Una riflessione sulla situazione dei migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Grecia, che spinge per un profondo ripensamento delle politiche migratorie. La firmano due volontari dell'associazione "One Bridge to Idomeni", attiva lungo la rotta balcanica fin dallo scoppio della crisi nel 2015
Ai tempi di un’epidemia che sta mettendo in crisi parte del mondo e per questo sta ottenendo molte attenzioni mediatiche e personali, è importante rimanere nella complessità e non lasciare che altre persone, in luoghi vicini alle nostre case, siano dimenticate nella disperazione. Vogliamo scrivere della situazione di decine di migliaia di migranti e profughi che si trovano in Grecia e di una serie di fenomeni legati alla loro permanenza nel paese.
Il 18 marzo 2016, per affrontare i flussi di persone che dal Medio Oriente e dall’Asia Meridionale giungevano nel vecchio continente – si stima che nel 2015 attraverso la Turchia siano giunte in Grecia, secondo l’agenzia Frontex, più di 800 mila persone - l’Unione Europea stringe un accordo con il governo turco, articolato in cinque punti: i primi due riguardano il respingimento delle persone non aventi i requisiti di asilo dalla Grecia in Turchia e l’apertura di canali umanitari; gli altri tre dettano aiuti in termini di denaro ad Ankara (sei miliardi di euro, tre già versati), di liberalizzazione dei visti di viaggio turchi e di ripresa in considerazione del percorso della Turchia verso l’Unione . Un accordo informale – in quanto non votato dal Parlamento europeo né dai parlamenti delle singole nazioni – che l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI) reputava in violazione di almeno dodici punti delle Direttive delle procedure e dell’accoglienza europee e delle carte universali dei diritti.
Quattro anni dopo, l’UE può ritenersi soddisfatta: la sua politica di esternalizzazione delle frontiere – e cioè di delegare a paesi terzi l’accoglienza delle persone migranti in cambio di aiuti economici o altro, senza curarsi molto di chi sia il delegato (1) –, ha dato i suoi frutti registrando per il 2019 una diminuizione degli arrivi sui confini greci di dieci volte . Una soddisfazione, in fin dei conti, macabra: costruita sui respingimenti, le morti in mare e la custodia di milioni di persone – da Siria, Afghanistan, Iraq, Pakistan e da alcuni paesi africani per cui l’ottenimento del visto per la Turchia è facilitato – in viaggio o in fuga ad un paese non sicuro. Per quanto riguarda i migranti siriani, la beffa è ancor più oltraggiosa: la Turchia è un’attrice protagonista nella guerra civile del paese ed è legata alle forze terroristiche che hanno incendiato la Siria a partire dal 2014 .
Ma il conto non finisce qui, le conseguenze disastrose sono ancora numerose. Le isole greche di Lesbo, Chios, Samo, Kos e Leros, a ridosso delle coste turche, vivono una crisi umanitaria: ad oggi, più di 40 mila persone sono ospitate nei centri di accoglienza straordinaria, a fronte di 5400 posti . Questa condizione al limite della sopravvivenza, prolungata deliberatamente da anni (2), è violenta in differenti modalità: costringe persone in viaggio ad essere rinchiuse su di un’isola in condizioni di sovraffollamento; costringe ad un’impasse (le risposte circa la permanenza nell’UE sono date in un periodo che varia dai sei mesi a due anni); non prende in considerazione le persone più vulnerabili che avrebbero il diritto di un dislocamento diretto sulla terra ferma; e, infine, porta a migliaia di persone sofferenze fisiche e mentali . È sfortunatamente facile ora pensare a cosa succederebbe se l’epidemia di Covid-19 si propagasse all’interno di questi campi (3).
L’instabilità del confine greco-turco è per un momento salita alla ribalta mediatica nel momento in cui, ad inizio marzo, il presidente turco Recep Erdoğan ha deciso di aprire i propri confini spingendo migliaia di persone verso le violenze della polizia greca e mettendo in crisi l’accordo del 2016. A spiegare la decisione, il mancato aiuto dell’UE alla Turchia nel conflitto siriano, dove il 27 febbraio, nella provincia di Idlib contesa tra l’esercito turco e l’esercito siriano di Assad, sono morti 36 soldati turchi . È necessario addentrarci meglio in queste considerazioni e nelle parole del presidente turco. Il mancato aiuto nella guerra siriana porta immediatamente ad una minaccia - lasciar passare i milioni di profughi in Europa – che può essere modulata secondo necessità. Insomma: utilizzo delle persone in viaggio o in fuga come merce di scambio; possibilità di ricatto alla prima occasione sfavorevole, oltretutto in un contesto di guerra; indifferenza verso un massacro che continua da nove anni, la guerra siriana. Ecco dove ha condotto la politica europea di respingimento, esternalizzazione delle frontiere e di difesa dell’identità del continente.
La visione politica di alcuni dei residenti greci sulle isole - e del governo greco in generale - è emblematica dell’andamento appena descritto che unisce la volontà di un’immediata e cieca risoluzione delle problematiche con la presunta difesa dei confini europei. L’odio contro le persone migranti e le ONG che forniscono loro i diritti di base come l’istruzione per i minori e l’assistenza sanitaria è sempre più alimentato: il 9 marzo, la scuola dell’associazione svizzera One Happy Family è andata distrutta in un incendio a Lesbo e le notizie di aggressioni e risse da parte di militanti di estrema destra giungono quotidianamente dall’isola. Dai confini turco-greci, inoltre, le notizie sono ancor più terribili: ad aggiungersi alle violenze in mare, visivamente testimoniate , vi è uno tsunami nazionalista di estremisti locali e non che imperversa vicino al confine terrestre, nella provincia di Evros, dove sono già due le persone uccise dalla polizia greca (4). Non dobbiamo stupirci se la nazione greca, seguendo alla lettera le pesanti parole di incoraggiamento proferite dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – mantenimento dell’ordine, Grecia scudo d’Europa (5) -, abbia rafforzato i contingenti militari sui confini con la Turchia. E non dobbiamo neanche permetterci di meravigliarci se la domanda di protezione/asilo, per un mese, sarà sospesa sul territorio greco e altre disposizioni militari sono state prese per contenere l’”invasione” di cittadini provenienti da paesi terzi irregolarmente .
