Un reportage dal confine bulgaro-romeno, tra decine di camionisti in attesa di entrare nello spazio Schengen. Tra controlli doganali, turni estenuanti e competizione sui salari, sono sempre meno gli europei che scelgono la professione di autotrasportatore – proprio mentre il settore della logistica è in grande espansione
[Questo articolo è stato originariamente pubblicato da El Confidencial nell'ambito del progetto PULSE e prodotto con la collaborazione di: Laurentiu Ungureanu e Adi Iacob (Hotnews, Romania), Petra Dvořáková (Deník Referendum, Repubblica Ceca), Lily Granitska (Mediapool, Bulgaria), Michał Kokot (Gazeta Wyborcza, Polonia)]
Strada statale romena n° 5: dal finestrino di uno dei camion bloccati nei pressi della dogana tra Romania e Bulgaria spunta un braccio ornato da un tatuaggio in spagnolo: "No te fíes de la confianza" (Non fidarti della fiducia). Alin, un romeno di 40 anni con un paio di Ray-Ban neri, dice che in passato ha lavorato a Madrid come vigilante e da un anno guida un camion.
Sono passati pochi giorni dall'adesione parziale di Bulgaria e Romania allo spazio europeo di libera circolazione Schengen, avvenuta il 31 marzo ma valida solo per i trasporti aerei e marittimi. I camionisti romeni e bulgari in attesa nei pressi della dogana si lamentano: per loro non è cambiato nulla. L'adesione per i trasporti via terra continuerà a essere negoziata nei prossimi mesi.
Adnam e Saban, due camionisti turchi, estraggono il bollitore da un borsone di Nesquik e condividono tè e olive all'ombra del loro camion. Fanno questo lavoro rispettivamente da 24 e 18 anni, trasportano componenti di veicoli in tutta Europa. Constantine, un camionista romeno di 52 anni, nonno di una bambina, si è fermato per fumare una sigaretta. Viene dalla Spagna e prima è stato in Portogallo; anche lui trasporta componenti di automobili, "di marca Renault". Teme la frontiera. È diretto in una zona industriale vicina e racconta che, quando lo vedono passare, gli altri camionisti gli tirano pietre e lo insultano, "perché pensano che mi intrufoli," dice sorridendo. Nonostante le difficoltà, il lavoro gli piace. Lo fa da 31 anni. Ha ottenuto la patente per i camion durante il servizio militare: ogni mese trascorre venti giorni lontano da casa, e ha festeggiato il suo 52° compleanno da solo in un parcheggio. Quando torna a casa, si occupa della madre e dell'orto.
Su questa strada nei pressi del confine bulgaro-romeno si apre una finestra su una comunità molto particolare, quella dei camionisti. Il settore sta affrontando una crisi che rischia di mettere a repentaglio le catene europee della logistica, fortemente dipendenti dal trasporto su strada. Secondo dati del 2022, oltre il 77% del trasporto merci in Europa avviene su gomma e solo il 17% su rotaia, nonostante i tentativi di promuovere forme di trasporto meno inquinanti.
Sempre meno giovani
"Come possiamo pensare di attirare giovani o donne verso questa professione se i camionisti devono aspettare un'intera giornata per attraversare un confine?" si chiede Radu Dinescu, segretario generale dell'UNTRR (associazione nazionale dei trasportatori su strada romeni).
Paradossalmente, c'è carenza di camionisti proprio ora che le modalità di produzione e consumo li hanno resi più necessari. Nella sola Europa mancano almeno 425.000 camionisti, secondo i dati raccolti nel 2021 dall'Associazione internazionale dei trasporti stradali (IRU), che stima che entro il 2028 ci saranno 745.000 posti scoperti. Solo il 5% dei conducenti di camion in Europa ha meno di 25 anni e, a livello globale, solo il 6% sono donne .
Olga, una romena di 42 anni, è l'unica camionista che abbiamo incontrato al confine. Prima lavorava a Barcellona, "in vari settori". Ha ottenuto la patente di tipo C nel 2017. Il più giovane autista in coda è Atila, uno slovacco di 34 anni, single e senza figli. "Faccio il camionista solo da un anno," dice sorridendo dalla cabina. Guadagna tra i 2.700 e i 2.800 euro al mese.
I salari variano molto da paese a paese. Secondo i dati dell'IRU (2020), un camionista che lavora nel trasporto internazionale in Spagna guadagna 1.950 euro al mese, in Romania circa 565 euro. Nonostante gli stipendi siano buoni, la vita nei parcheggi e nelle stazioni di servizio non attira i giovani e moltissimi camionisti vanno in pensione senza che nessuno li sostituisca. Secondo l'IRU, il 72% dei camionisti spagnoli ha più di cinquant’anni.
"Quando mi sentivo solo guardavo il mio conto in banca sul cellulare," scherza Rubén García, un dj di Madrid che, dopo aver perso il lavoro in discoteca, a 38 anni ha preso la patente per i camion. Guadagnava 2.600 euro al mese. "Mi sono anche comprato una Mercedes, ma poi si è rotta," racconta.
Per un anno e mezzo García ha trasportato confezioni di gazpacho e frutta dalla Spagna all'Inghilterra. Poi proseguiva per la Germania, dove ritirava televisori da consegnare sulle Alpi francesi. La cosa peggiore "è che non hai una vita. È estenuante. Quando tornavo a casa, passavo il tempo sdraiato sul letto". Per tre volte gli hanno rubato la benzina, "in Francia, mentre dormivo". Ha smesso con i viaggi internazionali quando sei giovani migranti si sono intrufolati nel suo camion. Ora lavora in Spagna: dice che guadagna quasi 900 euro in meno, ma fa una vita più serena.
