Continuiamo nel nostro reportage "Lettere da Creta". L'arrivo a Iráklio, capoluogo dell'isola, e le prime passeggiate tra profumo di tigli fioriti e zagare
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Arrivo a Creta in aereo. Come quasi tutti oggi, ma come pochi prima della Seconda guerra mondiale, tra cui lo scrittore americano Henry Miller. Lui per vent'anni aveva sognato di visitare Cnosso. Io da trenta sogno di entrare a vela nel porto di Candia. “In Grecia, basta che annunci a qualcuno che intendi visitare un certo luogo, ed ecco, di lì a poco c'è una vettura che ti aspetta alla porta. Stavolta la vettura fu un aeroplano … Non ero mai salito su un aeroplano e probabilmente non ci salirò mai più”, ho letto qualche mese fa ne Il colosso di Marussi, reportage di viaggi e residenze greche dell'autore americano, pubblicato nel 1941. Miller come me credeva che l'uomo è fatto per camminare sulla terra e navigare sui mari e che “I congegni meccanici non hanno niente a che fare con la vera natura dell'uomo; sono solo delle trappole che la Morte ha innescato per lui”. Non scrive niente però sulla relazione dell'uomo con il Tempo, cioè sul nostro demone più implacabile. Anche in relazione al quotidiano corpo a corpo con lo spazio. Tempo e Spazio, gli dei del viaggio. Tempo e Spazio, che il volo aereo ci illude di piegare a piacimento, ma che come in una favola di Esopo confliggono tra loro, spesso a nostro discapito.
Sono partito da solo, ma questa volta involontariamente, perché questo viaggio nell'isola del mito, archetipica della grecità delle origini, lo avevamo pensato e studiato in due, insieme a Pino, ingegnere contemplativo e gran appassionato di musicalità mediterranee. Ma “La vita è impermanenza”, mi ha scritto qualche giorno fa su WhatsApp, per annunciarmi che era risultato positivo al Coronavirus. Così mi sono dovuto riorganizzare e quello che sarebbe dovuto essere un viaggio a due in auto è diventato un solitario in bus, quello che sarebbe dovuto essere un percorso guidato da un Virgilio musicale è diventato un dialogo a distanza sulle sonorità cretesi, di oggi e di ieri.
Decollo da Malpensa, in un opaco giorno d'aprile. Grigio il cielo, nerissime le cronache di una guerra nel cuore dell'Europa. “La guerra! L'avevo completamente dimenticata. La radio ce ne rinfresca la memoria ai pasti”, scriveva Miller nel 1939, sulla nave che da Creta lo riporta al Pireo. La guerra! non possiamo dimenticarla oggi che ci muoviamo tutti con uno smartphone in tasca, con le notizie che cinicamente fanno capolino tra un messaggio, una e-mail e una informazione cercata compulsivamente in rete. Quante terribili analogie tra ciò che sta accadendo oggi in Ucraina e ciò che stava succedendo in Polonia, nelle stesse settimane del 1939 quando Miller viaggiava a Creta. Quanto risuonano tragicamente attuali le sue considerazioni sulla follia armata umana.
Leggo questa pagine in volo, guardando ogni tanto distrattamente dal finestrino perché la notte mi impedisce anche un avvicinamento visuale all'isola, se non per luci sparse identiche a ogni altro angolo più o meno remoto del mondo. All'arrivo nessun controllo, né burocratico né sanitario, perciò con passo spedito e zainetto in spalla esco dall'aeroporto Nikos Kazantzakis di Heraklion per prendere il primo bus diretto al centro della capitale. C'è poco traffico sulle strade e poca gente nella piazza Eleftherias dove scendo. Eleftherias, libertà, una parola che ha caratterizzato secoli di storia cretese, di lotte di liberazione dal dominio turco. Qui ci sono due statue importanti; al Milite Ignoto e a Eleutherios Venizelos, politico greco nato in un villaggio poco lontano da Iráklio nel 1864 e che è stato al centro di decenni turbolenti, nelle vicende della nazione greca moderna. Ma non sono i monumenti, l’architettura o la modesta vita notturna a colpirmi. La prima relazione con Candia è per me olfattiva: profumo di tigli fioriti che mi accompagnano fino all'hotel e poi quello delle zagare, in una successiva solitaria passeggiata per i vicoli attorno alla centralissima Chiesa di San Tito.
Sveglia prima dell'alba per andare a riempirmi gli occhi delle luce aurorale cretese sulla tomba di Nikos Kazantzakis, ideale punto di partenza del mio viaggio alla scoperta dell'isola del Minotauro. Pochissima gente in giro, aria fresca. Giusto il tempo di un caffè, un espresso servito alla barbara maniera greca odierna, cioè in bicchiere di carta, per arrivare in pochi minuti alla scala d’accesso al Bastione Martinengo, dal soprannome del militare e ingegnere veneziano che lo progettò, Gabriele Tadino nato a Martinengo nella seconda metà del Quattrocento. In questi giorni d'aprile le mura sono prese d'assalto da indomiti fiori selvatici. Gialli e velenosi quelli di giusquiamo nero che circondano la base delle mura del bastione; gialli e officinali quelli di acetosella che tappezzano la piazzaforte alta del bastione. Da lì lo sguardo si apre sulla città che, malgrado tutto appare ancora come la videro e chiamarono i veneziani: Candia, cioè bianca, e sul suo golfo, con al centro l'isola Dia, in direzione nordest. A sudovest invece troneggia la vetta innevata del Monte Ida o Psiloritis, letteralmente “il più alto” con i suoi 2.456 m. Una geografia potentissima, quella di un’isola alpina e mediterranea, ruvida e seducente come la montagna e il mare, che qui si abbracciano in un unico giro d'orizzonte. E qui si è voluto far seppellire Nikos Kazantzakis, insieme figlio e padre di Creta. Un tholos che è un tempio laico, un tappeto rettangolare di pietra grigia su cui stanno cinque grossi massi squadrati più scuri, su cui è posta una epigrafe marmorea con scritta in corsivo nero: Δεν ελπιζω … “Non spero niente. Non temo niente. Sono libero”.
ps
Il colosso di Marussi di Henry Miller, pubblicato nel 1941 e tradotto nel 2000 in italiano per i tipi di Adelphi è diventato un classico della letteratura di viaggio. Un libro anomalo per lo scrittore americano, noto al grande pubblico per Tropico del Cancro, Tropico del Capricorno e altri libri censurati che anticipano la nascita della beat generation, dieci anni dopo. Ma Henry Miller fu anche amico e compagno di viaggio dell’insulomane e scrittore inglese Lawrence Durrell, del poeta premio Nobel Giorgos Seferis, dello scrittore Ghiorghios Katsìmbalis, il “colosso di Marussi”. Con loro esplorerà e si innamorerà della Grecia e dei greci, di Creta “un posto meraviglioso … Mai visto una terra così bella. Vorrei poter vivere qui tutta la vita”.