Manifestazione pro-UE a Tbilisi - © George Khelashvili/Shutterstock

Manifestazione pro-UE a Tbilisi - © George Khelashvili/Shutterstock

Il 26 ottobre la Georgia va alle urne, un voto che si annuncia decisivo per il destino del paese caucasico. Le elezioni mettono fine ad una legislatura travagliata, segnata dalle guerre nel vicino Nagorno Karabakh e in Ucraina e dalle divisioni sulla scelta euro-atlantica di Tbilisi

13/09/2024 -  Marilisa Lorusso

I quattro anni che si vanno a concludere sono stati estremamente travagliati per la Georgia. Con l’eccezione della legislatura del 2008, quella della guerra contro la Russia, questo è stato probabilmente il quadriennio più difficile nella storia recente del paese, segnato da continue crisi politiche.

La stessa apertura delle sessioni parlamentari era stata tutto meno che scontata. Il Sogno Georgiano – con leader all’epoca Giorgi Gakharia – era uscito vincitore dalle elezioni politiche con 90 seggi su 150, seguito da una coalizione del Movimento Nazionale Unito/Forza nell’Unità, con 36 seggi, poi la Georgia Europea, Lelo, la Strategia, i Patrioti, Girchi, i Cittadini e i Laburisti con da 5 a 1 seggio.

Risultati ritenuti assolutamente non credibili dalle opposizioni, che dal giorno del primo turno hanno deciso di boicottare il processo elettorale, e non hanno partecipato al secondo turno. Ci sarebbero poi voluti mesi per portare i partiti di opposizione in parlamento, con la mediazione diretta dell’Unione Europea e un accordo da cui in seguito i firmatari, sia del governo che dell’opposizione, si sarebbero sfilati.

Così come si sono sfilati man mano i deputati eletti dai loro partiti, fra trasformismi e faide di partito, per cui dai numeri iniziali, la legislatura si chiude con il Sogno con 74 deputati, il Movimento Nazionale con 20, il Partito del Popolo (destra, spesso di appoggio esterno al governo) con 9 seggi, per la Georgia di Gakharia (che ha abbandonato il Sogno dopo l’arresto del leader del Movimento Nika Melia) con 5 seggi, e 11 partiti e nove indipendenti, costole delle formazioni iniziali.

Insomma, un parlamento notevolmente trasformato dalle numerose traversie del periodo 2020-2024.

La questione ucraina

Mentre si dipanava la crisi politica post-elettorale, che si sarebbe conclusa solo nel 2021, c’era la guerra a poche centinaia di chilometri dal confine georgiano. Dal 27 settembre al 10 novembre 2020 si è consumato infatti il primo atto della caduta del Karabakah, con l’Azerbaijan che riconquistava in 44 giorni quasi l’intero territorio secessionista armeno.

Ma se da questa prima guerra il sistema Georgia è rimasto pressoché intatto, nonostante il rischio di propagazione delle tensioni interetniche azero-armene alle comunità residenti nel paese, le difficoltà legate a mantenere un approccio equilibrato con i due paesi confinanti e le ricadute regionali del conflitto, è stata l’aggressione all’Ucraina la miccia che avrebbe scardinato i rapporto fra elettori ed eletti in un modo che rende il prossimo voto molto più imprevedibile rispetto ai precedenti.

Il popolo georgiano ha vissuto una profonda empatia con le sorti del popolo ucraino dalla prima aggressione subita, nel 2014. L’invasione su larga scala del febbraio 2022 ha mosso gli animi, ma molto meno il governo, che ha sempre sostenuto l’Ucraina nei fora ufficiali, ma si è defilata dalle sanzioni, non ha fornito aiuto militare – ha anzi ostacolato la partenza di volontari – ed ha accolto senza restrizioni o controlli i russi in fuga dalla mobilitazione, salvo fermare ai confini diverse figure legate al mondo dell’opposizione russa.

In questi anni ha poi riavviato i voli diretti con la Russia, rendendo di fatto il paese uno scalo che permette di ovviare la sospensione dei voli diretti dall’Europa. I rapporti fra Ucraina e Georgia sono in stand-by proprio per la politica vicina al Cremlino espressa nei fatti dal governo georgiano.

Mobilitazioni su mobilitazioni

In principio fu la notte di Gavrilov, nel 2019: la società civile mobilitata in grandi numeri contro l’interferenza russa. Ma è stata questa legislatura a vedere folle oceaniche – per le dimensioni del paese – invadere le strade della capitale e, cosa assai meno frequente nella storia georgiana, espandersi a macchia d’olio in tutte le città.

Dal 25 febbraio 2020, con la reazione all’invasione russa dell’Ucraina che ha tenuto banco per giorni, si sono succedute tutta una serie di proteste tramite le quali la società civile ha rivendicato le priorità che non riteneva rappresentate dal governo, nonostante molte di queste rientrassero nel programma con cui il Sogno aveva vinto le elezioni, in primis la questione europea.

Quando nel giugno del 2022 la Georgia è risultata fanalino di coda nella candidatura all’Unione Europea, le piazze si sono riempite. E poi di nuovo, nel marzo del 2023 contro la legge sugli agenti stranieri, ritenuta un atto di avvicinamento alla Russia e la pietra tombale del percorso europeo, e che era comparsa nel percorso di legislatura senza mai aver fatto parte del programma elettorale del partito di governo. Insomma, un tradimento completo del mandato elettorale.

Percorso dell’approvazione di legge interrotto, ma ricomparso nella primavera 2024, dopo che la candidatura all’Unione Europea aveva ricevuto luce verde da Bruxelles nel dicembre del 2023.

Lo stop all’euro-atlantismo

La legge sugli agenti stranieri è stata la causa di quella che probabilmente è stata la più grande mobilitazione della società civile nella storia del paese ma anche – come prevedibile – della sospensione del percorso euro-atlantista del paese.

Si è fermato il processo di integrazione con Bruxelles e stanno adottando numerose misure gli Stati Uniti nel quadro del peggioramento complessivo dei rapporti con Tbilisi. Lo spirito e i destinatari della legge sugli agenti stranieri infatti danno la misura dell’ostilità del governo del Sogno a Bruxelles e Washington e a quanto rappresentano, e le aperte accuse contro i partner occidentali hanno completamente trasformato, nel giro di quattro anni, i termini della cooperazione.

Le accuse sono continue e rivolte a quello che viene definito il “partito della guerra”, una fattispecie non chiara di temibili nemici della Georgia, occidentali, che vogliono fare del paese il secondo fronte dello scontro con la Russia attraverso l’azione del “Movimento nazionale collettivo”, cioè le forze di opposizione, sempre secondo le definizioni-slogan del Sogno.

Nel settembre 2023 i Servizi Segreti georgiani hanno dichiarato di aver scoperto un piano per dare il via a un colpo di stato architettato dalle forze d’opposizione finanziate dall’occidente, una maidan georgiana. Le stesse accuse sono echeggiate più volte nelle dichiarazioni di politici russi e in risposta alle proteste contro la legge sugli agenti stranieri nel 2023 e nel 2024, quando questa è stata approvata. È anche repertorio abituale dei partiti di estrema destra vicini al Cremlino e, inutile dirlo, fa già parte degli slogan del periodo pre-elettorale.

La campagna per le elezioni che daranno via alla nuova legislatura è iniziata il 27 agosto e porterà alle impervie elezioni del 26 ottobre.