Camionisti in movimento verso Ovest
Sull'altra sponda del Danubio, in Bulgaria, dove i camionisti sono quasi 60.000 – l'1% della popolazione – molti autisti se ne vanno in paesi che offrono salari più alti. Sul mercato internazionale i TIR bulgari in circolazione sono circa 28.000, spiega Yordan Arabadjiev, direttore esecutivo dell'Unione degli autotrasportatori internazionali bulgari. Nel frattempo, alle aziende di trasporto bulgare mancano 3-4.000 camionisti.
"Guidare un camion dalla Bulgaria è un incubo, ci vogliono tre giorni per passare il ponte sul Danubio e poi tre giorni per passare il confine romeno-ungherese", si lamenta Ivo, un camionista bulgaro che dal 2002 lavora per aziende internazionali in Belgio e nei Paesi Bassi per una cifra compresa tra i 3.300 e i 3.500 euro al mese. Salario a parte, dice che all'estero le ferie vengono rispettate. Anche Julian, un bulgaro di 55 anni, ha lasciato il suo paese nel 2000. Lavora per un'azienda italiana che lo paga circa 2.600 euro al mese e versa circa 1.810 euro in contributi – molto di più di quanto otterrebbe con il salario minimo bulgaro, pari a 480 euro.
Situazione simile in Cechia, dove mancano tra i dieci e i ventimila camionisti. Alcuni si spostano a vivere vicino al confine con l'Austria o la Germania, così da lavorare per aziende di quei paesi, che offrono salari più alti rispetto a quelli cechi. Ad esempio, Mihal vive in Cechia ma lavora per un'azienda tedesca di Bayreuth, a 650 chilometri di distanza. Guida per due settimane di fila e poi rimane a casa per altre due settimane. Dice che, dei settanta autisti che lavorano per la sua azienda, solo quattro o cinque sono tedeschi; il resto sono cechi e slovacchi.
"Odio questo lavoro. Mi ha rovinato il ritmo del sonno: a volte guido di notte, a volte di giorno," brontola Mihal, contattato dal nostro partner ceco Deník Referendum. "Per due settimane al mese, l'unico cibo caldo che mangio sono salsicce," aggiunge. "Ma ho appena fatto un mutuo per comprare un appartamento. Dove mai potrei guadagnare cinquantamila corone (circa 1.900 euro) nette al mese per due settimane di lavoro? Sicuramente non a Ostrava, la mia città" dice.
Nuove tutele o nuovo protezionismo?
"Quando facevo io questo mestiere, i figli dei camionisti spesso diventavano camionisti," ci spiega via e-mail il sindacalista olandese Edwin Atema, che ha guidato un camion per dieci anni. Dice che i giovani hanno smesso di fare questo lavoro "perché hanno visto come vivevano i loro genitori".
Per giunta, la generazione precedente in molti casi otteneva la patente gratis semplicemente facendo il servizio militare, mentre ora in tutta Europa le patenti per i camion sono costose, i prezzi vanno dai 1.000 euro della Romania ai più di 5.000 della Francia.
Taras, un ucraino di 44 anni con un crocifisso d'argento sul petto, ci mostra la cabina in cui dorme e mangia. Mentre riscalda un borscht, la zuppa ucraina che ha appena scongelato, racconta che è via da casa da quasi un mese e sente la mancanza del figlio di undici anni. Guida un camion da quando aveva 16 anni. Guida per nove ore al giorno, e guadagna circa 25.000 grivne ucraine (poco più di 500 euro) al mese.
Nove ore giornaliere sono il massimo consentito dal Pacchetto mobilità 2022 dell'Ue, che obbliga inoltre le aziende europee a fare in modo che gli autisti tornino a casa ogni quattro settimane al massimo, anziché otto come in precedenza.
Nel 2019, quando questo pacchetto fu discusso a Bruxelles, alcuni sostenevano che avrebbe migliorato le condizioni di lavoro degli autotrasportatori; secondo altri si trattava invece di una forma di protezionismo tesa a evitare che gli europei centro-orientali, che accettavano stipendi più bassi rispetto ai colleghi occidentali, si prendessero tutto il lavoro. Si parlava di “dumping sociale” a questo proposito.
"È un paradosso," dice la giornalista romena Crina Boros, che ha indagato sulla condizione dei camionisti romeni, moldavi e ucraini nei Paesi Bassi. "Le aziende subappaltano legalmente il lavoro a camionisti dell'Europa centro-orientale in cambio di salari molto più bassi, ma i sindacati, che protestano per questo social dumping, se la prendono coi camionisti che provengono da questi paesi".
L'impatto della guerra in Ucraina
Anche la guerra in Ucraina ha avuto un effetto dirompente sul mercato degli autotrasportatori: si stima che l'Europa abbia perso di colpo 166.000 camionisti provenienti da Ucraina, Bielorussia e Russia. L'impatto è stato forte soprattutto in Polonia e Lituania: secondo l'associazione polacca degli autotrasportatori internazionali, a causa del conflitto il 40% degli autisti ucraini che prima della guerra lavoravano in Polonia se n’è andato.
Secondo le associazioni datoriali romene e bulgare, occorrerebbe rendere più flessibile il rilascio dei visti di lavoro per gli stranieri provenienti da paesi terzi, come fa già la Polonia; per i sindacati, invece, questa misura andrebbe a premere i salari ancora più al ribasso.
Laurentiu Ungureanu e Adi Iacob di Hotnews (Romania), Petra Dvořáková di Deník Referendum (Repubblica Ceca), Lily Granitska di Mediapool (Bulgaria) e Michał Kokot di Gazeta Wyborcza (Polonia) hanno collaborato alla realizzazione di questo articolo.
Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di PULSE, un'iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.