A dieci anni dalla guerra tra Georgia e Russia dell'agosto 2008 cosa ne è dei cosiddetti conflitti congelati di Abkhazia e Ossezia del sud?
Tra Georgia, Russia e separatisti ci si muove in un’area di grande ambiguità, anche dal punto di vista legale. L’Accordo dei Sei Punti che nell’estate 2008 aveva messo fine al conflitto armato è stato seguito poi dal riconoscimento russo delle due realtà e questo fa sì che sia sempre difficile conciliare quanto pattuito al tavolo dei negoziati con la realtà che si è creata sul terreno.
Di fatto Abkhazia e Ossezia del sud – come d’altro canto lo erano prima della guerra russo-georgiana – sono altro da Tbilisi e dal resto della Georgia. Rimangono però in un limbo di non-riconoscimento che non si va riducendo, ad eccezione di pochi attori internazionali che si erano mossi in passato.
Allo stesso tempo la situazione è, in modo poco appariscente, in perenne evoluzione: si sposta la frontiera, a spizzichi e bocconi, ci sono arresti e saltuari episodi di violenza, anche letale. L’ultimo caso la morte del 25enne georgiano Archil Tatunashvili , arrestato e verosimilmente torturato e ucciso in carcere in Ossezia del sud.
Gli strumenti a disposizione delle parti per fronteggiare l’anomalia di relazioni mai concordate e codificate sono diversi e non del tutto inefficaci, nei limitati margini di negoziazione di posizioni inconciliabili: quella della Georgia è a difesa della propria integrità territoriale; quella della Russia spinge per il riconoscimento internazionale di Abkhazia e Ossezia del sud con un rapporto privilegiato con Mosca; l'Abkhazia spinge per la propria indipendenza mentre l'Ossezia del sud per la propria indipendenza o l'annessione alla Russia.
I decennali strumenti di mediazione europei: missione e negoziazioni
Dieci anni fa, nell'immediato post-conflitto, nascevano per iniziativa europea la missione di monitoraggio dell’Unione Europea in Georgia (EUMM ) e le Discussioni Internazionali di Ginevra.
L’EUMM ad oggi rimane ancora attiva seppur il personale coinvolto si sia ridotto di numero, come gli uffici sul campo. Si è arrivati in questi anni a quasi 20.000 monitoraggi realizzati sui vari fronti di conflitto, senza però mai estendere l’attività nelle aree secessioniste, dove si sono verificati gli incidenti più gravi.
Le Discussioni Internazionali di Ginevra, presiedute da Unione Europea, Nazioni Unite e Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa fanno sedere intorno a uno stesso tavolo russi, statunitensi, georgiani, abkhazi e sudossetini. Fra i maggiori successi l’aver fatto accettare strumenti di comunicazione e allerta, come i meccanismi di Gali ed Ergneti e l’hotline fra le parti.
Il formato negli anni non è cambiato: due gruppi di lavoro, uno per la sicurezza il secondo per le questioni umanitarie. E il primo gruppo potrebbe giungere a breve – dopo dieci anni e 43 incontri – a un piccolo ma significativo frutto.
Il gruppo sulla sicurezza
Il gruppo raduna i diplomatici delle parti di rango alto e i viceministri. Ad ogni incontro viene svolta una valutazione sul grado di sicurezza, sulla stabilità del regime di cessate il fuoco, e vengono valutati gli incidenti o le violazioni più significative. Scopo del gruppo è maturare una strategia condivisa di risoluzione del conflitto che includa un impegno a escludere un ritorno alle armi.
Per questo da anni si è lavorato a un documento vincolante e condiviso sul non uso della forza. Lo sforzo è parso titanico, fra veti incrociati. Il documento non si sta ancora materializzando, ma pare si sia prossimi a una dichiarazione d’impegno condivisa. La si ipotizzava già nell’ultimo incontro, il 28 marzo scorso.
Ne aveva parlato apertamente il viceministro degli Esteri russo Grigorij Karasin, che è a capo dei negoziatori russi dal 2008 : "La dichiarazione è stata preparata in forma orale come documento neutrale, che non affronterà la questione dello stato dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud. I partecipanti alle discussioni di Ginevra dichiareranno semplicemente che rinunciano a usare la forza nei rapporti tra loro. Tale dichiarazione non avrà un valore legale, ma sarà comunque un significativo passo avanti a livello politico ed emotivo. Le parti dimostreranno la loro intenzione di risolvere pacificamente tutte le questioni nella regione attraverso contatti e negoziati".
