Fondata un secolo fa dai profughi greci arrivati ad Atene dall’Asia Minore, la squadra di calcio AEK è nata nel segno di Costantinopoli e della Chiesa Ortodossa. Dopo una diaspora sportiva di quasi 20 anni, i gialloneri hanno di nuovo una casa carica di significato storico
I boati e i cori dei tifosi in festa dentro lo stadio riempiono l’aria di Nea Filadelfia, periferia nord di Atene. Lo speaker implora di smetterla con i fumogeni, altrimenti la partita non può cominciare. In un lunedì sera di inizio ottobre, l’AEK Atene sta per scendere in campo per la prima volta nella sua nuova cattedrale. A un certo punto anche i controlli ai gate saltano, e gli ultimi arrivati, senza biglietto, si accalcano sulle scalinate che portano agli spalti stracolmi. La nebbia costringe l’arbitro a posticipare il calcio d’inizio.
A pochi metri dai cancelli dello stadio, dentro la chiesa di Agia Triada, il sacerdote ortodosso Alexandros non si scompone: “Sono abituato al frastuono”, spiega mentre riordina delle icone sulla scrivania, “servo qui da 28 anni”. È però dal lontano 2003, dalla demolizione cioè del “Nikos Goumas”, stadio obsoleto e danneggiato dal terremoto di quattro anni prima, che l’AEK non gioca nella sua Nea Filadelfia. “Con il vecchio stadio era anche peggio – sostiene il pope – si celebravano matrimoni e battesimi nei fine settimana, ma si sentiva solo il frastuono dello stadio. Per non parlare degli scontri tra tifoserie rivali”.
Estrae dal cassetto un pezzo di carta su cui disegna una mappa rudimentale di Costantinopoli. Inizia a raccontare della Catastrofe dell’Asia Minore e del successivo scambio di popolazioni con la Turchia, che un secolo fa portò ad Atene e nel resto della Grecia oltre un milione di profughi. Si stabilirono nelle periferie ateniesi, alcune delle quali portano ancora oggi il nome dei luoghi che erano stati costretti ad abbandonare – Nea Smirni, Nea Ionia, Nea Filadelfia.
Fondata nel 1924, L’AEK - Unione Sportiva Costantinopoli - è figlia di quell’esodo. Sarà per questo che la diaspora sportiva che ha tenuto i gialloneri lontani da Nea Filadelfia per 19 lunghi anni è accettata dai più quasi con orgoglio: l’unità nello sradicamento è la cifra della storia del popolo AEK.
Nei due decenni lontano da Nea Filadelfia, l’AEK è riuscita comunque a conquistare due coppe di Grecia e un titolo nazionale, ma è anche scesa all’inferno della terza divisione per problemi finanziari. Artefice della rinascita – e del nuovo stadio – è Dimitris Melissanidis.
Il calcio che conta, in Grecia, è roba per grandi famiglie di armatori: Evangelos Marinakis è dietro al recente dominio calcistico dell’Olympiacos. Yiorgos Vardinogiannis è stato per oltre 20 anni presidente del Panathinaikos; gli è succeduto Giannis Alafouzos, armatore originario di Santorini. Melissanidis fa parte di questo filone. Figlio di un rifugiato dal Ponto, ha costruito un impero navale e petrolifero che lo rende una delle personalità più influenti in Grecia.
Dal 2013, quando è tornato per la terza volta alla guida dell’AEK, Melissanidis si è battuto per regalare ai gialloneri il loro nuovo tempio, lo stadio “Hagia Sophia”, che porta il nome della cattedrale ortodossa di Costantinopoli recentemente riconvertita da Erdoğan in moschea.
Il legame con l’identità bizantina ortodossa è ribadito ovunque. L’aquila bicefala, simbolo di Costantinopoli e da sempre al centro dello stemma dell’AEK, troneggia ora anche fuori dai cancelli dell’“Hagia Sophia” per opera dello scultore ungherese Miklós Gábor Szőke.
Il metropolita di Nea Filadelfia Gavril ha aperto la cerimonia di inaugurazione dello stadio, ricordando che “Chiesa e AEK sono una cosa sola” e tagliando il nastro insieme a Melissanidis. Persino il Patriarca Ecumenico Bartolomeo è intervenuto con un videomessaggio nel corso della serata.
In linea con i tempi, il nuovo stadio dell’AEK è però anche una cattedrale profana del consumo. Accanto al nome sacro di “Hagia Sofia” porta quello profano di “OPAP Arena”, tributo al colosso delle lotterie e delle scommesse – di cui lo stesso Melissanidis è stato azionista – che ha sponsorizzato il progetto. È il primo stadio greco a portare un nome commerciale, pratica già ampiamente diffusa nel resto d’Europa. Mettendo piede all’interno dei cancelli, prima ancora che nello store ufficiale della squadra ci si imbatte in un gigantesco centro scommesse.
Al popolo giallonero, però, quel che importa davvero è avere di nuovo una casa. Ci sono voluti quasi quindici anni per iniziare i lavori a Nea Filadelfia, e altri cinque per completarli.
Un serbo, Ilija Ivić, aveva segnato l’ultimo gol al “Nikos Goumas” nel lontano 2003. Un altro serbo, Mijat Gaćinović, porta in vantaggio l’AEK nella partita d’esordio all’“Hagia Sofia”: è un cerchio che si chiude, e un nuovo ciclo che si apre. L’esultanza dei 32 mila presenti scuote anche Alexandros, che si alza, spegne la luce e si appresta a lasciare la chiesa. Anche lui tifoso? “Che vuoi farci”, fa con un’alzata di spalle “la guardo in televisione”.