A Pristina il 13 e 14 giugno nell'ambito di una serie di conferenze sul futuro del Kosovo, numerosi membri della società civile e dell'opposizione serba hanno dialogato coi rappresentanti kosovari. Breve cronaca degli interventi
Parlando dello status del Kosovo, tema dibattuto nell'ultimo panel della conferenza "Il futuro del Kosovo", tenutasi a Pristina il 13 e 14 giugno e organizzata dal Comitato di Helsinki per i diritti umani della Serbia, la presidentessa Sonja Biserko ha affermato che tutti gli attori politici devono dimostrare un alto livello di responsabilità riguardo la questione della soluzione dei problemi del Kosovo. "Se Belgrado e Pristina giungessero ad un qualche accordo sullo status del Kosovo farebbero un passo storico. Lo status attuale non è sostenibile, perché genera radicalismo da ambo le parti".
La storica Latinka Perovic nella sua dissertazione "Accordo storico tra Albanesi e Serbi", ha sottolineato l'importanza del dialogo, dichiarando che esso è tuttora auspicabile e imprescindibile. Una delle precondizioni per l'accordo tra Serbi e Albanesi, secondo Latinka Perovic, è che "deve essere chiara l'impossibilità di voltare una nuova pagina di storia, come se il passato non fosse esistito". Perché secondo la storica di Belgrado, "La caduta dello Stato jugoslavo non è avvenuta per caso, ma è stata un grande progetto serbo. La pulizia etnica e i crimini di guerra sono stati pianificati". Pertanto prosegue la Perovic, "è necessario un realismo della Serbia e della percezione del suo ruolo verso la questione del Kosovo".
Bajram Kosumi, premier del Kosovo, nel suo intervento ha affermato che l'intera regione si trova di fronte ad un momento storico. "Rimandare la soluzione definitiva del Kosovo, così come la questione del Montenegro, rappresenta un ostacolo agli investimenti di capitale e alla collaborazione regionale. Credo che gli standard non siano qualcosa che ci si deve aspettare dalla comunità internazionale. Il nostro governo li ha intesi come un miglioramento dei diritti umani in Kosovo", ha precisato Kosumi. Il premier kosovaro ha aggiunto che il suo governo, come il precedente di Ramush Haradinaj, ha mostrato una certa maturità e ha mostrato che la società kosovara è stabile, matura e democratica, così come lo sono le istituzioni kosovare multietniche, il cui obiettivo è di sostenere lo sviluppo della società civile in Kosovo.
Il deputato al parlamento serbo, Zarko Korac, nel suo commento conclusivo ha valutato che è stato fatto un grande sforzo per sostenere il dialogo tra Albanesi e Serbi. "Nei due giorni di questa conferenza siamo stati testimoni di discorsi sui grandi temi dell'integrazione europea. Tuttavia l'ideale delle società democratiche è l'individuo libero. E noi qui abbiamo parlato come uomini liberi", ha detto Korac, valutando la conferenza come un passo nella giusta direzione.
Nonostante sia stata contestata da parte della maggioranza serba, questa conferenza di due giorni fino ad ora è l'unica forma manifesta di uno sforzo comune tra Albanesi e Serbi verso la soluzione della questione del Kosovo. Si tratta della terza conferenza in ordine temporale dal 1997 ed è stata organizzata alla probabile vigilia dell'avvio dei colloqui ufficiali sul futuro status del Kosovo, annunciati per il prossimo autunno.
Una delle questioni centrali della conferenza ha riguardato le possibilità che si arrivi ad un accordo Albanesi e Serbi, per trovare una soluzione del problema kosovaro. Ma oltre a questo aspetto decisivo, nella due giorni sono stati affrontati tutti i problemi del Kosovo: la situazione della minoranza serba, la questione della sicurezza e la percezione della sicurezza, così come la questione della riconciliazione, la transizione e la prospettiva europea della regione.
