Riconoscimento in ordine sparso. L'unanimità in seno Ue raggiunta solo sul fatto che il Kosovo rappresenta un caso ''suis generis'' e a sovranità limitata. Un'Europa divisa si prepara a sostituire la presenza Onu in Kosovo con la missione EULEX (vedi scheda interna). Un commento da Bruxelles

19/02/2008 -  Tomas Miglierina Bruxelles

I ventisette paesi dell' Unione europea procederanno in ordine sparso al riconoscimento diplomatico del Kosovo, "in accordo con le loro pratiche nazionali ed il diritto internazionale", come recitano le conclusioni del Consiglio dei ministri degli esteri tenutosi ieri a Bruxelles. Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania -membri del gruppo di contatto - sono tra i primi paesi a riconoscere l'indipendenza di Pristina, insieme alla presidenza slovena. Altri procederanno in tempi brevi, inserendosi nella scia dei primi: tra loro Danimarca, Finlandia, Austria. Alcuni un po' più legalisti, come i Paesi Bassi, si prenderanno qualche giorno "per esaminare in dettaglio la Costituzione del Kosovo" ma la loro intenzione è il riconoscimento. Entro un mese, ha detto il ministro degli esteri svedese Carl Bildt, i riconoscimenti dei paesi UE dovrebbero essere circa 19.
La posizione più netta contro il riconoscimento è stata espressa da Cipro: "Ho detto oggi in Consiglio che non riconosceremo mai", ha spiegato ai giornalisti la ministra degli esteri dell'isola, Erato Marcoullis. Posizione analoga per la Romania: per il presidente Traian Basescu "la secessione del Kosovo è un atto illegale". "Non riconosceremo il Kosovo, per noi è una questione di legalità internazionale", ha dichiarato ancor prima dell' inizio della riunione il ministro degli esteri di Madrid Miguel Angel Moratinos, ricordando che un nuovo Stato può nascere o per accordo delle parti interessate o con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Grecia, Bulgaria e Slovacchia non sono pronte a riconoscere il nuovo status, ma non hanno chiuso la porta ad eventuali cambiamenti di posizione in futuro.
I ministri europei sono invece unanimi nel definire il Kosovo un caso sui generis che non costituisce un precedente per altre crisi internazionali e non mette in discussione principi come quelli fissati nella carta dell' ONU o nell' atto finale della conferenza di Helsinki. L'indipendenza del Kosovo sarà sotto sorveglianza internazionale, la missione civile EULEX - a guida europea ma con partecipazione di altri stati extra-UE - sarà chiamata ad assumere col tempo un ruolo guida sul terreno.

Il commento da Bruxelles

Ammettiamolo: la maggioranza dei paesi dell'Unione europea sta riconoscendo il Kosovo con lo stesso entusiasmo con cui solitamente si va dal dentista. Quasi nessuno si è preso la pena di felicitare le autorità di Pristina o di inviare propri rappresentanti alla storica proclamazione. Tra i pochi punti su cui i ventisette si sono ritrovati unanimemente concordi c'è il carattere eccezionale del caso kosovaro, che non dovrà costituire un precedente per delle situazioni future. Infine, tutti hanno ribadito di considerare quella kosovara una sovranità limitata, nelle forme e nei modi stabiliti dal piano Ahtisaari: l'ex provincia serba a maggioranza albanese rimarrà per un periodo lungo - oggi è impossibile stabilire quanto - un protettorato. Cambierà solo il protettore: all'ONU dovrebbero gradualmente sostituirsi l'Unione europea e una autorità civile internazionale ad hoc.

Il riconoscimento americano non è diverso nella sostanza, ma almeno George Bush si è preso la briga di fare i complimenti e di parlare di "legami di amicizia". Tra politici e diplomatici europei, invece, l'aggettivo che ricorre più spesso a proposito dell'indipendenza kosovara è: inevitabile. Persino gli sloveni, che sedici anni fa non erano in una situazione molto diversa, si sono guardati bene dal manifestare entusiasmo. E Bratislava (affrancatasi da Praga nel 1992) è tra le capitali non riconosceranno, almeno per i prossimi quattro mesi, i nuovi arrivati. Quanto all' Italia "è impossibile pensare che il Kosovo torni sotto l'autorità della Serbia, anche perché il 90 percento della popolazione non lo vuole e non si capisce quale forza dovrebbe costringerli a restare", ha spiegato ieri pomeriggio a Bruxelles il ministro degli esteri italiano Massimo D'Alema, aggiungendo senza mezzi termini che "il Kosovo non sarà uno Stato normale".

