Si è chiuso sabato 19 agosto nella capitale bosniaca il 23° Sarajevo Film Festival. Numerosi i film in concorso, la parte del leone l’hanno avuta i cineasti di Tbilisi con ben due film premiati, un lungometraggio e un documentario
Doppietta georgiana al 23° Sarajevo Film Festival che si è chiuso sabato scorso. I cineasti di Tbilisi hanno portato a casa i maggiori riconoscimenti sia nella categoria lungometraggi di fiction sia tra i documentari. La manifestazione ha poi consegnato il tradizionale Cuore di Sarajevo onorario a protagonisti del cinema mondiale: all'attore John Cleese e al regista Oliver Stone.
La giuria presieduta dal regista messicano Michel Franco, con Mark Adams, direttore del festival di Edimburgo, l'attore croato Goran Bogdan, Fatma Al Remaihi del Doha Film Institute e l'attrice turca Melisa Sözen, ha attribuito il Cuore di Sarajevo per il miglior film a “Scary Mother – Sashishi deda” di Ana Urushadze. Un esordio già premiato a Locarno come migliore opera prima, che nella capitale bosniaca ha avuto anche il premio Cineuropa.
Cuore di Sarajevo per il miglior regista al romeno Emanuel Parvu per “Meda or the not so bright side of things – Meda sau partea nu prea fericita a lucrurilor”, film premiato anche con il Cuore di Sarajevo per il miglior attore al protagonista Şerban Pavlu. La menzione speciale della giuria è andata al bulgaro “Directions – Posoki” di Stephan Komandarev, già presentato al Festival di Cannes, mentre il Cuore di Sarajevo per la miglior attrice è andato a Ornela Kapetani, protagonista di “Daybreak – Dita zë fill” dell'esordiente albanese Gentian Koçi.
Il premio Cicae degli esercenti europei è stato attribuito a “Son of Sofia” di Elina Psykou, che aveva esordito con il buon “The Eternal Return of Antonis Paraskevas” (2013), un passo indietro rispetto al precedente.
Una vicenda che ha per protagonista Michael/Misha, 10 anni, ad Atene nel periodo delle Olimpiadi 2004, da qualche giorno prima dell'avvio dei Giochi a pochi dopo la chiusura. Il bambino proviene dalla Russia per riunirsi alla madre Sofia, che vive con il più anziano Nikos dicendo di esserne la badante. I due russi parlano la lingua materna, escludendo l'uomo che si impegna perciò a dare lezioni di greco al ragazzino. Quando scopre che in realtà la genitrice è sposata con quell'estraneo dai modi un po' dittatoriali, e che probabilmente stava con i colonnelli, Misha decide di fuggire all'improvviso. Durante la ricerca dello scomparso, la famiglia fa un appello in televisione e riappare il presentatore Paraskevas (interpretato da Christos Stergioglou) protagonista del film precedente.
Stavolta la Psykou cade nella trappola del solito film greco di questi anni, carico di simboli (gli intermezzi con le maschere di animali oppure i vecchi filmati di dittatori o di cerimonie e recite, a indicare forzosamente che si vuole ragionare sul potere e i suoi meccanismi), rigido, impostato, didascalico, che cala le cose dall'alto (al primo pranzo di Misha in “famiglia” sono mostrati prima i quadri alle pareti che il volto del padrone di casa Nikos). Le Olimpiadi cadenzano le giornate, un po' per l'atmosfera, un po' perché i protagonisti seguono in tv la cerimonia d'apertura e alcune gare, un po' perché Misha è amico di un ragazzo più grande che fa sollevamento pesi e si allena sognando di partecipare alle gare di Pechino 2008.
Documentari
Tra 14 opere, la giuria documentari, comprendente anche il grande regista serbo Želimir Žilnik, ha consegnato il Cuore di Sarajevo per il miglior documentario a “City of the Sun – Mzis Qalaqi” del georgiano Rati Oneli, già passato al Forum della Berlinale. Un lavoro dalle ambizioni filosofiche (fin dal titolo fa riferimento al celebre libro di Tommaso Campanella) che cerca di rappresentare lo spirito della città di Chiatura, nella Georgia centrale, nota per le grandi miniere di manganese. Tutto sembra fatiscente e abbandonato, le strutture sono vecchie o in demolizione, eppure l'estrazione continua, giovani atlete si allenano, il gruppo teatrale e quello musicale provano, gli abitanti si arrangiano a sopravvivere. Il regista cerca di portare alla luce l'umanità di una città ideale apparentemente al contrario, dove per contrasto non spunta il sole.
