L’industria della fecondazione in vitro spopola in Grecia. Un settore di fatto non regolato, dove le cliniche speculano sfruttando le donatrici. E lo stato? Si gira dall’altra parte
(Questa inchiesta, prodotta all'interno della Fellowship for Journalistic Excellence, supportata dalla ERSTE Foundation, in cooperazione col Balkan Investigative Reporting Network, è stata originariamente pubblicata su Balkan Insight col titolo "Making Babies, Pushing Boundaries: The Great Greek Fertility Market ")
La settimana lavorativa era molto dura, ma i week-end ripagavano gli sforzi compiuti. I venerdì sera, dopo il lavoro da cameriera o qualsiasi altra occupazione che le dava la possibilità di pagarsi le bollette, Lina si lanciava nella pista da ballo. Aveva vent’anni ed era pronta ad affrontare la vita notturna. L’economia greca era in ginocchio e anche i camerieri ne stavano risentendo, ma alcuni, lavorando durante il periodo estivo, grazie alle mance, riuscivano a sopravvivere ai mesi peggiori. Lina era abituata a stare fuori fino a così tardi che avrebbe potuto prendere la prima corsa del metro della mattina per tornare a casa.
Era arrivata ad Atene durante la sua adolescenza. Da ragazza punk si era sentita accolta nel distretto di Gazi, un quartiere ritenuto arruffato, ma alla moda. Per il suo stile avrebbe potuto benissimo sembrare un bel ragazzo che giocava a sembrare una ragazza o viceversa. Era cresciuta in Bulgaria e aveva sempre avuto una passione per i soldatini, meno per il vestito di pizzo rosa che era costretta ad indossare per Natale e le occasioni speciali.
Si recava sempre negli stessi bar a Gazi, dove incontrava le stesse persone, che si conoscevano a vicenda e cercavano le stesse cose – flirtare, divertirsi e dimenticare di tutto il resto. Anche se l’ambiente era disinibito, le parole che un giorno le rivolse la barista colsero Lina di sorpresa. "Che dici di donare gli ovuli?" - le disse - "sono soldi facili e conosco le persone giuste".
Nonostante non fosse il tipo di proposta che si aspettava all’interno di un bar gay, non era la prima volta che Lina sentiva di questa pratica, conosceva ragazze che lo avevano fatto. Cominciò a pensarci. O è quello, le disse un’amica che conosceva i modi per far soldi ai margini, o prostituirsi.
Lina donò i suoi ovuli per la prima volta in una clinica per la fertilità a 23 anni. Nei sette anni successivi lo avrebbe fatto per altre quattro volte. Ciascun ciclo includeva dieci giorni di terapia ormonale, che consisteva in un’iniezione giornaliera per stimolare le sue ovaie in modo da produrre più ovuli possibili. Gli ovuli migliori sarebbero serviti per creare embrioni che sarebbero stati poi assegnati a uno dei migliaia di clienti provenienti dal resto d’Europa. “Non ti sembra di dare alla luce un bambino”, racconta Lina a BIRN. “Non senti nulla, sembra soltanto che le tue ovaie stiano per scoppiare”.
Violeta, un’amica di Lina, non ha avuto un’esperienza facile. Ha deciso di donare i suoi ovuli per motivi economici, ma dopo il secondo ciclo di terapia ormonale, un fluido ha cominciato a riempire il suo stomaco e i polmoni – una complicazione rara e potenzialmente mortale legata all’iperstimolazione delle ovaie. “Non potevo respirare” ha affermato Violeta a BIRN. “Dovevo dormire in piedi, perché tossivo come se avessi fumato dieci pacchetti di sigarette al giorno”.
Lina e Violeta sono nomi di fantasia. Le donazioni dovrebbero avvenire per motivi altruistici, ma entrambe le donne hanno deciso di farlo per motivi economici. I loro appuntamenti sono stati fissati da un intermediario, che ha ricevuto poi un pagamento sia dalla clinica che dalle donatrici.
Nonostante questa pratica sia illegale, è largamente diffusa ed è il risultato di un mercato in cui la domanda supera di gran lunga l’offerta. BIRN ha intervistato un’intermediaria nel suo appartamento in un quartiere operaio di Atene. La giornalista si è presentata come una possibile donatrice, mentre la donna si è definita come una “rappresentante dei medici”.
La donna, sulla cinquantina, aveva una voce roca e modi di fare piuttosto guardinghi e prudenti, che si addolcivano mentre parlava delle giovani donne che aveva reclutato come donatrici. “Amo le mie ragazze”, ha affermato. “Le amo tutte”. Il suo salotto era pieno di ritratti di bambini. La donna spiegò che le cliniche sfruttavano le donatrici facendole donare più volte rispetto a ciò che era previsto, ma con lei queste donne non avrebbero avuto nulla da temere. “I medici mi temono perché sanno che posso far in modo che la licenza sia loro tolta. Se una delle mie ragazze si sente male, so come farli mettere a posto”, ha affermato. “Dopo vent’anni di lavoro di notte, posso mangiarmeli a colazione.”