Il prossimo incontro è previsto per il giugno 2018, a due mesi circa dal decennale del conflitto, e sarebbe importante portare a casa il risultato prima che la retorica si riaccenda nell'avvicinarsi alla ricorrenza.
Meno risultati sta ottenendo invece il secondo gruppo di negoziazione che è in stallo sulla questione dei rientri dei civili messi in fuga dalla guerra: questi ultimi sono in massima parte georgiani ed hanno ancora beni di proprietà - nonché legami affettivi, parenti e cari sepolti - nelle aree secessioniste.
Lo scoglio maggiore è che i residenti georgiani scacciati, se rientrassero, supererebbero in numero le comunità (abkhazi e sudossetini) che hanno voluto la secessione, per cui il loro rientro avrebbe macroscopiche ripercussioni non solo per quanto riguarda beni contesi ed eventuali indennizzi, ma sulla stessa auto-proclamata indipendenza. I lavori del gruppo due pertanto si arenano e vengono regolarmente sospesi quando si tocca il tema degli sfollati di guerra. Il 43esimo incontro del 28 marzo non è stato un’eccezione.
Faccia a faccia con la Russia
Ed è di nuovo il viceministro Karasin la controparte russa anche di un incontro bilaterale periodico che si tiene tra Tbilisi-Mosca su territorio neutro. La Georgia viene rappresentata da Zurab Abashidze, Rappresentante Speciale per le relazioni con la Russia del Primo Ministro georgiano.
In questi incontri non si discute di Abkhazia e Ossezia ma dei rapporti fra i due paesi. Le relazioni diplomatiche russo-georgiane sono infatti interrotte dal 2008 e questo formato è servito e serve a risolvere questioni importanti fra le quali l’implementazione dell’Accordo del 2011 grazie al quale la Russia è potuta entrare nell’Organizzazione Internazionale del Commercio oppure la risoluzione di altre questioni transfrontaliere, come ad esempio l'embargo contro i beni georgiani poi rimosso. Anche la gestione del transito attraverso confini cui non si riconosce fondamento legale e territori occupati rimane non banale. Di questo s’è discusso anche in occasione dell’ultimo incontro, a Praga a fine gennaio. Incontri tecnici, insomma, in assenza di normali rapporti diplomatici e con le ambasciate da 10 anni chiuse.
Un passo indietro è stato causato in questo contesto dall'affare Skripal. Nonostante infatti le rispettive ambasciate siano chiuse, ha comunque decretato l’allontanamento degli addetti dei due paesi (prima quello russo, e poi per reazione quello georgiano) che erano ospitati presso le ambasciate della Svizzera che offrono i loro neutrali servizi di facilitatori.
Vecchi problemi, nuove prospettive
Mentre i rapporti con la Russia si giocano sul filo di lama là dove politica, relazioni internazionali, e accordi tecnici si combinano in precari equilibri, Tbilisi deve giocare anche la partita dei rapporti diretti con i secessionisti.
Il modello cui si aspira da anni è quello delle due Germanie: una riunificazione su pressione del magnetismo di un modello attraente. Forte dei nuovi accordi con l’Unione Europea la Georgia ha lanciato quest’anno l’iniziativa “Un passo verso un futuro migliore ”, un documento a tutto tondo che estende possibilità e potenzialità economiche ai cittadini delle aree secessioniste.
Ma Tskhinvali e Sukhumi non sono attualmente la DDR (la Germania Democratica del periodo dell’occupazione sovietica), e le reazioni ufficiali sono state negative, denunciando il tentativo di Tbilisi di ingerenza .
L’iniziativa georgiana non ha però una scadenza e, superato il rumore iniziale, può essere che qualche parte di essa, magari un po’ dissimulata o annacquata, venga fatta propria da singoli cittadini delle aree secessioniste.
Tra queste vi potrebbe essere anche la ricostituzione di piccoli mercati lungo le linee di confine, che riporta indietro le lancette a prima della guerra, quando fino al 2004 il mercato georgiano-ossetino di Ergneti era un punto d’incontro di tutti gli abitanti dell’area. Quel people-to-people che tanto manca nel processo di pacificazione.