La seconda parte di un intervento sui negoziati sullo status del Kosovo. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Di Franco Cotta*
Vai alla prima parte dell'intervento
Dopo la riunione della NATO di venerdi scorso, che ha deciso di rafforzare KFOR, Condoleezza Rice ha annunciato che la diplomazia ha esaurito i suoi sforzi per concordare con la Serbia il futuro del Kosovo. Si tratta ora di passare alla fase successiva, quella della indipendenza. Il nuovo Primo ministro di questo futuro Stato, Hashim Thaci, si è impegnato a seguire il processo di "indipendenza coordinata" messo a punto da americani ed europei, che prevede una dichiarazione unilaterale d'indipendenza del Kosovo, resa dopo le elezioni serbe. In quel momento verrà rilasciato anche il rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla situazione in Kosovo, documento che formalmente giustificherà la dichiarazione d'indipendenza.
Il Ministro degli Esteri della Russia, Sergei Lavrov, ha ribadito che il riconoscimento dell' indipendenza del Kosovo, effettuato unilateralmente da alcuni Stati, senza l'approvazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, avvierebbe la comunità internazionale su una "scivolosa discesa" che viola il diritto internazionale.
Riconoscendo il Kosovo con un procedimento di dichiarazioni unilaterali, che coinvolga anche molti Stati, senza peraltro la partecipazione della Serbia, della Russia, della Spagna, della Grecia, di Cipro, della Romania e di tutti quegli altri Stati che temono le dichiarazioni unilaterali di indipendenza di minoranze insoddisfatte, si aprirebbe, in effetti, un vaso di Pandora di dimensioni veramente significative. Molti casi, assolutamente straordinari, sono già stati indicati nella prima parte di questo articolo. Ad essi si aggiungono la possibilità di una nuova dichiarazione di indipendenza della comunità turca residente nell' isola di Cipro, un azione simile intrapresa dalla comunità ungherese che vive in Romania ed anche da quella del Nagorno Karabakh, che vuole liberarsi dal controllo armeno dell'Azerbaijan.
In fine, non bisogna dimenticare gli albanesi che vivono in Serbia, nella vallata di Presevo, che potrebbero, anch'essi, volersi rendere indipendenti. Non scordiamoci poi dei kurdi che vivono in Turchia, che potrebbero volersi unire al nuovo Kurdistan, che non vorrà certamente essere l'unico Stato non ancora esistente che manca l'occasione per dichiarare la propria indipendenza!
Il cammino che gli americani e molti europei intendono prendere è, in effetti, molto scivoloso, come dice Lavrov, e mi ricorda, con preoccupazione, il disastro causato dal riconoscimento rapido di Slovenia e Croazia da parte della Germania, che innescò il disfacimento della Yugoslavia. Ma soprattutto rovinosa è l'illusione di poter trattare ciascun caso di indipendenza separatamente, diplomaticamente negando l'esistenza degli altri, come fa , ad esempio, David Miliband, il giovane Ministro degli Esteri del Regno Unito, che ritiene il riconoscimento del Kosovo "unico e irripetibile", mentre, una volta accaduto, esisterebbe quale punto di riferimento per chiunque lo ritenesse utile.
Sul piano della realtà e della assunzione equilibrata delle responsabilità vi sono altre due vie che
possono essere seguite. La prima è stata recentemente suggerita da Mark Almond, professore di storia ad Oxford, che per far fronte alla "cascata" di dichiarazioni unilaterali d'indipendenza che seguiranno quella del Kosovo suggerisce di convocare una Conferenza Internazionale che tratti una soluzione negoziata. L'altra, di ambizione più modesta, però pensata da molti, consiste nel riprendere il cammino diplomatico-negoziale dell'indipendenza del Kosovo nell'ambito dei processi di ammissione all'Unione Europea di Serbia, Kosovo e Bosnia Erzegovina, come peraltro già indicato nella prima parte di questo articolo.
* Franco Cotta è uno specialista di politica estera che ha lavorato anche per le Nazioni Unite. Operazioni per il mantenimento della pace, Disarmo e Diritti Umani sono i settori ai quali si è dedicato, per molti anni.