Emine Buruci è una delle cantanti più apprezzate della tradizione pomacca di Grecia. Una tradizione ed una cultura legate ad un mondo antico ed isolato che oggi, sottoposte a pressioni diverse, rischiano di scomparire per sempre. Emine, emancipata ma gelosa della sua identità, è una donna sospesa tra passato e futuro
Xanthi, Grecia settentrionale, estate avanzata del 2011. Tempo di ramadam. Incontro Emine Buruci, cantante di folklore dei Rodopi greci, 30 anni. Occhi azzurri, bionda, pelle eburnea, Emine sarebbe la tipica pomacca, se non fosse per il fatto che non porta il velo. Emine, infatti, è una donna moderna, e a suo modo una femminista. Il velo l’ha tolto cinque anni fa, mettendosi alle spalle i rigidi canoni della sua piccola e isolata comunità musulmana, nella quale la donna è ancora sottomessa all’uomo.
Emine si è sposata quando aveva soltanto 13 anni. Allora, è stata “rubata” da Dimario, villaggio montano dove nata, non lontano dal confine con la Bulgaria, abitato da pomacchi (slavi convertiti all’Islam al tempo dell’Impero ottomano). Tutti i villaggi pomacchi in Grecia hanno il nome in greco e nel dialetto slavo locale. Quando si è sposata, Emine conosceva soltanto la sua lingua madre, il dialetto slavo/bulgaro conosciuto appunto come “pomacco”.
Soltanto nel 2006, quando aveva 25 anni Emine, tolto il velo, ha deciso di tornare a scuola, dove ha studiato il greco e il turco. Ora vorrebbe studiare anche il tedesco, visto che suo marito lavora in Germania e vede il futuro dei suoi tre figli in un Paese dell’Europa occidentale. “Vorrei trasferirmi anch’io in Germania con i bambini. Qui non ci sono soldi, né lavoro”, racconta Emine.
Emine è una donna intraprendente, con molti interessi. Lavora come guida turistica in Turchia e Bulgaria. E’ una delle cantati folkloriche dei Rodopi greci più conosciuta ed apprezzata. Canta nella sua lingua madre, e ha già pubblicato alcuni dischi.
Una tradizione che scompare
La tradizione folklorica musicale dei Rodopi greci non è molto diversa da quella del versante bulgaro. Con una differenza sostanziale: la piccola e periferica comunità dei pomacchi greci (circa 35mila persone) sta perdendo il suo patrimonio culturale.
Emine è diventata cantante per caso. Lavorava in un caffè di Xanthi quando una sera, aspettando che un gruppo di clienti ubriachi si decidesse finalmente ad andare a casa, presa dalla tristezza si mise a cantare una canzone imparata da sua madre. Tra gli avventori c’era anche il greco Nikkos Kokkas, grande appassionato del folklore pomacco. Da allora Nikkos è tornato spesso a sentirla cantare, e un giorno le ha proposto di produrre un album con le sue canzoni. Dalla collaborazione sono nati vari dischi, e il prossimo, con tredici pezzi accompagnati da cornamusa, “kaval”, fisarmonica e percussioni, dovrebbe vedere la luce a breve.
Emine ha imparato le canzoni che interpreta da sua madre e da parenti anziani. Il folklore dei Rodopi greci, infatti, si conserva oggi solo nella memoria di qualche anziano. Secondo Emine, c’è poi un altro fattore che mette a rischio la tradizione culturale pomacca: la pressione culturale ed identitaria provenienti dalla comunità turca. “I turchi ci hanno convinto che identificarsi come ‘pomacco’ è una cosa negativa. Dicono che, visto che siamo musulmani, siamo turchi. Molti pomacchi mandano i figli a studiare in Turchia, e ormai parlano soltanto il turco”.
Questa pressione è particolarmente evidente quando i pomacchi festeggiano “Ederlez” (il 6 di maggio, giorno d’inizio dell’estate agricola). Racconta Emine: “I turchi sostengono che chi festeggia Ederlez è un greco, un miscredente. Secondo i turchi il vero credente non può festeggiare Ederlez”.
Emine è presidente di una organizzazione non governativa che si batte per la salvaguardia della cultura pomacca, a cui aderiscono altre sei persone dei villaggi della regione di Ksanti abitati da pomacchi. Nell’associazione ci sono altre donne, che però preferiscono mantenere un basso profilo, visto il conservatorismo della regione.
Vite isolate
La vita, nei villaggi è ancora intrisa di valori patriarcali, e la donna è sottomessa all’uomo, ed è la famiglia a decidere se una ragazza deve studiare o meno. “Nei nostri villaggi la modernità ancora non è arrivata”, sostiene Emine. La comunità controlla efficacemente il comportamento femminile, compresi le regole che riguardano il modo di vestire. Nei villaggi, tutte le donne pomacche portano il velo. “Nei paesini di montagna le ragazze non vanno a scuola. Imparano a cucinare e a prendersi cura degli uomini…La parola del padre, o del marito, è legge. Un uomo può anche avere un’amante o due, ma la donna deve stare a casa. Anche perché la donna è economicamente dipendente dal suo uomo. Quando si va a passeggio a Pashevik (i Pachni, in greco), le ragazze devono sempre essere accompagnate da un’amica, mai da sole”.
“Le donne nei nostri villaggi coltivano l’orto, si prendono cura degli animali”, prosegue Emine, “al massimo si riuniscono tra loro per chiacchierare e cucire. Se qualcuna si leva il velo, la comunità subito la emargina. ‘Se si è tolta il velo’, dicono, ‘far presto a togliersi anche qualcos’altro. Solo le pomacche che vivono a Ksanti, o ad Atene, hanno la possibilità di togliersi il velo”.
Con Emine chiacchieriamo in un caffè all’aperto non lontano dalla torre dell’orologio di Ksanti. La prego di cantarmi qualche canzone del suo repertorio, ma lei si schernisce: non vuole cantare in un luogo pubblico in dialetto pomacco. “Mi strapperanno i vestiti, mi prenderanno a sassate. Non voglio che qualcuno se la prenda con me”.
Ci spostiamo in un locale più piccolo e riservato. Qui Emine mi canta infine uno dei pezzi del suo nuovo album, una canzone nota nei villaggi di Dimario (Demerzhik), Glavki (Gjokche Bunar) e Pachni (Pashevik).
Emine mi racconta come, durante un suo viaggio nella vicina Bulgaria, in un locale ha visto i clienti bulgari cantare a squarciagola canzoni greche. Allora, spontaneamente, ha sentito il bisogno di cantare nella sua lingua madre. Allora tutti hanno cominciato a cantare insieme a lei, visto che la canzone scelta “Bela sam, bela, yunache” è conosciuta e amata anche nei Rodopi bulgari.
Emine è molto religiosa, ma ritiene che le preghiere, così come il digiuno nel mese di ramadan, appartengono alla sfera del privato. “Quando prego, non lo faccio perché gli altri mi vedano, ma per un mio intimo bisogno. Se decido di digiunare per il ramadan, è per me stessa che lo faccio. Mi piace digiunare, ma non sono mai sicura di riuscire a resistere per tutto il mese. Se Allah mi aiuta, ce la farò. Quando vuoi fare qualcosa, se lo vuoi veramente, riuscirai nell’intento che ti sei proposto”.