Il contesto ci chiede, ora, di restare ancora un po’ nella complessità e di evitare di imputare alla cattiva coscienza della repubblica ellenica tutti questi delitti. Sarebbe troppo facile. Che dire, infatti, delle violenze sui residenti delle isole? Non è forse violento lo stato di polizia permanente, il sovraffollamento nei campi e la continua stimolazione di un conflitto sociale che contrappone residenti a migranti, aventi diritto e clandestini?
È necessario, allora, cercare di collegare, con l’aiuto delle fonti, la politica europea di esternalizzazione delle frontiere, l’accordo con la Turchia e i ricatti a cui così possiamo essere soggetti (6); guardare a come l’Unione Europea si lasci fascinare da una retorica militaresca, dalle parole “ordine” e “sicurezza”, dalla federazione intesa come casa nazionale - concezione proprietaria dell’organizzazione sociale - che «accoglie chi vuole, aprirà la sua porta o costruirà dei muri secondo la sua sola decisione autonoma, il suo buon senso» (7); ascoltare le persone in viaggio - i più indifesi considerati come invasori – che sulla soglia delle nostre nazioni mettono in mostra la nostra contraddizione: repubbliche fondate sui diritti universali dell’uomo, ma recintate da filo spinato.
* Volontari di "One Bridge to Idomeni"
(1) Si tratta evidentemente di eufemismo: l’UE conosce i terribili contesti in cui lascia i migranti, contraddicendo sfacciatamente il ruolo di paladina dei diritti umani che si è ricucita addosso negli anni. Tralasciando l’orrore libico, per la Turchia possiamo elencare: difficoltà o impossibilità di controllo dell’accoglienza da parte di giornalisti e anche degli stessi funzionari della agenzia ONU per i rifugiati; carenza di abitazioni per i migranti; sfruttamento lavorativo, anche dei minori: https://www.meltingpot.org/Io-non-ho-sogni-L-accoglienza-dei-rifugiati-in-Turchia-un.html ; http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Erdogan-ordina-di-fermare-i-migranti-in-Egeo-Luned-sara-a-Bruxelles-cc67f0be-a0b8-47f9-af54-68865f07a9bb.html?refresh_ce
(2) Lo stato greco, in seguito all’accordo sopra menzionato UE-Turchia, attraverso la lentezza della procedura per il riconoscimento della protezione/asilo e la permanenza forzata delle persone sulle isole, sta mettendo in atto, secondo un responsabile di Medici senza frontiere a Lesbo, un meccanismo di deterrence, di dissuasione a partire: https://altreconomia.it/migranti-grecia-turchia-crisi-umanitaria-annunciata/
(3) Si è registrata la prima persona infetta da Corona virus sull’isola di Lesbo il 9 marzo 2020 ma, visti l’assistenza sanitaria precaria all’interno dei campi di accoglienza, non si sa ancora se il virus si sia già diffuso: https://ilmanifesto.it/a-lesbo-arriva-il-virus-paura-per-i-migranti-nel-campo/
(4) Se non si conosce ancora il nome della prima persona, la seconda si chiamava Muhamad Gulzar: https://medium.com/are-you-syrious/ays-weekend-digest-7-8-3-2020-greece-rhetorics-of-invasion-cause-more-damage-daily-9d1d9209bcfe
(5) «La nostra priorità è assicurare il mantenimento dell’ordine nei pressi dei confini greci»: https://www.ilsole24ore.com/art/la-ue-va-aiuto-grecia-700-milioni-la-crisi-migranti-ADRlns
(6) Ricordiamo che prima del ricatto del marzo 2020, il presidente turco aveva minacciato l’UE anche in ottobre, per non essere ostacolato nella sua campagna militare contro il “terrorismo” in Siria: https://www.adnkronos.com/aki-it/sicurezza/2019/10/09/operazione-fonte-pace-terza-offensiva-turca-dal_N69iG6Rw2YEUZBujcaoBLO.html, ma soprattutto: https://jacobinitalia.it/difendere-la-rivoluzione/
(7) Michel Agier, “L’étranger qui vient. Répenser l’hospitalité”, Éditions du Seuil, Parigi, 2018, pp. 50-51.
L'associazione
"One Bridge to Idomeni" è un’associazione che lega a doppio filo Verona e i Balcani dove, dal 21 marzo 2016, si affaccia per portare sostegno alle persone migranti in viaggio principalmente dal Medio Oriente e dall’Asia meridionale. La onlus è realmente quel nome che porta con sé: un ponte con due direttrici di lavoro che da una parte porta aiuti e s’impegna nel costruire, sui confini europei, una comunità ed uno stato di diritto valido anche per le persone migranti che ne sono escluse, in quanto elementi esterni alle nazioni e alla cittadinanza; dall’altro, riporta in città una testimonianza: chi torna mostra i volti, la voce, le sofferenze e i desideri di chi è costretto a vivere nei campi per rifugiati.
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