A quarantadue anni dalla nascita del primo bimbo con procreazione assistita in Inghilterra, altri miglioramenti in campo scientifico hanno dato la possibilità a milioni di persone di diventare genitori. Si è così sviluppato un mercato globale legato ai trattamenti per la fertilità, che ha visto la Grecia diventare una tra le migliori opportunità in Europa grazie a medici riconosciuti a livello mondiale, cliniche all’avanguardia, prezzi competitivi e una cornice legale permissiva.
Sono nati, così, numerosi siti web che mirano a promuovere le cliniche presenti nel paese, sponsorizzandole con immagini della costa mediterranea, offrendo la combinazione di trattamenti medici con una vacanza. Per più di un decennio, la Grecia è stata seconda solo alla Spagna tra le mete europee preferite per la procreazione assistita.
Durante tutto questo periodo, però, le cliniche greche hanno operato senza essere sottoposte a una reale supervisione. L’agenzia statale incaricata è rimasta a corto di risorse già a partire dalla sua creazione nel 2005 e per sei anni - precisamente dal 2008 al 2014 – di fatto non ha operato. Lo scorso ottobre è stata chiusa, e una nuova è stata istituita al suo posto nella primavera di quest’anno.
“Le cliniche operano in uno stato di anarchia”, ha affermato Katerina Fountedaki, vicepresidente dell’appena smantellata Autorità nazionale per la procreazione assistita dal 2018 al 2020. Il primo consiglio d’amministrazione si è dimesso nel 2008, lamentando un mancato sostegno da parte dello stato. Fountedaki ha dichiarato che per i sei anni successivi “il settore legato alla procreazione assistita si è trovato in uno stato caotico, senza alcun tipo di controllo.”
L'inchiesta che leggete ha dimostrato che le cliniche greche operano nel settore senza seguire la legge e senza nessun tipo di supervisione. In questo caso, il mercato diventa un luogo in cui l’etica viene calpestata dalla logica del profitto e lo sfruttamento delle donatrici viene travestito da altruismo.
Il mercato legato alla donazione degli ovuli, spinto da un’enorme domanda, offre la possibilità alle donne che ricevono un salario basso di ricevere un incentivo finanziario in cambio della partecipazione a un processo che viene definito, ma solo formalmente, altruistico. In realtà, spesso le cliniche trattano le donatrici in modo poco etico, al limite dello sfruttamento. Molte usano gli ovuli provenienti dalle stesse donatrici più delle volte di quanto non venga considerato salutare o etico. Alcune strutture non sono riuscite a garantire, in alcune occasioni, un consenso informato riguardo ad alcune pratiche invasive che non sono esenti da rischi. Altre hanno compiuto procedure non previste senza registrarle o si sono procurate materiale genetico attraverso gruppi criminali organizzati attivi nel traffico di esseri umani.
BIRN ha individuato la presenza di violazioni in singole cliniche, ma risulta difficile capire quanto sia esteso questo fenomeno nel settore. È evidente come alcune cliniche agiscano nel rispetto delle leggi e dell’aspetto etico, mentre altre non lo facciano. Si è continuato ad operare nonostante un vuoto legislativo, quindi è impossibile capire quante cliniche stiano commettendo violazioni, anche perché non c’è un sistema di raccolta dati. Un registro dei donatori, considerato come il requisito minimo al fine di garantire una conformità dal punto di vista etico, è stato creato solamente nel 2019, nonostante sia stato istituito come requisito legale necessario già dal 2005.
“Le cliniche risultano colpevoli quando commettono delle violazioni”, ha affermato Vassilis Tarlatzis, pioniere nel campo della procreazione assistita in Grecia e primo vicepresidente dell’autorità nazionale dal 2006 al 2008. Tuttavia, ha affermato, alla fine è lo stato quello da condannare, visto che diversi governi che si sono susseguiti senza essere in grado di creare un ente regolatore e un registro centralizzato. “Tutto ciò mostra il dilettantismo dello stato”, ha dichiarato Tarlatzis a BIRN. “Se veramente prendesse la procreazione assistita sul serio, dovrebbe investire nel settore e fare in modo che tutto proceda correttamente”.
BIRN ha contattato l’ufficio stampa del ministero della Salute greco per mail e per telefono quattro volte in un periodo di tre settimane prima della pubblicazione di questa inchiesta, chiedendo alcuni commenti riguardo alla regolamentazione del settore. L’ufficio stampa ha dichiarato che non era stato in grado di trovare qualcuno che potesse rispondere alle domande poste. BIRN ha cercato di raggiungere per tre volte via e-mail o per telefono anche il nuovo organismo di regolamentazione nello stesso periodo, ma un funzionario ha nuovamente risposto dicendo che non c’era nessuno disponibile a dare risposta alle domande.
