Mar Egeo di fronte all'isola di Rodi - Foto F. Fiori

Mar Egeo di fronte all'isola di Rodi - Foto F. Fiori

Un arrivo a Rodi con la pioggia, sulle note della musica di Ryūichi Sakamoto. Prosegue la Rodiade di Fabio Fiori, in viaggio in bicicletta alla scoperta della grande isola dell'Egeo, caotica e metafisica, "ripostiglio infinito di storie fantastiche e mirabolanti”

01/03/2024 -  Fabio Fiori

Piove al mio arrivo a Rodi. Così dopo aver ritirato la borsa con la bici dal nastro bagagli dell’Aeroporto Diagoras, essere uscito e averla rimontata, rimango a sedere attendendo l’evolvere della situazione. Sono le quattro del pomeriggio, c’è poca gente e le bandiere indicano un vento occidentale, almeno favorevole alla mia pedalata verso la città che dista venti chilometri. Mi siedo su una panchina addossata al muro e ascolto dallo smartphone con le cuffie Rain di Ryūichi Sakamoto che è morto qualche giorno fa e che, come tanti italiani, ho conosciuto guardando “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci, nell’ormai lontano 1987.

La musica di Sakamoto così, imprevedibilmente, mi accompagnerà in questa mia Rodiade, in questo viaggio in bici e a piedi che incomincia altrettanto imprevedibilmente sotto la pioggia, perché devo partire avendo solo un paio di ore di luce. Pioggia che anziché diminuire diventa battente subito dopo qualche chilometro, quando la strada ritorna a bordeggiare il mare. Un Egeo bigio, uno stretto canale di una quindicina di chilometri che separa la costa nordorientale di Rodi dalla Penisola Dacta. La città di Marmaris, il continente anatolico, la Turchia sono vicinissime. Una presenza ingombrante che ha segnato nel bene e nel male le vicende dell’isola. Pedalo su un lungomare trasandato, dove l’occhio cerca sollievo guardando a sinistra il mare picchettato dalla pioggia e la mente fantastica a partire dal cartello turistico che indica l’antica città di Ialisos. È questa una delle città doriche che, insieme a Lindos e Kameiros, si coalizzarono e diedero origine alla città di Rodi, all’inizio del IV secolo a.C.

Ma anche qui come a Roma devo stare molto attento ai pirati della strada che sfrecciano con auto ammaccate e pickup infangati. Se avevo dei dubbi questa strada mi chiarisce subito che Rodi, come tutte le grandi isole mediterranee, è stata stravolta dalla caotica frenesia edilizia dell’ultimo mezzo secolo. Perché anche qui è un ininterrotto susseguirsi di palazzi, case, casette e baracche mal costruite, inconcluse, già decadenti. Un paesaggio devastato che la sciatteria prestagionale e la pioggia immalinconiscono ancor di più. Edifici che si fanno sempre più grandi avvicinandosi alla città. Alberghi costruiti negli anni Sessanta e Settanta, quando collegamenti aerei e crescita economica hanno fatto del turismo la prima economia dell’isola.

Spiove, finalmente quando arrivo all’estrema propaggine nordorientale dell’isola, Capo Zonari. Qui trovo la prima architettura del periodo coloniale italiano, la ex Stazione Idrologica, oggi Acquario. Un edificio in stile art déco costruito negli anni Trenta che assomiglia a un piccolo cinema di provincia, color sabbia con cornicioni e particolari rosso mattone. La cornice del portone è invece azzurra con creature marine bianche in bassorilievo. Un luogo metafisico, soprattutto quando, come oggi, è chiuso e sono deserti gli spazi periferici.

L'ex Stazione Idrologica, oggi Acquario (foto F. Fiori)

L'ex Stazione Idrologica, oggi Acquario (foto F. Fiori)

Sono bagnato fradicio e infreddolito, così vado in albergo a farmi una doccia calda e a cambiarmi. M’accoglie un po’ stupita Anastasia, quarantenne, bionda ossigenata e sorridente. Mi chiede subito della mia passione ciclistica con un ironico: “Do you like cycling in the rain?”. Gli rispondo con altrettanta ironia che sognavo di trovare Rodi fredda e piovosa. “Well! Then you are happy”. Lei ha studiato economia del turismo ad Atene e una delle sue figlie ora è là, iscritta a medicina, mentre un’altra sta facendo un corso di cinema in Olanda.

Benedetta la doccia calda e gli abiti asciutti. Esco che è già buio, continua a piovere e vado dall’albergo, che è nella città nuova, a quella vecchia a piedi. Meno di cinquecento metri e mi trovo in Piazza Rimini, venendo da Rimini. Non sapevo di questo toponimo e la cosa m’incuriosisce doppiamente perché nella mappa italiana degli anni Trenta non esiste e intorno non ci sono altre vie o piazze con nomi di città. Ricollego allora questo toponimo alla “Terza brigata di montagna dell’esercito greco”, rinominata Brigata Rimini, Taxiarchia Rimini, dopo la liberazione della città avvenuta nel settembre 1944. Ripenso agli oltre cento giovani greci, molti dei quali provenienti dal Dodecanneso, che morirono per liberare la mia città dagli occupanti tedeschi e che sono sepolti nel Cimitero Militare Ellenico sulla Via Flaminia a Riccione. Centoquattordici lapidi bianche di ragazzi che non solo subirono l’occupazione e il regime fascista nella loro terra, ma che decisero di combattere, perdendo la vita per liberare l’Italia.

Non sono certo che la piazza prenda il nome in ricordo di quei fatti, ma comunque questo pensiero mi accompagna nel mio primo vagabondaggio notturno nella città vecchia. Non c’è quasi nessuno nei vicoli; bazar e taverne sono chiuse. La pioggia e il buio mi restituiscono una Rodi cavalleresca. Nella notte faccio mie le parole del colonnello Thrasyvoulos Tsakalotos della Brigata Rimini, di “Immortali morti vi lasciamo per poco ma non sarete a noi lontani”, aggiungendo un doveroso e commosso ευχαριστώ αδέρφια, grazie fratelli.

Ps

Il sinecismo, cioè l’unione delle tre città dell’isola di Rodi: Kameiros, Ialisos e Lindos, avvenuta nel 408 a.C. segna una svolta fondamentale nella storia dell’isola, a partire dalla fondazione della città di Rodi, che diventerà uno dei più importanti scali verso il Levante. Avvenimenti raccontati in poche pagine appassionate da Giorgio Ieranò in Arcipelago. Isole e miti del Mar Egeo (Einaudi, 2018; pp 280, € 20). Un libro che permette un’esplorazione storica e geografica sulle rotte del Buondelmonti, riprendendo il titolo del prologo, che scrisse uno dei primi isolari mediterranei, completato nel 1420. E proprio per Rodi questo prete, mercante, avventuriero, umanista era partito nel 1414, per poi visitare tante altre isole dell’Egeo, “il mare degli dèi e degli eroi …un ripostiglio infinito di storie fantastiche e mirabolanti”.