La fotoreporter Mariam Nikuradze, collaboratrice di OC Media, da quattordici anni segue le proteste nel centrale viale Rustaveli a Tbilisi, dove ha sede anche il parlamento georgiano, documentando la discesa della Georgia nell’autoritarismo
(Originariamente pubblicato da OC Media , 1 novembre 2023)
Da decenni ormai, viale Rustaveli, arteria principale di Tbilisi dove ha sede anche il parlamento georgiano, è il luogo principale dove i cittadini della Georgia manifestano il loro dissenso.
Fu qui che il 9 aprile del 1989 le truppe sovietiche massacrarono molti georgiani che manifestavano chiedendo l’indipendenza. Sempre qui, nel 2007 – quando al governo c’era il Movimento nazionale unito – la polizia disperse una grande e pacifica protesta antigovernativa con estrema violenza .
Il mio legame con viale Rustaveli, inteso come luogo di protesta, affonda le sue radici nel 2009, quando seguii le manifestazioni dell’opposizione note come "la città delle celle".
Sogno Georgiano salì al potere promettendo di porre fine alla prassi di reprimere il dissenso nelle strade, impegnandosi anche a garantire il diritto dei giornalisti di vigilare sull’effettivo rispetto di quella promessa.
Eppure, oggi il governo [sempre guidato da Sogno Georgiano] ricorre a tutta una serie di misure per soffocare la libertà di associazione, di espressione e di stampa. Ad ogni nuova protesta, cresce la violenza della polizia e degli alleati del governo – una violenza che ormai non mi stupisce – e insieme ad essa cresce anche il numero di arresti arbitrari. Avendo trascorso gli ultimi quattordici anni lavorando come cronista di strada, mi sento di poter affermare che esercitare il mestiere del giornalista in Georgia oggi è più difficile che mai.
Quando è iniziato questo rapido deteriorarsi della situazione?
Nonostante un notevole miglioramento registrato sul fronte della tutela dei diritti fondamentali nel periodo immediatamente successivo all’ascesa al potere del Sogno Georgiano, anche nei primi anni del nuovo governo la situazione era tutt’altro che rosea.
Uno dei primi segnali d’allarme sui rischi che correvano i giornalisti e la stampa libera fu il sequestro di Afgan Mukhtarli . Sul caso Mukhtarli, rapito per strada [a Tbilisi] nel maggio del 2017, non si è mai indagato in modo adeguato. Tuttavia, le inchieste condotte dai giornalisti e alcuni documenti trapelati dei servizi segreti della Georgia suggeriscono un coinvolgimento della autorità georgiane.
Quanto invece alla libertà di riunione, i segnali d’allarme forse avrebbero dovuto essere colti prima. Gli eventi del 17 maggio 2013 restano uno dei peccati capitali dell’attuale governo. Quel giorno, decine di migliaia di persone si riversarono su viale Rustaveli per impedire ad alcune decine di attivisti queer di esercitare il proprio diritto di riunione.
Seguendo gli eventi di quel giorno, assistetti ad una scena in cui la polizia si tenne in disparte , lasciando passare una folla violenta. Diverse persone rimasero ferite e gli attivisti presenti sul posto a tutt’oggi non sono ancora riusciti a superare il trauma subito quel giorno.
La prima volta che rimasi ferita svolgendo il mio lavoro fu durante una massiccia protesta di piazza che rappresentò forse la prima seria minaccia per il governo.
Le manifestazioni scoppiarono nel 2018 a seguito di una serie di raid armati in alcuni locali notturni molto frequentati. Stavo davanti al bar Bassiani quando la polizia iniziò a disperdere i manifestanti. Nonostante avessi in mano la mia macchina fotografica, cercando di documentare quanto stava accadendo, la polizia non ci fece caso. Caddi a terra e un agente mi calpestò il collo.
Durante le proteste successive, quando l’estrema destra cercò di attaccare i manifestanti, per la prima volta sotto il governo guidato da Sogno Georgiano in viale Rustaveli fu dispiegata la polizia antisommossa. In quell’occasione però gli agenti non utilizzarono la forza contro chi protestava.
Quel maggio si rivelò un mese importante per il governo.
Mentre cresceva la rabbia nei confronti delle autorità per i raid nei locali, i due “padri per la giustizia” – Malkhaz Machalikashvili, il cui figlio Temirlan fu ucciso in un’operazione speciale a Pankisi, e Zaza Saralidze, padre di Davit, ragazzo ucciso durante una rissa scoppiata in una scuola – unirono le forze per protestare contro quanto accaduto ai loro figli.