Senza linee guida universali
Siamo ancora lontani dal risolvere il problema dell’infertilità e la procreazione assistita è ancora agli albori, ma si stanno già generando alcuni scenari che in passato sarebbero sembrati pura fantascienza. Il dibattito etico sulla questione propone varie domande: una certa procedura può essere compiuta solamente se c’è una forte domanda? Se no, fino a dove si possono tracciare certi limiti? Fino a che punto i genitori dovrebbero essere in grado di prendere decisioni riguardo ai geni del loro figlio? Tutti hanno diritto ad avere un bambino? È lecito pagare per ottenere ovuli oppure uteri in affitto?
Differenti risposte a queste domande in diverse parti del mondo hanno creato un mercato internazionale sui trattamenti legati alla fertilità. La presenza di siti web che promuovono la Grecia come meta per la fecondazione in vitro ha fatto aumentare l’uso di maternità surrogata e la donazione di ovuli ed embrioni per donne single e coppie. Molte di queste procedure sono proibite o hanno costi molto alti nella maggior parte dell’Europa, ma sono facilitate in Grecia dalla presenza di leggi più liberali.
La domanda internazionale ha aiutato la crescita del settore in Grecia, dominato da cliniche private e forza propulsiva del turismo medico nel paese, fonte di milioni di euro. La domanda di ovuli è soddisfatta dalle donazioni di donne che mantengono l’anonimato, come Lina e Violeta. La maggior parte di loro lo fa per ragioni economiche.
Come per il sangue, i reni e altri organi, gli ovuli non si potrebbero vendere. Per questa ragione, la legge greca indica che questi possano essere donati per ragioni altruistiche, in linea con le regole osservate a livello mondiale. Tuttavia, nella realtà, molte donne spesso donano gli ovuli per ragioni finanziarie, in quanto possono ricevere una “compensazione” per le perdite e lo stress arrecati, che si aggira intorno ai 1500 euro, che possono corrispondere fino a due mesi di stipendio per donne con salario basso.
Ogni volta che Lina ha donato i suoi ovuli ha ricevuto 1200 euro dalla clinica. Ne ha tenuti 1000 per sé e ne ha dati 200 alla donna che aveva organizzato la donazione. Lina afferma di non aver ricevuto alcun tipo di informazione dalla clinica riguardo potenziali rischi ed effetti collaterali, mentre la donna mediatrice le ha spiegato tutto in anticipo. Lina ha comunque deciso di affrontare la donazione “nella prospettiva di ricevere 1000 euro.”
L’amica di Lina, Violeta, ha affermato di non voler più donare nonostante abbia bisogno di denaro. “Non ho avuto una buona esperienza la seconda volta”, ha affermato. “Ho pensato di morire.” Anche per Lina, quella che sembrava una buona idea quando aveva vent’anni, ora le appare di meno. “Non ne voglio più sapere di quella cosa”, ha concluso. “Ho buttato via i soldi comunque.”
Il rischio di gravi complicazioni per le donne che si sottopongono a tali trattamenti è sempre stato basso e lo sta diventando sempre di più. Le terapie ormonali sono sempre più sofisticate e su misura per ciascun individuo. Le cliniche compiono anche test regolari per far sì che le ovaie non siano a rischio di iperstimolazione, come è successo a Violeta. Eppure, mentre i trattamenti stanno diventando sempre più sicuri, molto rimane ancora poco chiaro riguardo alle conseguenze a lungo termine.
“C’è la preoccupazione che ogni volta che una donatrice si sottopone a un’ulteriore procedura sia esposta a rischi”, dichiara Diane Tober, un’antropologa in ambito medico e professoressa presso l’Università della California a San Francisco, che ha compiuto ricerche nel settore della fertilità. “Senza studi a lungo termine, nessuno sa fino a che punto le donatrici potrebbero soffrire di complicazioni nel tempo.”
Rimangono anche questioni aperte riguardo alla misura in cui la stimolazione artificiale per la produzione di ovuli, possa portare, nel tempo, alla riduzione della loro qualità, che potrebbe influire negativamente sulle possibilità della donna di concepire in seguito. Qualsiasi tipo di procedura in cui buona parte dei risultati rimane sconosciuta richiede un consenso informato, ma come suggerisce Lina, questo non sempre avviene.
Il fatto che non ci siano certezze riguardo alle conseguenze a lungo termine dei trattamenti sulla salute e sul materiale genetico delle donne costituisce una delle maggiori argomentazioni a favore di una maggiore regolamentazione delle donazioni di ovuli. I benefici della donazione supereranno i potenziali costi solamente se chiari limiti saranno fissati riguardo a quante volte una donna può affrontare la donazione e quanti ovuli possono essere conservati ad ogni ciclo.
