Il governo Tsipras ha deciso di indire un referendum sulle proposte di austerità. Una decisione che appassiona e divide un paese stremato dalla crisi. Un approfondimento
Un rischio per l’intera eurozona. No, questa è la vera espressione democratica. Si infiamma il dibattito sulla decisione del premier greco Alexis Tsipras di indire un referendum sulle proposte europee di austerità, che sta sconquassando le borse di tutto il mondo. Nel paese banche chiuse e lunghe file dinanzi ai bancomat, ai distributori di carburante e nei supermarket. Al dato sociale relativo alla scelta di “piazza” fatta dal primo premier di sinistra della storia contemporanea ellenica, si affianca quello politico, con il rischio di elezioni anticipate in caso di vittoria del sì. Ma quale la percezione, all’intero e all’esterno della Grecia, sul voto di domenica?
Pareri contro
Il referendum “non si sarebbe mai dovuto celebrare”, ammette Spyros Vlakopoulos, sindaco dell’isola di Paxi, incantevole atollo nello Ionio: “Ovviamente non mi piace questo memorandum ma l’alternativa qual è? La domanda è stata posta male nel quesito, il governo avrebbe fatto meglio a chiedere ai cittadini di esprimersi sulla permanenza nell’euro o sul ritorno alla dracma”. E per il futuro dice: “Vogliamo restare nell’euro e nell’Unione Europea e salderemo i nostri debiti. Non voglio che in futuro la mia terra diventi un far-west terra di nessuno”.
Per il “no” all’austerità si schiera l’economista Antonio Maria Rinaldi, Professore Straordinario di Economia Politica presso la Link Campus University di Roma e docente di Finanza Aziendale presso l’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara. “Le mie valutazioni sono di due aspetti, uno economico e l’altro di opportunità democratica”, dice Rinaldi ad Osservatorio Balcani Caucaso. “Il memorandum propone soluzioni che non faranno altro se non affossare ancora la Grecia. Non vedo possibile e proficuo per Atene adottare le posizioni della troika, se lo facesse otterrebbe un ulteriore peggioramento”.
In secondo luogo, l’autore di "Il Fallimento dell'Euro?" (2011) e di “Europa Kaputt,(s)venduti all’euro” (2013) precisa: “Giusto che un popolo determini con il suffragio il proprio destino. Non è possibile che le istituzioni europee con dei vincoli impongano delle volontà sulla scorta dei trattati. Con il referendum si ribadisce un principio che ben farebbero gli altri popoli europei ad imitare. In Grecia fino ad ora la democrazia non è stata esercitata”.
Questione di costituzionalità
Non ha ancora deciso cosa votare Christos Alexandrìs, vice direttore del quotidiano Lamiakos Typos perché nelle ultime ore è stato sollevato un profilo di incostituzionalità da parte delle opposizioni di Nea Dimokratia e dell’ex ministro degli esteri Evangelos Venizelos. Tre i temi: l'art. 44 della Costituzione vieta al popolo di esprimersi su questioni di politica economica; il numero dei deputati che lo ha votato è stato di 178 mentre serviva un terzo del parlamento, quindi 180 deputati; infine la forma della scheda, dove non sarebbero sufficientemente chiari i quesiti.
Però secondo alcuni colleghi greci sarebbe troppo tardi ormai per ritirarlo, anche per timore di conseguenze di natura sociale, anche se resta in campo il rischio che domenica prossima il referendum non si celebri affatto: “Il quesito referendario sulle misure di austerità dall’opinione pubblica è percepito come un sì o un no all’euro e all’Europa. Questo è un elemento di confusione, tutti sono concentrati sulle banche chiuse e sui rischi di restare senza contanti”, è l'opinione di Alexandrìs.
Secondo Charalambos Anthopoulos, professore di diritto costituzionale e amministrativo all'Università Ellenica di Patrasso, il referendum è incostituzionale anche perché è stato annunciato senza il preavviso minimo, ma solo sette giorni prima della sua celebrazione: “E’ palesemente incostituzionale, aggiungo che il quesito è fuorviante perché non è chiaro se verte sulle misure o sulla permanenza nell’euro. Ci sono molti profili per cui non sarebbe da celebrare”. Il costituzionalista aggiunge che il governo in questi quattro mesi non ha fatto altro “se non distruggere definitivamente l’economia ellenica: questa è la vera tragedia greca”.
I giovani per il "no"
Un deciso “no” invece arriva dai più giovani. Francesca Christopoulos e Grigoris Giammoutzis sono neo sposi. La prima, insegnante di lingue 32enne lamenta la scarna informazione da parte dei media. “Nessuno ci ha spiegato per bene quali sono le misure proposte dalla troika e quali quelle del governo, siamo costretti a leggere i siti stranieri per capirne qualcosa di più. Per questo, in base all’idea che mi sono fatta, voterò no”. Il motivo? Troppi sacrifici fino ad oggi non hanno “portato né soluzione dei problemi né speranza per il futuro”.
Le banche chiuse “non mi fanno paura, temo di più che non ci sia una strategia a lungo termine”. E ancora, la moneta unica non ha portato benessere, perché “i prezzi di tutti i beni sono raddoppiati mentre gli stipendi no, la vita qui è cara, ma di contro il ritorno alla dracma sarebbe un salto nel buio, nessuno sa cosa accadrebbe perché qui non abbiamo industrie”.
Dello steso avviso Grigoris, commerciante 38enne spaventato dalla disoccupazione schizzata al 30% anche per “politici imbroglioni e traditori: mi dovrei fidare ancora di chi ci ha condotto sin qui?”. All’orizzonte si prospetta, in caso di accettazione di nuove misure, anche una originale e controversa tassa per i commercianti che in un’unica soluzione si troverebbero costretti a versare il gettito per l’anno in corso e anche quello per l’anno successivo. “Una cosa assurda la tassa futura, che si somma a cinque anni di tagli e rinunce che non hanno portato nessun risultato, se non peggiorare le cose”.
Contrario al memorandum, quindi per un deciso “oxi” il pittore Thodoros Kirkos, protagonista recentemente di una mostra nel centro di Roma, che chiede un netto cambiamento: “Voto no perché non voglio delegare all’Europa la politica del mio Paese e non voglio che il mio voto vada a chi ha prodotto questo risultato. Non bisogna dimenticare – aggiunge l’artista che da trent’anni vive tra la Grecia e la Puglia – che il memorandum dal 2012 ad oggi non ha prodotto buoni risultati per noi, lo dicono tutti gli indici economici. Perché dunque non cambiare?”.