La sentenza per l’omicidio di Davit Saralidze, che molti definirono politicamente motivata, suscitò subito reazioni negative. Le proteste che ne seguirono furono pacifiche, portando a quello che sembrava essere un vero cambiamento (l’allora procuratore capo Irakli Shotadze rassegnò le dimissioni ). Successivamente però ci siamo resi conto quanto quel cambiamento fosse superficiale.
Sogno Georgiano e la violenza
Se nel 2018 la polizia antisommossa intervenne in modo abbastanza moderato, lo stesso non si può dire per gli eventi accaduti nella valle del Pankisi nel 2019, quando le forze antisommossa dispersero in modo violento le proteste della popolazione contro la costruzione di una centrale idroelettrica. Per i gruppi locali impegnati nella difesa dei diritti umani, l’azione della polizia fu caratterizzata da un uso sproporzionato della forza.
Pochi mesi dopo, nella notte del 20 giugno 2019, diventata nota come "la notte di Gavrilov", la polizia antisommossa per la prima volta fece ricorso alla forza in viale Rustaveli.
Quella notte venni colpita da un proiettile di gomma sparato dalla polizia, ma l’effetto dei gas lacrimogeni – che non avevo mai sperimentato prima – si rivelò ancora più difficile da sopportare.
Lavorare dopo essere stati esposti ai gas lacrimogeni diventa quasi impossibile. Ti paralizzano per almeno 10-15 minuti, poi appena riprendi i sensi vieni nuovamente colpito dal gas.
Ricordo che quella notte avevo molta paura. Non avevo mai prima coperto un evento in cui la polizia sparava in modo così indiscriminato. Ricordo di aver pensato che, se fossi rimasta vicino al corridoio della polizia con il mio accredito stampa e la mia macchina fotografica, sicuramente non mi avrebbero preso di mira. Tuttavia, come emerso in seguito, ai poliziotti non gliene fregava nulla della nostra sicurezza.
Quella notte, oltre ai manifestanti, rimasero feriti anche molti giornalisti.
Non posso dimenticare la prima volta che vidi una foto del mio amico e collega Guram Muradov, le cui ferite non si sono ancora del tutto rimarginate.
Dopo questo evento sembrava che il ministero dell’Interno ci avesse preso gusto ad utilizzare le truppe antisommossa, e da allora non ha quasi mai perso l’occasione di dispiegarle. Come accaduto nel novembre dello stesso anno, quando alcune centinaia di persone cercarono di bloccare il parlamento a causa delle promesse non mantenute del Sogno Georgiano riguardo ad una riforma elettorale. Alla fine di novembre, con un freddo ormai invernale, la polizia decise di utilizzare cannoni ad acqua contro un piccolo gruppo di manifestanti.
Poco tempo dopo si tennero le elezioni parlamentari e la popolazione era talmente insoddisfatta dei risultati, soprattutto dopo il secondo turno, che migliaia di cittadini sfilarono lungo un percorso di quasi dieci chilometri, da viale Rustaveli alla sede della Commissione elettorale centrale, finendo per essere nuovamente attaccati con cannoni d’acqua.
Camminando con loro mi ritrovai in un vero campo di battaglia. La polizia aveva già utilizzato la forza contro chi era arrivato prima di noi. Nonostante l’ingresso della sede della Commissione elettorale fosse protetto da ingenti forze di polizia e dai vigili del fuoco, si decise comunque di utilizzare la forza contro i manifestanti.
Considerando l’esperienza delle proteste precedenti, pensavo di aver imparato a proteggermi bene dalla polizia. Decisi di nascondermi dietro ad un autobus sperando così di sfuggire ai cannoni ad acqua. Ma mentre stavo per scattare una foto, la mia macchina fotografica fu colpita da un mattone. In quel momento non ero del tutto consapevole dell’accaduto, oggi però mi rendo conto che quel giorno la mia fotocamera forse mi aveva salvato la vita.
Una stretta sui media?
Da allora, esercitare il mestiere del giornalista è diventato ancora più pericoloso.
Il 9 aprile del 2021 si tenne una manifestazione di un gruppo conservatore, allineato al partito al governo, i cui membri festeggiavano quella che veniva definita “georgianità”. Quel giorno per la prima volta da giornalista percepii un’autentica ostilità nei miei confronti. Alcuni partecipanti alla manifestazione criticarono il mio aspetto e ricordo che Utsnobi, leader del gruppo, invitò i suoi sostenitori a non rilasciare dichiarazioni ai media. Fu un’esperienza tutt’altro che piacevole e un po’ spaventosa.
Tuttavia, nessuna delle esperienze che ho descritto può essere paragonata a quella del 5 luglio 2021. Potrei parlare per ore del 5 luglio e della Pride Week del 2021 ma, per farla breve, il 5 luglio fu il giorno in cui in Georgia indossare un distintivo da giornalista divenne pericoloso.