Un altro argomento a favore di una maggiore regolamentazione nel settore deriva dai potenziali rischi per la popolazione. La donazione di materiale genetico, infatti, viene compiuta anonimamente e questo potrebbe creare involontarie consanguineità tra individui che si trovassero a condividere lo stesso genitore biologico: per questa ragione, molti paesi hanno stabilito limiti al numero di bambini che possono nascere dal materiale genetico utilizzato.
Secondo la Società europea di riproduzione ed embriologia, un’organizzazione non governativa con sede a Bruxelles che si occupa di medicina riproduttiva, “non ci sarebbero linee guida valide per tutti.” Così come è stato descritto via e-mail da un responsabile della società a BIRN, ogni paese stabilisce dei limiti: alcuni scelgono di contenere il numero di volte in cui una donna può donare gli ovuli, mentre altri si limitano al numero di bambini nati.
La legge greca non stabilisce quante volte una donna possa affrontare alcuni trattamenti oppure quanti ovuli possano essere conservati e utilizzati per ogni processo, queste decisioni vengono lasciate alla discrezione di ogni clinica. La normativa conferma solamente che una donatrice non possa essere genitore biologico di più di dieci bambini, una cifra arbitraria che, in teoria, dovrebbe minimizzare le possibilità di generare consanguineità nella popolazione.
In pratica, però, anche il rispetto dell’unico limite fissato dalla legge, ossia quello dei dieci bambini, viene lasciato alla discrezione delle singole cliniche, per cui non esiste un meccanismo di supervisione. In aggiunta, l’agenzia che era stata creata per monitorare il settore non ha mai funzionato effettivamente e il registro dei donatori – l’unico strumento in grado di tracciare quanti bambini sono nati dal patrimonio genetico di un singolo individuo – è stato istituito solamente due anni fa.
Alcune cliniche, dato il mancato controllo dei loro registri, sono state in grado di stravolgere i limiti etici e di ignorare qualsiasi limite legale, allo scopo di perseguire il mero profitto. “Molte donatrici hanno donato troppi ovuli senza nessun tipo di controllo”, ha affermato Katerina Fountedaki, ex vicepresidente dell’autorità nazionale per la riproduzione assistita, l’organo di controllo che avrebbe dovuto mantenere i registri. Ha aggiunto che, nelle regioni meno popolate della Grecia, erano sorte “numerose questioni riguardo alla possibilità, per molti bambini, di essere nati dalla stessa madre biologica, con maggiore rischio di possibili incesti.”
In assenza di un registro centralizzato, le cliniche hanno il compito molto difficile di rispettare la legge che limita il numero di bambini per donatrice. Gli impiegati più coscienziosi chiederanno alla possibile donatrice se ha donato in altre cliniche. La donna, incapace di stabilire quanti bambini sono nati dai suoi ovuli, provvederà a elencare le altre cliniche. L’impiegato, poi, si occuperà di contattarle per conteggiare quanti bambini sarebbero da lei nati, garantendo così che eventuali embrioni creati dai suoi ovuli rimangano comunque entro il limite.
In pratica, quindi, se una clinica è sottoposta a un’enorme domanda di ovuli non sarà portata a fare molte domande sul passato della donatrice. In caso contrario, per una serie di ragioni, la donatrice potrebbe anche decidere di non svelare tutte le procedure precedenti. Ancora, anche se la donatrice provvedesse a rivelare accuratamente tutti i trattamenti passati, le cliniche potrebbero non aver conteggiato regolarmente il numero di bambini nati e di conseguenza scegliere di non condividere maggiori dettagli.
“Non possiamo sapere se la donatrice sia andata anche da qualche altra parte”, ha affermato Christina, che lavora in una clinica rinomata nel paese, e che ha deciso di parlare a condizione che il suo nome reale non sia citato. “Il fatto che non tutto sia stato registrato può avvenire, ma non per forza per la volontà di nascondere qualcosa: ci può essere anche una mancanza di tempo, organizzazione, ecc. La verità - racconta - è che indagare nei registri delle altre cliniche può essere un grosso problema e creare conflitti con molte persone”.
Christina descrive un caso in cui una donna che aveva appena donato i suoi ovuli aveva già superato il numero permesso di nascite. I medici e i clienti erano furiosi perché questo materiale genetico andava distrutto per una questione etica. “Abbiamo buttato decine di ovuli”, ha affermato a BIRN. “È stato un disastro, non potete immaginare cosa è successo. Se lo aveste visto, avreste pianto.”