"Io credo che, in sostanza, i nostri obiettivi siano i medesimi. Una vita migliore dei cittadini sia in Serbia che in Kosovo", ha detto Natasa Micic, presidentessa dell'Alleanza civica della Serbia (GSS) nel suo discorso di apertura.
Parlando poi del rapporto tra la maggioranza della popolazione rispetto alla minoranza, Natasa Micic ha detto "che ciò non dipende solo dalla creazione di legittimi obiettivi nazionali e statali, ma dalla qualità della vita della stessa comunità di maggioranza, e quindi di tutti i cittadini. È impossibile che la maggioranza sia libera e felice, se non lo è anche la minoranza. Si tratta della esperienza che noi abbiamo avuto. Voi Albanesi, in Kosovo siete la maggioranza assoluta. Ecco perché avete piena responsabilità per la situazione degli altri popoli. State sicuri che la piena libertà e felicità per il vostro popolo si creerà solo se saranno liberi e felici anche gli altri popoli che vivono con voi. Vorrei incoraggiare tanto gli uni quanto gli altri, a dispetto di molti di quelli che a Belgrado li temono e li spaventano, che alimentano una falsa speranza e con ciò li rendono ancora più infelici".
Per Cedomir Jovanovic, leader della Frazione liberal-democratica (LDF), quando i politici albanesi parlano di indipendenza, parlano di un obiettivo, in cui però ci deve essere anche lo spazio per un'azione comune tra posizione serba e rappresentanti politici albanesi ... Credo che si debba riformulare la politica del Kosovo. Oltre a ciò deve essere sviluppato un percorso che renda possibile ad ogni cittadino del Kosovo di partecipare alla creazione di questa società, per far sì che si senta parte di questa società".
Riguardo la minoranza serba in Kosovo, Jovanovic ha detto che esistono diversi motivi per la loro situazione di isolamento. "Primo, loro sono ostaggi di Belgrado, perché li manipola come Milosevic ha manipolato i Serbi in Bosnia e Croazia, mediante i suoi Karadzic, Mladic, Martic, Babic, Hadzic e gli altri. Allo stesso modo Kostunica oggi manipola i Serbi del Kosovo. L'altro motivo è la paura, l'assenza di sicurezza, perché ciò che è accaduto negli ultimi sei anni non può essere ignorato. E terzo l'assenza di un piano con cui, a dispetto del primo e secondo motivo, i Serbi possano fare un passo avanti in questa società kosovara e lavorare alla creazione di un ambiente normale per se stessi".
"L'accordo storico dei due popoli mostrerà la responsabilità e la maturità, di cui in passato non c'è stata traccia. Più la maturità e responsabilità messa in mostra dai due popoli in questo accordo sarà di qualità, più servirà alla prospettiva europea dei cittadini della Serbia, del Kosovo e dell'intera regione. Sarò soddisfatta se questa conferenza darà un piccolo contributo a questo processo", ha concluso Natasa Micic.
Ma per la storica Latinka Perovic, un tale accordo storico richiede dei presupposti certi. "Non si può risolvere lo status del Kosovo solo sulla base di questioni territoriali. L'autonomia del Kosovo è stata revocata brutalmente, avete subito il terrore di Stato, è stata costituita una società parallela... Nessuno sarà in grado di risolvere la questione del Kosovo con la forza, non solo perchè vi è una forte presenza internazionale ma anche come conseguenza dell'esperienza maturata da tutte le comunità. Se però una parte rifiuta l'accordo, a prescindere da che parte sia, si rischia un ulteriore conflitto".
I politici di Belgrado non fanno cenno alcuno, né pensano, ad un accordo storico tra Albanesi e Serbi, sembra che l'unico in grado di parlarne pubblicamente sia Cedomir Jovanovic. "Credo che le relazioni tra Albanesi e Serbi riguardo ad un possibile non si differenzino da ciò che è accaduto storicamente nelle relazioni tra tutti i popoli che oggi vivono insieme, e non uno in opposizione all'altro. Si raggiungerà un accordo. Ne sono convinto".