Andy Garcia recita Mikheil Saakashvili in "5 days of August"

Andy Garcia recita Mikheil Saakashvili in "5 days of August", dalla locandina del film

Esattamente tre anni fa, la notte tra il 7 e l'8 agosto 2008, avevano inizio gli scontri in Ossezia del Sud. “5 giorni d'agosto” è oggi un film hollywoodiano con Andy Garcia, Val Kilmer e Rade Šerbedžija. Nel film, i russi sono cattivissimi. Ancor più cattivi di quanto non fossero i georgiani in “Olympus inferno”, fiction russa che racconta quello stesso conflitto. Quando il cinema è strumento di propaganda

08/08/2011 -  Giorgio Comai

Un paio di mesi fa le autorità che regolano internet in Georgia hanno iniziato una battaglia che non potevano vincere: contrastare la diffusione online di una versione piratata di “5 giorni d'agosto” ("5 days of August", in alcuni Paesi uscito come "5 days of war"), un film di fiction di produzione hollywoodiana dedicato alla guerra in Ossezia del Sud iniziata esattamente tre anni fa, la notte tra il 7 e l'8 agosto 2008. A poco è servito il blocco di alcuni siti georgiani che consentivano di scaricare il film, anche perché pochi giorni dopo la première tenutasi a Tbilisi il film è uscito in vendita legalmente in Europa in dvd e di rimbalzo ha ottenuto ampia diffusione su tutti i network peer-to-peer. D'altra parte, era impossibile pensare che una produzione hollywoodiana di grandi dimensioni dedicata a un tema di forte attualità come quello della guerra del 2008 potesse passare in sordina quantomeno in Georgia.

Come anticipato da Osservatorio già nel 2009, il film ha tra i suoi attori star come Andy Garcia nel ruolo del presidente georgiano Mikheil Saakashvili, Val Kilmer nel ruolo del cameraman olandese Stan Storimans ucciso durante il bombardamento aereo russo di Gori, e Rade Šerbedžija nel ruolo di un ufficiale russo. La regia è di Renny Harlin, regista finlandese da anni attivo a Hollywood noto non solo per aver realizzato film di successo come Die Hard 2 (1990, con Bruce Willis) e Cliffhanger (1993, con Sylvester Stallone), ma anche per aver esordito nel 1986 con un film dal titolo “Born American”, unica pellicola vietata in Finlandia per via del suo carattere eccessivamente anti-russo.

Benché non vi sia formalmente partecipazione finanziaria diretta alla produzione da parte del governo di Tbilisi, è evidente che il governo Saakashvili non ha fatto mancare il proprio supporto a questo film in cui vengono utilizzati mezzi e uomini dell'esercito georgiano e varie scene sono girate all'interno del palazzo presidenziale di Tbilisi.

La trama

Le prime scene del film sono ambientate in Iraq, dove il reporter di guerra americano Thomas Anders, vittima di un agguato, viene salvato da militari georgiani parte del contingente a guida Nato. Un anno dopo, ad inizio agosto 2008, Anders si reca in Georgia, non appena sente che vi è una concreta possibilità che scoppi una guerra. Fa appena in tempo ad assistere a balli e scene di folklore di un matrimonio georgiano, quando iniziano i bombardamenti russi e un attacco di terra. Anders e il suo cameraman riescono a riprendere violenze perpetrate con crudeltà da militari russi, guerriglieri e mercenari ai danni della popolazione locale. Da quel momento, la loro “missione impossibile” diventa far arrivare quelle immagini al mondo per raccontare la verità sulla guerra in corso. Ad ostacolarli non vi sono solo militari e miliziani che uccidono e bombardano con aerei, elicotteri e carri armati tutto ciò che incontrano, ma anche gli stessi media americani, che nel film accettano senza battere ciglio la versione russa degli eventi dando spazio alla voce di Vladimir Putin alternandovi solo notizie sugli eventi sportivi delle olimpiadi che si tenevano in Cina in quei giorni.

Sullo sfondo, la grande politica. Un Saakashvili-Garcia eccezionalmente remissivo dichiara cessate-il-fuoco unilaterali e costringe ripetutamente l'esercito a non rispondere al fuoco, richiamandolo solo a difendere la capitale. Non mancano però frecciate amare all'inerzia di Stati Uniti ed Europa. Il film include una scena girata nell'autunno 2009 di fronte al parlamento di Tbilisi in cui gli abitanti della capitale “recitano” se stessi un anno prima, quando il 12 agosto 2008 decine di migliaia di persone avevano partecipato a una manifestazione contro l'invasione russa. Prima dei titoli di coda, per tre minuti si sentono testimonianze di georgiani che hanno realmente perso i propri cari durante il conflitto.