Lina non ha idea di quante cellule uovo possano essere state prese da lei nei cinque cicli di trattamento e nemmeno quante siano diventate effettivamente embrioni ed eventualmente bambini. La donna è stata rassicurata solamente sul fatto che le sue ovaie erano in grado di produrre ovuli. Gli esperti affermano che le ovaie possono produrre dalle 10 alle 40 cellule uovo per ciclo, il numero dipende da fattori quali il regime ormonale e le caratteristiche del donatore. Se possono essere fecondati in media 10 ovuli per ciclo, secondo una stima generosa, Lina potrebbe avere ben 50 figli biologici – una possibilità che non aveva considerato prima della sua conversazione con BIRN. “Davvero?” ha esclamato, sorridendo. “Bene, vuol dire che ho creato quattro squadre di calcio, più i sostituti”.
Un hub internazionale della fertilità
Circa 200mila bambini nascono ogni anno in Europa grazie a procedure come la fecondazione in vitro. Partendo dal declino demografico nelle aree più ricche del globo, con sempre più persone che scelgono di dare vita ad una famiglia sempre più tardi, la riproduzione assistita appare come una soluzione tecnologica di fronte a un enigma socio-economico. La tecnologia, però, è ancora lontana dall’essere qualcosa di perfetto e molte cause delle difficoltà riproduttive di uomini e donne rimangono un mistero. Nella creazione degli embrioni attraverso la fecondazione in vitro ci sono alte possibilità di fallimento, che costituiscono un peso finanziario ed emotivo in coloro che perseguono questa via.
Le alte possibilità di fallimento contribuiscono a una maggiore domanda di ovuli sani, che le cliniche greche cercano di soddisfare usando le stesse donatrici più spesso di quanto, in realtà, sia raccomandato. “Nonostante non lo possa giustificare”, ha sostenuto Christina, manager presso una clinica affermata di fecondazione assistita, “ la domanda è così alta che posso capire il perché così tante cliniche non rispettino le regole e continuino ad utilizzare le stesse donatrici.”
La Grecia è uno dei paesi con i tassi di declino demografico in più rapida ascesa nel mondo. Nel 2005, il governo ha emanato una serie di leggi che cercano di ampliare l’accesso alla riproduzione assistita. Altre leggi incoraggiano il turismo medico come forma di reddito legata al settore della fertilità. La Chiesa ortodossa si è dimostrata contraria a questi provvedimenti per le sue posizioni più conservatrici sulla materia, ma è apparsa influenzata positivamente dal fatto che la fecondazione in vitro permetterebbe ai greci di avere famiglie più numerose. Negli anni successivi al 2008 il paese è stato colpito dalla crisi economica e da ondate migratorie, che hanno allargato la platea di donne disponibili a donare il loro materiale genetico per ragioni economiche. Queste donatrici anonime e i clienti delle cliniche hanno ben poco in comune, ma finiscono per essere legati tra loro grazie agli strabilianti miglioramenti nelle tecniche legate alla medicina riproduttiva.
Nel settembre 2019 le forze dell’ordine greche - supportate dall’Europol - hanno smantellato un gruppo criminale che gestiva un traffico di esseri umani. La gang non solo gestiva un traffico di vite umane, ma è accusata anche di aver guadagnato almeno mezzo milione di euro in un periodo di tre anni attraverso una serie di attività che miravano a soddisfare la domanda di bambini in Grecia. Secondo la polizia, parte degli affari criminali comprendeva pagare donne incinte provenienti dalla Bulgaria per viaggiare e raggiungere cliniche private in Grecia, dove i bambini nati sarebbero poi stati dati in adozione. Questo gruppo criminale avrebbe anche convinto varie donne a diventare madri surrogate e avrebbe arruolato giovani donne bulgare, russe e georgiane per donare i loro ovuli in Grecia. Sono state denunciate circa 70 persone tra cui un avvocato, un’ostetrica-ginecologa e impiegati di cliniche private di Atene e Salonicco. Un verdetto sul caso deve essere ancora emesso.
Nonostante il caso sia per ora un’anomalia, di sicuro questo gruppo criminale non deve essere stato l’unico a intravedere un’opportunità nel settore in Grecia. La presenza del crimine organizzato nel campo della riproduzione assistita non sarà la norma, ma dimostra la logica di mercato che vi è dietro. Laddove la domanda di un prodotto supera di gran lunga l’offerta prevista legalmente, la presenza di un mercato scarsamente regolamentato fa sì che vi siano più opportunità di infrangere la legge. Nel caso in cui la domanda sia di bambini o di ovuli, i criminali coinvolti nel traffico di esseri umani e nello sfruttamento di donne possono trovare il giusto spazio per inserirsi.
In assenza di un effettivo sistema di garanzia e controllo è lasciato alle cliniche stesse il compito di garantire che le donatrici di ovuli non siano costrette a farlo, eppure molte donne donatrici risultano coinvolte anche in giri di prostituzione.