Quella mattina con OC Media decidemmo di lavorare sotto copertura, una decisione che ci salvò. A poca distanza da viale Rustaveli due dei miei cari amici, con cui avevo seguito molti eventi in Georgia, furono attaccati e inghiottiti dalla folla. Entrambi riportarono ferite alla testa e finirono in ospedale. Anche altri due miei amici furono aggrediti riportando ferite gravi.
Quel giorno, nonostante la sua prassi, ormai consolidata, di utilizzare la forza, la polizia non ritenne opportuno intervenire per fermare le violenze. Da allora, il governo non ha fatto che incoraggiare ulteriori attacchi contro i giornalisti.
Il buio su viale Rustaveli
Nel 2022, con l’invasione russa dell’Ucraina e il successivo allontanamento della Georgia dall’Occidente, la situazione è ulteriormente peggiorata.
Le proteste antigovernative – forse le più massicce della storia della Georgia – organizzate in viale Rustaveli dopo l’ennesimo fallimento nell’ottenere lo status di candidato all’adesione all’UE – si sono ben presto esaurite.
Gli eventi del 2022 ci hanno fornito un primo assaggio di come sarebbe andato il 2023. Dopo che il Sogno Georgiano ha presentato un progetto di legge sugli agenti stranieri, per la prima volta ho temuto per la sopravvivenza stessa di OC Media in un paese, come la Georgia, che consideravamo il posto più sicuro dell’intero Caucaso quando nel 2017 decidemmo di fondare la nostra organizzazione. Ad un certo punto abbiamo anche preso in considerazione la possibilità di registrare la testata in un altro paese.
La proposta di legge però ha incontrato forti resistenze, soprattutto in viale Rustaveli.
Ancora una volta le proteste sono state represse con la forza dalla polizia antisommossa, dimostratasi spietata nell’utilizzo di gas lacrimogeni, tanto che i miei vestiti puzzavano per giorni dopo la protesta. I manifestanti però non si sono tirati indietro.
Sono stata l’unica giornalista a osservare e documentare l’arresto di Eduard Marikashvili avvenuto lo scorso 2 giugno in viale Rustaveli.
Durante una protesta alcuni manifestanti sventolavano striscioni con messaggi offensivi nei confronti del primo ministro Irakli Gharibashvili, volendo così dimostrare la propria libertà di espressione dopo che diversi cartelli con simili scritte sono stati confiscati e distrutti dalla polizia.
Dopo aver appreso che alcuni manifestanti sono stati arrestati, Eduard Marikashvili, avvocato e attivista per i diritti umani, si è recato in fretta in viale Rustaveli tenendo in mano un foglio bianco.
Anche lui è stato arrestato.
L’arresto di Marikashvili e la successiva condanna per aver tenuto in mano un foglio bianco dimostrano quanto sia diventato difficile protestare, con una legislazione sempre più restrittiva e con i tribunali che non perseguono più la giustizia essendo diventati mere pedine nelle mani del governo.
Nonostante tutto quello che ho documentato in questi anni e che ho raccontato in questo articolo, spesso durante le conversazioni con i decisori politici all’estero provo un sentimento di stupore e incredulità riflettendo su quanto grave sia diventata la situazione in Georgia.
Simili conversazioni tra i cittadini georgiani sono spesso caratterizzate da un senso di rassegnazione.
E la situazione continua a peggiorare. A breve dovrebbe entrare in vigore un’altra legge anti-protesta, e si parla anche della possibilità di introdurre altri strumenti che sono già stati testati nel Caucaso settentrionale, come le leggi sulla “propaganda” queer.
Quando, qualche mese fa, abbiamo pubblicato la notizia che il presidente del parlamento georgiano aveva esercitato pressioni esplicite sui donatori di OC Media, il mio collega Robin Fabbro e io eravamo ad Amburgo a ritirare il premio Free Press Award. Uno dei giornalisti premiati, che lavorava per la testata Reform.by, in occasione del ritiro del premio ha letto una lunga lista di giornalisti incarcerati in Bielorussia. Seduto accanto a noi c’era un altro vincitore del premio, un giornalista del portale russo iStories, costretto all’esilio e impossibilitato a tornare a casa.
Nelle loro storie ho intravisto il futuro della Georgia, un futuro che possiamo evitare solo se ci impegniamo con maggiore tenacia a salvare la nostra democrazia. Da giornalista, nei loro racconti ho intuito il mio futuro, in carcere o in esilio. Ma prima che tale futuro arrivi, continuerò a fare il mio lavoro in viale Rustaveli.