve saggio che merita di essere letto.