Olympus inferno

Questo non è il primo film di propaganda dedicato alla guerra dell'agosto 2008. Pochi mesi dopo l'inizio della guerra è stato infatti realizzato un film di produzione russa, Olympus Inferno, trasmesso in prima serata sul primo canale russo nel marzo del 2009. È la storia di un entomologo americano che si reca in Ossezia del Sud per filmare un particolare tipo di falene (ed incontrare una vecchia amica, una giornalista russa), ma accidentalmente si trova a riprendere il momento in cui le truppe georgiane attaccano l'Ossezia. Trovandosi in possesso della prova definitiva del fatto che sono stati i georgiani ad iniziare la guerra, in una realtà in cui tutte le televisioni del mondo sembrano accusare ingiustamente la Russia per ciò che sta accadendo, il film racconta di come i due giovani scappano da militari georgiani violenti, a stento frenati da ufficiali americani ai quali inevitabilmente obbediscono.

Tre anni dopo

In entrambi i film, quindi, il fulcro dell'azione è la necessità di comunicare “la verità” sulla guerra ad un mondo ingannato dalla controparte. Nella realtà, fin da subito media georgiani e russi avevano sostenuto versioni radicalmente opposte di ciò che era avvenuto in quei giorni dell'agosto 2008. Con il passare dei mesi, nei media occidentali sono comparsi report più attenti alle responsabilità di entrambe le parti del conflitto. Ai reportage di giornalisti e ai dossier di ONG che si occupano di diritti umani, è seguito il report della commissione d'inchiesta promossa dall'Unione europea e guidata dalla diplomatica Heidi Tagliavini, a tutt'oggi il documento più bilanciato riguardante gli eventi di quei giorni.

Secondo la commissione Tagliavini, la “guerra dei cinque giorni” avrebbe causato circa 850 vittime e circa 100.000 sfollati, 35.000 dei quali destinati a non tornare alle loro case nel medio periodo. Sono dati significativi, importanti per ricordare che la guerra in Caucaso di inizio agosto 2008 non è solo fiction, non è solo guerra mediatica, ma anche una tragedia umana che ha coinvolto migliaia di persone.

A tre anni di distanza, buona parte delle persone che avevano perso la casa nel corso di quel conflitto si ritrovano ancora a vivere in condizioni precarie, mentre i negoziati di pace che regolarmente si tengono a Ginevra non portano a passi avanti concreti che pongano basi reali per il ritorno degli sfollati alle loro case, o ciò che ne è rimasto.

L'isolamento internazionale dei territori di Abkhazia e Ossezia del Sud ampiamente sostenuto dallo stesso governo di Tbilisi, poco propenso a cercare compromessi sulla questione territoriale, aumenta la dipendenza delle due regioni da Mosca. In Abkhazia, le autorità de facto continuano a cercare un difficile bilanciamento tra i propri desideri di reale indipendenza e la necessità di attirare capitale russo ritenuto indispensabile per trasformare questa regione dove sono ancora evidenti le tracce del conflitto di inizio anni '90 in una moderna area turistica in grado di offrire lavoro e sostentamento alla popolazione locale.

In Ossezia del Sud, invece, è ritornato d'attualità il tema dell'unificazione con l'Ossezia del Nord e l'ingresso a pieno titolo nella Federazione russa. Lo scorso 1 agosto, infatti, il primo ministro Vladimir Putin ha dichiarato che è “effettivamente un problema” che vi siano due Ossezia divise da un confine, e che l'eventuale ingresso dell'Ossezia del Sud nella Federazione dipende solo “dalla volontà del popolo osseto”. Il giorno successivo, il presidente del de facto parlamento di Tskhinvali ha dichiarato che l'Ossezia del Sud è pronta ad entrare a far parte della Russia, pur rimarcando che non si tratta di una questione di breve periodo. Da parte sua, il presidente Dmitri Medvedev ha dichiarato durante una recente intervista alla televisione georgiana "Kanal Pik" che al momento "non vi sono le precondizioni legali" per l'ingresso dell'Ossezia del Sud nella Federazione russa, ma ha subito aggiunto filosoficamente "la vita è la vita, le cose vanno avanti". Durante l'intervista, Medvedev si è dichiarato dispiaciuto per gli eventi dell'agosto 2008, ma nient'affatto pentito delle sue scelte, ed al contrario convinto di aver fatto bene ad intervenire militarmente e successivamente a riconoscere l'indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud.

A tre anni dal conflitto del 2008, sembrano più remote che mai le possibilità di Tbilisi di riprendere il controllo su quei territori. Tutte le parti sembrano in ogni caso decise ad evitare un nuovo confronto militare nel prevedibile futuro. Sanno bene che la guerra non è una cosa che si vede solo nei film. Nel corso dell'intervista a Kanal Pik, Medvedev ha anche raccontato di come il presidente armeno e azero gli avrebbero entrambi confessato che la "guerra dei cinque giorni" è stata per loro un'importante lezione: meglio negoziati interminabili che cinque giorni come quelli. Nella regione, continua però a mancare un clima favorevole alla riconciliazione e al compromesso. Film come “5 giorni d'agosto” e “Olympus Inferno” che dipingono la parte avversa come crudele e violenta non contribuiscono certo a migliorare la situazione.