Premio speciale all'austriaco “Kinders” di Arash T. Riahi e Arman T. Riahi, nel quale cantare e suonare insieme aiuta bambini e adolescenti a migliorare l'autostima, e menzione al bosniaco “Home – Dom” di Zdenko Jurilj, mentre lo Human Rights Award è andato a “Mr. Gay Syria” della turca Ayse Toprak, su un concorso di bellezza che unisce un barbiere omosessuale di Istanbul e il fondatore del movimento Lgbt in Siria, ora rifugiato a Berlino.
In concorso, dopo essere passato anche a Locarno Festival nella sezione Signs of Life, anche “In Praise of Nothing” del serbo Boris Mitić, che aveva già realizzato “Lijepa Dyana – Pretty Diana” e “Dovidjenja, kako ste?”. Un oggetto inclassificabile, un affascinante e bizzarro elogio del Nulla, che espone il proprio punto di vista in rima con la voce di Iggy Pop. Immagini di tutto il mondo che spesso stridono con i versi declamati, un viaggio tra decine di suggestioni visive e filosofiche (come “L'elogio della follia” di Erasmo), riflettendo sugli uomini e le nazioni: “tutte possono andare orgogliose di una parte della loro storia, ma nessuna di tutta la sua storia”.
Ribalta l'affermazione di Adorno su come si può concepire la poesia dopo l'Olocausto in “come si può concepire l'Olocausto dopo la poesia”. Il Nulla ha uno sguardo ironico sulle cose, ama la rakija più del vino, fornisce un'immagine di sé molto diversa da quello che normalmente si pensa e conduce lo spettatore dentro un trip di sorrisi e pensieri. Nel fluire di associazioni e contrasti, riflette sulle contraddizioni dell'Europa, troppo presa a discutere internamente per giungere a qualcosa di concreto, osserva l'America padrona e l’Asia che copia gli altri e cresce.
Il premio dell'European Documentary Network è andato a "When Pigs Come – Kada dođu svinje” di Biljana Tutorov, coproduzione Serbia/Croazia/Slovenia.
Cortometraggi e altri premi
I paesi dell'ex Jugoslavia si sono consolati con i cortometraggi. Cuore di Sarajevo per il miglior cortometraggio alla coproduzione Croazia / Slovenia “Into The Blue – U plavetnilo” di Antoneta Alamat Kusijanović e menzione speciale al montenegrino “Soa” di Dušan Kasalica e al greco “Copa – Loca” di Christos Massalas, che ha avuto anche la nomination agli Efa 2017, gli Oscar europei.
Il Cuore di Sarajevo per il miglior film studentesco è andato a “Clean – Čistoća ” di Neven Samardžić dell'Accademia di Sarajevo, con menzione speciale allo sloveno “Ljubljana – München 15:27 – Ljubljana – Munich 15:27” di Katarina Morano.
Intorno al Festival, con sempre più importanza e partecipazione internazionale, si svolgono attività come Talent Campus o Cinelink rivolti a studenti o professionisti, per l'elaborazione di progetti in diverse fasi di avanzamento, che richiamano centinaia di partecipanti.
Premio Cinelink per lo sviluppo di una coproduzione è stato assegnato allo sloveno “Half-Sister” di Damjan Kozole e altri premi al greco “Holy Emy” di Araceli Lemos, “Cat in the Wall” delle bulgare Mina Mileva e Vesela Kazakova e menzione a “The Great Tram Robbery” del serbo Slobodan Šijan. Premi ai lavori work in progress a “Honeyland” dei macedoni Ljubo Stefanov e Tamara Kotevska, all'israeliano “The Day After I'm Gone” di Nimrod Eldar e al libanese “What Comes Around” di Reem Saleh.
Infine l'associazione dei registi bosniaci ha assegnato il Premio Ivica Matić ai montatori Redžinald Šimek eTomislav Topić e all'Action Group of the Association of Bosnian Filmmakers for copyrights costituita da Pjer Žalica, Jovan Marjanović, Elma Tataragić e Amar Nović.