Christina ha intervistato centinaia di giovani donne per vagliare la loro idoneità al ruolo di donatrici di ovuli, dato che la maggior parte del suo lavoro consiste nell’abbinare le donatrici con i clienti della clinica. Si affida alla sua rete di contatti, nonché alle segnalazioni di medici noti alla clinica. Ha comunicato a BIRN che la sua clinica paga un premio per ovuli che vengono garantiti da medici affidabili che hanno lavorato con donne che non sembravano essere sfruttate.
“C’è un dottore che offre donatrici decenti, le tipiche ragazze della porta accanto. Pago questo dottore più degli altri... solo metà di questo lavoro corrisponde ad aspetti medici. L’altra metà è un lavoro di merda”, ha dichiarato riferendosi al complicato compito di trovare donatrici che non vengano, in realtà, sfruttate. Al contrario, un altro dottore “offre solo donatrici georgiane”, ha aggiunto. “Non le accetto non per una questione razziale, ma perché in molti casi sono coinvolte in giri di prostituzione”.
Ci sono pochi incentivi per le cliniche che cercano di essere il più possibile scrupolose riguardo alle fonti del loro materiale genetico. Da quando il settore in Grecia si è ampliato, le cliniche sono state portate ad allargare il numero di donatrici disponibili. La Grecia è diventata, così, un hub internazionale dove chi viene dai paesi più ricchi d’Europa può avere accesso ad ovuli di donne provenienti dalle zone più povere dell’est Europa.
Donne dalla Bulgaria e dalla Georgia, due paesi con un alto livello di povertà, figurano infatti tra le maggiori donatrici dei centri greci. Secondo Diane Tober, dell’Università della California di San Francisco, le donne con un salario basso spesso donano per motivi economici. Tober ha scoperto, mentre conduceva la sua indagine in Spagna, che dopo la crisi economica del 2008 ci sarebbe stato un aumento delle donazioni. “La stessa cosa sta avvenendo ora con il coronavirus”, ha dichiarato a BIRN.
Christina spiega che la maggior parte dei suoi clienti provenienti da altri paesi si aspetti di usare ovuli donati da donne straniere e come la domanda possa essere modellata sulle preferenze dei clienti relativamente a colore della pelle, etnia o in base alle percentuali di successo che si hanno associate a determinati ovuli. Per esempio, quelli polacchi sono definiti come “molto buoni dal punto di vista riproduttivo, così come quelli rumeni”, ha dichiarato Christina a BIRN.
Diversi cicli
Le condizioni del mercato degli ovuli non solo determinano quali siano le donne migliori per diventare donatrici, ma anche come i loro corpi debbano essere trattati durante la donazione. Il mercato è scarsamente regolato, guidato da un’enorme domanda internazionale e dominato da cliniche private che competono tra di loro per il profitto. Una parte dell’offerta di ovuli viene soddisfatta da donne che percepiscono salari bassi e a loro volta cercano un introito, nonostante questo sia molto più basso rispetto a ciò che guadagnano le cliniche. In questo modo, le donatrici e le cliniche riescono a convergere, incentivate dai ricavi economici.
Ci sono due modi attraverso cui, in Grecia, si tenterebbe di massimizzare la quantità di ovuli prodotti da ogni donatrice: utilizzando più ormoni per stimolare le ovaie e utilizzando per più volte il materiale genetico delle stesse donatrici.
Non ci sono limiti legali né riguardo a quanti ovuli possano essere ricavati o fecondati per ogni procedimento né riguardo al numero di volte in cui le donne potrebbero sottoporvisi, ma anche se fossero fissati dalla legge greca, l’assenza di un effettivo sistema di controllo o registrazione non ne garantirebbe il rispetto. Le cliniche - affamate di profitto - e i donatori - a corto di soldi - si ritroverebbero nella stessa posizione in cui si trovano ora, cioè a scegliere il modo migliore per bilanciare potenti incentivi finanziari con dubbie preoccupazioni etiche e incertezza sulle ripercussioni a lungo termine per trattamenti ripetuti e intensivi.
I limiti, dal punto di vista dei meccanismi di controllo, rendono più difficile per le cliniche poter seguire i loro standard etici, anche se desiderassero farlo. Christina afferma che una donatrice non dovrebbe sottoporsi a più di tre cicli di trattamenti di fertilità nella sua vita. Tuttavia, molte delle nuove donatrici nella sua clinica hanno apertamente dichiarato di aver donato “almeno otto volte”. Per esempio, negli Stati Uniti, invece, il numero di procedure accettate arriva fino a sei.
L’unico modo di scoprire quante volte una donna ha donato i suoi ovuli è chiederglielo personalmente. Non essendoci un registro a livello centrale, per Christina è difficile capire se la persona che ha davanti le sta dicendo la verità, quindi ogni volta deve semplicemente fidarsi o meno.
