Manifestazione di solidarietà con i migranti in sciopero della fame, Atene, Grecia

Manifestazione di solidarietà con i migranti in sciopero della fame, Atene - yatrom/flickr

Da più di 40 giorni, 300 migranti in Grecia sono in sciopero della fame per chiedere regolarizzazione e accesso a diritti fondamentali. Il governo di Atene, però, agita lo spettro dell'arrivo in massa dalle coste nord-africane. Uno stallo che si fa ogni giorno più gravido di rischi

08/03/2011 -  Gilda Lyghounis

“Considerate la prospettiva di barconi dal nord Africa diretti nei porti cretesi con migliaia di rifugiati. Anche questi potrebbero cominciare uno sciopero della fame per ottenere un permesso di soggiorno a pieno titolo”. Yannis Ragousis, ministro dell’Interno greco, è alle prese in queste settimane con un braccio di ferro che scuote la società e il dibattito politico ateniese: il rifiuto di cibarsi, e ora anche di bere, da parte di 300 immigrati barricati in una palazzina nel centro di Atene, di fronte al Museo archeologico nazionale.

Ragousis agita lo spettro del possibile arrivo in massa in Grecia di profughi dalle tormentate coste nord-africane alle coste meridionali dell'isola Creta. E le richieste di regolarizzazione dei 300 immigrati in sciopero vengono presentate dal governo di Atene come un “ricatto” e un precedente pericoloso per la capacità del Paese di gestire la questione dell'immigrazione.

La loro vita è ormai appesa a un filo perché la protesta dura da più di 40 giorni: circa 80 di loro sono già stati portati negli ospedali della capitale per disidratazione, insufficienza renale e aritmia cardiaca. “Perché concedere piena legalizzazione della permanenza in Grecia a questi 300….e non ad altri 300, o 400 persone che sono o saranno nella stesse condizioni? E’ impossibile per il nostro Paese procedere a legalizzazioni di massa”, ha ripetuto Ragousis al quotidiano ateniese Ta Nea.

La Grecia è diventata da due anni la prima porta d’ingresso degli immigrati asiatici e africani nell’Unione europea attraverso il confine di terra con la Turchia, segnato in parte dal fiume Evros. Solo nel periodo gennaio-settembre 2010 sono passati dal confine ellenico con la Turchia, complici gli scafisti turchi che chiedono 2000 euro a testa per una traversata che dura 4 minuti attraverso il fiume, il numero record di 31mila persone, che se una volta vedevano in cima gli arrivi dall’Afghanistan, dall’inizio del 2011 iniziano a contare anche disperati dall’Algeria, dal Marocco, dalla Tunisia e appunto dalla Libia.

Senza diritti

Anche fra i 300 disperati della palazzina Ypatia (a cui bisogna aggiungere altri 50 che si privano di cibo e acqua a Salonicco), quella dove portano avanti lo sciopero della fame, ci sono soprattutto marocchini e tunisini. La maggior parte non sono neoarrivati in Grecia, ma vivono e lavorano qui da anni, quasi sempre in “nero”. “Privati di diritti umani elementari quali la libertà di circolazione e l’accesso alla sanità pubblica per loro e per i familiari, ora hanno deciso di lottare con l‘unica cosa che è a loro disposizione: il proprio corpo”, ha dichiarato l’associazione dei medici ospedalieri greci.

“E’ comprensibile che rispetto a una vita di stenti come la loro, scelgano una morte dignitosa”, ha aggiunto lo scrittore Vassilis Alexakis, che insieme ad altri intellettuali, politici della sinistra riformista e sindacalisti ha protestato davanti al Parlamento di Atene lunedì 28 febbraio. “Spero che il premier socialista Papandreu ci ascolterà e farà finalmente qualcosa. I migranti hanno bisogno di noi, ma anche noi di loro. I campi greci, la raccolta di olive, i cantieri edilizi non andrebbero avanti senza il loro lavoro. Abbiamo bisogno degli immigrati per lo sviluppo del nostro Paese, per essere in grado di pagare in futuro anche le nostre pensioni!”

Anche i sindacati li appoggiano. “Crediamo nella necessità di legalizzare gli immigrati, e che una soluzione possa essere trovata anche a questo punto”, dichiarano esponenti dell’Adedy, il maggiore sindacato del settore pubblico, che pure è alle prese con i drastici tagli a stipendi e pensioni dei propri iscritti ellenici, in seguito al pacchetto anticrisi sottoscritto dal governo socialista con l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale in cambio del mega prestito di 110 miliardi di euro in quattro anni per ridurre l’enorme deficit statale. “Queste persone stanno rischiando la loro vita, e il governo si limita ad accusarli di cercare condizioni di favore”.

Stallo nelle trattative

Per ora le trattative fra disperati della palazzina Ypatia e il governo sono in una fase di stallo. Sabato 5 marzo c’è stato un incontro fra una loro rappresentanza e i ministri dell’Interno, Yannis Ragoussis, e della Sanità Loverdos. Rashid, Hassan, Mustafà, tre degli immigrati che protestano nel solo modo in cui possono attirare l’attenzione, appunto lo sciopero della fame e della sete, sono stati portati a braccia al tavolo delle trattative perché barcollanti a causa della loro debolezza fisica. La proposta del governo è stata quella di 6 mesi di rinnovo del permesso di soggiorno prorogabile per altri 6 mesi: nel frattempo nessuno degli immigrati dell’Ypatia sarà espulso dal Paese. La risposta degli immigrati è stata negativa: o piena legalizzazione o morte.

"E presto ci saranno davvero dei morti - ha scritto in un editoriale sul quotidiano To Vima il sociologo Nikos Mouzelis della London School of Economics - oltre a questa tragedia umana, ci saranno ripercussioni catastrofiche per il governo ellenico. Il conflitto deve essere risolto con l’aiuto di un mediatore accettato da entrambe le parti e che possa stabilire un dialogo concreto fra migranti e governo. Questo mediatore potrebbe avere uno status riconosciuto dalla Costituzione, come quello di Presidente della commissione nazionale per i diritti umani. Ma la cosa più importante è che sia una personalità imparziale. Non abbiamo tempo da perdere”.