La freddezza con cui l' Europa ha accolto la nascita del 193mo stato del mondo è nota agli interessati e in buona parte ricambiata. Accanto alle onnipresenti bandiere albanesi per le strade del Kosovo domenica c'erano soprattutto vessilli americani, e addirittura qualche bandiera svizzera. Il vessillo dell' Europa era molto più raro. "Un po' è perché la gente non sa nemmeno dove comprarselo" - ci ha spiegato un collega kosovaro - "ma soprattutto la gente sa benissimo che deve soprattutto agli americani la raggiunta indipendenza". Quando il Kosovo diventerà un paese normale probabilmente se lo ricorderà, e nelle sue scelte geopolitiche agirà di conseguenza.

Eppure è l'Europa che si è impegnata a finanziare, più di chiunque altro, il consolidamento dello stato kosovaro. Tra stanziamenti per lo sviluppo, spese di funzionamento della missione civile EULEX e contributi vari alle istituzioni internazionali nei prossimi sedici mesi il conto già oggi supera il miliardo di euro. Una conferenza dei donatori è prevista per il mese di giugno e in quell' occasione i governi europei dovranno allargare ulteriormente i cordoni della borsa. Il Kosovo è uno stato fragile, che importa quasi tutto ciò di cui ha bisogno ed esporta poco o nulla; il PIL è in decrescita e le rimesse della diaspora sono la principale fonte di sostentamento. Se la Serbia dovesse mettere in atto misure di ritorsione contro l'indipendenza la situazione potrebbe peggiorare ancora un po', e il carico ricadrebbe ancora sugli europei.

Parallelamente l'Europa sta facendo di tutto per cercare di convincere Belgrado che l'accettazione dell' indipendenza kosovara non significa spalle voltate alla Serbia. "Un giorno serbi e kosovari si ritroveranno insieme in Europa", ha esclamato il capo della diplomazia francese, Bernard Kouchner, che del Kosovo fu tra l'altro il primo governatore ONU. La realtà è un po' meno poetica: nella marcia verso Bruxelles il Kosovo dovrà sempre restare davanti alla Serbia, o quanto meno affiancarla, perché se Belgrado dovesse entrare prima di Pristina potrebbe porre il proprio veto all' adesione di quella che considera una sua provincia ribelle.

Ma la Serbia non sembra avere la minima fretta di accettare i ramoscelli d'ulivo che Bruxelles le tende. Di certo non quella che si riconosce nel premier Kostunica, nei radicali o nelle formazioni nazionaliste minori. Il capo del governo serbo per la verità ha concentrato il proprio livore più sugli americani che sugli europei. Ma gli hooligans belgradesi nello sfogare la loro rabbia domenica sera non hanno fatto troppa differenza tra l'ambasciata slovena e quella degli Stati Uniti.

Non si vede quale altra politica potrebbe perseguire l'Europa, se non una di buon senso e di mediazione. Ma per ora fa pensare a quei passanti che, essendosi trovati coinvolti in una rissa, volendo tentare di mettere pace finiscono invece per prenderle da tutti e - quando poi i litiganti si stancano e rientrano a casa - vengono lasciati moribondi sul selciato. I kosovari inneggiano a Washington, Belgrado ha fiducia solo in Mosca, gli insulti sono tutti per Bruxelles. Peggio: i due litiganti potrebbero tentare di migliorare le loro sorti proprio seminando zizzania in casa europea. La Serbia potrebbe avere interesse a imbarazzare l'Europa, facendo leva sulle divergenze tra i ventisette. Quanto ai kosovari, forse è solo questione di tempo prima che la supervisione europea cominci a stare loro stretta. Per la politica estera dell' Unione difficile immaginare un test più arduo.