Non c’è nulla che possa fermare una donna dall’affrontare diverse donazioni in svariate cliniche più spesso di quello che sarebbe considerato salutare. Quello che succede è che mentre la donna riesce a massimizzare i suoi guadagni, ci possono essere dei risultati controproducenti per le cliniche. “Se una donatrice affronta stimolazioni cinque volte all’anno quando dovrebbe farlo al massimo due”, ha affermato Christina, “le cellule uovo prodotte non daranno la possibilità di creare buoni embrioni”. Questo significa che ci saranno meno possibilità di impiantarli con successo.
Christina ha dichiarato che, spesso, la tendenza a donare eccessivamente si coniuga con uno stile di vita poco salutare, che può danneggiare ancora di più la qualità degli ovuli. “In passato, le donatrici avevano tra i 20 e i 30 anni e, quindi, c’erano più possibilità di ottenere embrioni con buone prospettive di impianto”, ha spiegato. “Oggi non è più così, poiché nonostante le donatrici siano ancora giovani, gli ovuli possono risultare danneggiati dai tentativi ripetuti o perché provengono da persone che abusano di sostanze stupefacenti.”
Approssimativamente, ha affermato Christina, la sua clinica distribuisce gli stessi ovuli a non più di due clienti, ma nel settore vi sono incentivi finanziari a farlo con più clienti possibili. Per ogni procedura di donazione la clinica pagherà più o meno la stessa somma, che corrisponde al costo del lavoro dei medici, della medicazione e al compenso per la donatrice, ossia circa 1500 euro. Tuttavia, i guadagni della clinica possono variare molto in base a quanti clienti riesce a soddisfare per ogni donazione. Il numero di clienti dipende dal numero di ovuli e, per questa ragione, le cliniche sono incentivate a trattare le donne con ormoni per stimolare la produzione di ovuli. Secondo Tober, le cliniche cercano di avere più ovuli disponibili perché questo significa aumentare il profitto.
Attualmente, secondo i medici, il numero ottimale di ovuli necessari per raggiungere una gravidanza tramite fecondazione in vitro è tra i 6 e i 15. Tuttavia, anche in paesi dove queste pratiche sono molto regolamentate, come nel Regno Unito, molte cliniche compiono cure ormonali al fine di ottenerne un numero maggiore. I dati presentati durante una conferenza della Società europea di riproduzione ed embriologia, tenuta in giugno, hanno rivelato che, nel periodo tra il 2015 e il 2018, nel “16% dei trattamenti” nel paese sono stati prelevati tra i 16 e i 49 ovuli. Di quasi 60 donne si sarebbero, invece, conservati “più di 50 ovuli” per una singola procedura. I dati riguardavano donne che volevano concepire con le proprie cellule uovo. Gli ovuli in eccesso erano destinati ad essere congelati, piuttosto che donati. In ogni caso, la ricerca dimostrava che questi numeri erano “troppo alti” e che era necessario ripensare anche ai costi emotivi, finanziari e di salute per le donne coinvolte.
Le donatrici con ovaio policistico, una condizione molto comune e solitamente senza sintomi, che riguarda una donna ogni dieci, sono premiate dalla clinica perché producono naturalmente più ovuli che possono essere distribuiti tra più clienti. Se viene stabilito che gli ovuli sono di ottima qualità, queste donne saranno chiamate per donare nuovamente. “Le donatrici ci fanno felici, ma quelle con ovaio policistico sono le nostre star”, ha affermato Christina.
Ritorniamo all’appartamento ad Atene, dove l’intermediaria si era presentata come la custode degli interessi delle donatrici – una sorta di bastione a difesa di queste giovani donne contro cliniche senza scrupolo. “Una ragazza è venuta da me e mi ha chiesto, ‘posso donare ogni mese?’ Se glielo permetti i dottori te lo faranno fare 15 volte, ma per il tuo bene, ti dico 5 al massimo.”
La donna, inoltre, descrive la donazione di ovuli come una pratica altruista. “Hai 500 ovuli per tutta la durata della vita”, ha affermato. “Dimmi quanti bambini potresti avere fino ai 38 anni. Ti dico al massimo 9 – perderesti così il resto degli ovuli, che potresti donare per fare felice qualcuno.”
Ufficialmente "single"
La salute delle donatrici, così come quello dei bambini che non sarebbero in grado di tracciare i loro genitori biologici, in queste condizioni è a rischio.
L’anonimato è sempre stata l’opzione preferita da coloro che donano e dai genitori che crescono i bambini, eppure questa pratica sta cambiando e sempre maggiori questioni emergono riguardo ai diritti di questi bambini. Molti esperti affermano che ciascuno ha il diritto di conoscere le sue caratteristiche genetiche, in particolar modo se ci possono essere problemi di salute ereditari. Come risultato, in alcuni paesi è stato parzialmente o completamente ridotto l’anonimato nel caso in cui ci sia mutuo consenso e specifiche ragioni, cosa che appare difficile se non, in alcuni casi, impossibile in Grecia.
