Un invito a guardare all'arcipelago del Mar Egeo con altri occhi. "E soprattutto - specifica Diego Zandel in questa recensione - con altra testa"
La parola “arcipelago” è strettamente collegata al Mar Egeo. Infatti, deriva dall’antico Aigaion Pelagos, cioè Mar Egeo, che i “Veneziani, insediatisi nell’Egeo dopo la quarta crociata (1204)” hanno storpiato in Archipelago. Ci sono anche altre interpretazioni, come quella di D’Alembert e Diderot (1751) nella loro Encyclopédie, per i quali la parola si sarebbe formata oltre che per corruzione di Aegeo-pelagus anche quale derivazione di arche (“principe”) e pelagos (“mare”), considerando, appunto, l’Egeo il principe dei mari.
L’unica cosa certa è che la parola arcipelago ha comunque a che fare con l’Egeo, un mare sul quale s’incontrano migliaia di isole di varia grandezza di cui oltre duecento abitate. Un viaggio straordinario tra di esse, tra le maggiori e le più rappresentative, lo compie per tutti noi Giorgio Ieranò, docente di letteratura greca all’Università di Trento con il suo libro “Arcipelago – isole e miti del Mar Egeo”, edito da Einaudi. Viaggio straordinario perché attraversa i secoli, visita le isole nei tempi e nello spazio che hanno dato vita ai tanti miti arrivati fino a noi e, poi, eventi che toccano la storia dalle epoche passate (veneziani, cavalieri gerosolimitani, ottomani, italiani, tedeschi, inglesi, greci) e più recenti, fino ai nostri giorni se serve a completare il racconto che le descrive. E lo fa con una scrittura capace di coniugare grande erudizione e lievità stilistica, passione ed emozioni, colori, sapori, storie, il tutto con una naturalezza narrativa da rendere questo libro in qualche modo unico nel suo genere.
Emergono isole che oggi per lo più sono meta di turisti e, alcune, pretesto di volgare movida, un divertimento cieco su un suolo che si calpesta così ricco della sua millenaria storia come, ad esempio Santorini, della quale Ieranò coglie la tradizione vampiresca, sinistra, forse dovuta al suo “paesaggio irreale, impressionante, sulfureo. Santorini è un teatro naturale, un palcoscenico vertiginoso di rupi scoscese e di case a strapiombo affacciate su un golfo cupo, dalle acque profonde… Santorini deve la sua forma a mezzaluna proprio all’implosione del cratere vulcanico su cui giace”. Implosione che, a sua volta, ha dato luogo a tante leggende e miti, che la massa dei turisti che l’affollano del tutto colpevolmente ignora.
Ma, per fortuna, ci sono anche isole sulle quali, visitandole, miti e leggende ancora si respirano. Sempre nelle Cicladi isole come Serifos o Paros, quest’ultima, negli ultimi decenni, molto amata dai poeti irlandesi. “Desmond O’ Grady, per esempio, arrivò a Naoussa nel 1966, pochi anni dopo avere appunto recitato il ruolo fortemente autobiografico di un poeta irlandese ne La dolce vita di Federico Fellini. Per O’Grady, morto nel 2014, Paros era ‘una epifania’, ‘l’isola delle isole’. Sulla sua scia si sono mossi i compatrioti Derek Mahon e il Premio Nobel Seamus Heaney. Qualche divo di Hollywood è invece approdato nella vicina Antiparos, isoletta oggi assai à la page.”
Lo stimolante viaggio nelle Cicladi prosegue a Delo, Naxos, Milos, Syros, che l’autore ci presenta nella loro luminosa dimensione naturale per la luce che le attraversa tra mare e cielo, palcoscenici di altre storie, per poi spostarsi a Creta, la madre degli dei, come recita il titolo del capitolo. Un’occasione per immergerci nel mito di Giove, di Efesto, del labirinto, di Minosse, del Minotauro, Teseo, Arianna, Dedalo, Icaro. Il libro offre momenti di rilettura di storie e personaggi di cui ci sono rimasti lontani echi scolastici, da opere come le Argonautiche di Apollonio Rodio o del mitografo Apollodoro con la sua Biblioteca. E di Omero. Ieranò cita Charles Delattre: “In Omero, Creta non è una semplice isola (nesos) ma una vasta contrada (gaia), una terra che ‘si estende da lontano’, una base solida e ferma dove risiedono fino a cinque popoli differenti. La sua posizione, ‘lontana al di là del mare’, ne fa quasi un analogo di quelle contrade misteriose che sono i paesi degli Iperborei e dei Cimmeri”. Il capitolo è ampio, e arriva fino alla occupazione tedesca, senza trascurare le scoperte dell’archeologo avventuriero Arthur Evans, al quale va il merito del ritrovamento del palazzo di Minosse. Ma prima ancora la conquista dell’isola da parte dei veneziani. Quanta storia in quel mare!
Da ultime le isole del Dodecaneso: Rodi, Kos, Samo, Lesbo, Lemno. Sono isole, tutte, ma in particolare Rodi e Kos che si sono trovate sulle rotte della storia più grande, terre e porti di passaggio dagli antichi romani ai cavalieri gerosolimitani, dagli ottomani che qui hanno dominato per secoli agli italiani ai quali il Dodecaneso è appartenuto dal 1912 (ufficialmente dal 1922, col Trattato di Losanna) al 1947 (Trattato di Parigi) lasciando la loro impronta architettonica. Isole dove forse più di altre isole dell’Egeo sono esposti tremila anni di storia tutti visibili. Ma i turisti, compresi gli italiani, distratti dalla movida di questi ultimi anni (Kos, ad esempio, fino a tutti gli anni Ottanta era rimasta estranea alle masse) sembrano non accorgersene.
Questo libro di Ieranò è più di un invito a guardare l’arcipelago intero con altri occhi. E, soprattutto, altra testa.