Eleni Rethimiotaki, professoressa di diritto presso l’università di Atene ed ex presidente del comitato greco di bioetica, ha affermato a BIRN che nel caso di cliniche chiuse da anni “questi dati sono andati completamente perduti. I file sono stati distrutti ed è impossibile capire da dove vengano questi bambini.”
Maria si considera una beneficiaria del settore in Grecia e non si sente particolarmente in pericolo per la mancanza di trasparenza sull’identità dei donatori. L’ex artista ha dato alla luce tre figli e li ha cresciuti da sola nel suo appartamento in un’area centrale di Atene. Il suo nome reale non è stato rivelato per proteggere i suoi figli e la loro identità. All’ora di andare a dormire, Maria racconta ai suoi bambini una favola dal futuro: il racconto di come siano cresciuti nel grembo della loro madre dopo essere stati concepiti in laboratorio con ovuli e sperma da parte di alcuni donatori.
“I miei figli sono bellissimi e non lo sto dicendo perché sono la madre – dopo tutto non hanno preso da me”, ha affermato. “Forse non tutto è stato trasparente al massimo? Non mi importa, perché ho la cosa più bella che si possa avere sul pianeta.”
Ciò nonostante Maria è curiosa di sapere a chi appartiene il materiale genetico attraverso cui ha potuto avere i suoi figli. “Il mio pensiero era quello di incontrare i donatori per capire chi possa fare figli così belli”, ha dichiarato. Nel giorno della festa della mamma e del papà ora pensa ai donatori piuttosto che ai suoi stessi genitori.
A parte queste misure molto liberali nel campo della riproduzione assistita, lo stato greco non è ancora sceso a patti con l’idea di famiglie formate da coppie dello stesso sesso. Queste coppie non possono adottare o crearsi una famiglia, anche a causa dell’influenza della Chiesa ortodossa nella società. In Grecia, eppure, la riproduzione assistita offre questa possibilità a sempre più coppie omosessuali. Le donne lesbiche sono infatti libere di usufruire della procreazione assistita dichiarandosi “single”.
Lina è ancora in guai finanziari. Anni fa le è stato proposto di diventare un’intermediaria, ma non le è piaciuta l’idea, in quanto crede che il settore abbia una sorta di interesse per donne come lei, ossia giovani donne che vivono di giorno in giorno, soprattutto se per il loro orientamento sessuale non hanno ancora considerato di crearsi una famiglia.
Se Lina mai considerasse l'idea di crearsi una famiglia, questo potrebbe avvenire solo attraverso la fecondazione assistita, ma con il suo stipendio non saprebbe come raccogliere 5000 euro per la procedura, per poi crescere da sola un figlio. Inoltre, non essendoci un riconoscimento legale per le famiglie con coppie dello stesso sesso non ci sarebbe modo di obbligare il partner a ottemperare ai suoi obblighi genitoriali se la relazione finisse. “Una donna eterosessuale sa che ci sarà sempre il padre a supportare suo figlio se non staranno più insieme. Nel nostro caso, chi ci aiuterebbe?”
Anche la prospettiva di diventare madre resta una fantasia lontana. “Ho 30 anni, quindi mi restano al massimo altri 10 anni”, ha affermato. “Quella di diventare madre è una buona idea, ma ho veramente una base solida per costruire una famiglia? Non posso pensare al futuro se non ho risolto i miei problemi nemmeno nel presente… ho molto amore da dare, ma l’amore non dà cibo e vestiti.”
Il settore della fertilità in Grecia continua ad adattarsi ai bisogni della sua clientela internazionale: attualmente, ci sarebbe un’alta domanda di ovuli donati da donne nere. Il problema sorge in quanto la popolazione nera nel paese è molto bassa. Le cliniche hanno così addirittura cominciato a chiedere contatti presso le ambasciate africane quando hanno perso la speranza di ottenere materiale genetico nel circolo delle loro donatrici.
Lo scorso anno, la clinica in cui Lina ha donato i suoi ovuli è stata fortunata. Uno specialista lì impiegato, parlando sotto anonimato, ha spiegato a BIRN di aver preso 60 ovuli da una donatrice di discendenza africana di 19 anni. Questo fatto era sulla bocca di tutti all’interno della clinica in quanto sembra che la ragazza non avesse mai avuto rapporti sessuali.
In laboratorio, i suoi ovuli più sani sono stati selezionati per un miracolo moderno: il figlio nato dalla madonna vergine nera di Atene è infatti un miracolo della medicina riproduttiva. E il fatto che ci sia un vuoto legislativo nel paese, farà restare il numero di figli che nasceranno dal suo patrimonio genetico un altro mistero.