Uno spazio aperto al cambiamento, che promuove un dibattito il più possibile inclusivo. E' questo la rivista on-line kosovara Kosovo 2.0. Un incontro con il collettivo che la promuove
(Pubblicato originariamente da Q CODE il 13 settembre 2019)
Dalla realtà LGBTQ ai criminali di guerra, serbi, kosovari e di altri paesi della regione, passando per le prossime elezioni, arrivando a Pristina e i movimenti artistici e le minoranze dimenticate. Non c’è mai un articolo di Kosovo 2.0 che non valga la pena leggere. In albanese e in inglese o, elemento molto interessante, in serbo. Nato con uno dei tanti progetti di cooperazione internazionale, è riuscito ad andare avanti con le proprie gambe, con uno stile che non fa sconti a nessuno. Intervista al collettivo (che risponde collettivamente) della piattaforma Kosovo 2.0, tra giornalismo e politica, tra passato e presente.
Kosovo 2.0, un magazine online, un progetto culturale. Cosa altro ancora? Perché Kosovo 2.0?
Tutto questo e anche uno spazio. Una piattaforma per informazioni di qualità e approfondimento che permetta di contestualizzare e discutere con cognizione di causa. Pensiamo che esista uno spazio, nell’intersezione delle problematiche, dove la rilevanza di ogni questione per i diversi gruppi della società è aperta al cambiamento. Lavoriamo su quello spazio, con un approccio che permette un dibattito più inclusivo e rappresentativo.
Come accade ciclicamente, da tanto, troppo tempo, si torna a parlare dell’accordo finale con la Serbia. Siete una delle testate più popolari tra coloro che oggi hanno vent’anni, nati dopo il conflitto. Quanto questo accordo è davvero una priorità per loro?
Probabilmente, per i ventenni, la “grande politica” – cioè l’accordo finale con la Serbia – non è una priorità. Sono una generazione nata durante o dopo la guerra e senza memoria della repressione serba, e di conseguenza la percezione della Serbia come nemico esterno non esiste nella stessa intensità delle generazioni più anziane. Solo che i ventenni possono ignorare la “grande politica”, ma la “grande politica” non li ignora. Come? Finché l’integrazione europea, l’occupazione, lo sviluppo economico e lo stato di diritto sono la loro priorità, nessuna di queste componenti sarà una priorità politica senza risolvere la questione con la Serbia. Di conseguenza, tutto ciò che sta accadendo con i negoziati è legato al destino di questa generazione; solo se questo problema viene risolto, si aprono orizzonti per discutere dell’integrazione europea e dello sviluppo economico.
La stessa generazione, però, in attesa della ‘grande politica’, cosa ha ottenuto dalle istituzioni del Kosovo? Son passati venti anni dal 1999, che bilancio si può trarre di una classe dirigente emersa dal conflitto?
In questi venti anni il Kosovo ha fatto progressi soprattutto nel campo delle infrastrutture. Un nuovo paese, emergente, in gran parte devastato, nel giro di pochi anni – naturalmente grazie agli aiuti dall’estero – è stato ricostruito. Negli ultimi anni, inoltre, il governo ha investito molto nella costruzione di strade, autostrade, scuole e altri progetti infrastrutturali. Un altro sviluppo che è accreditabile alle autorità statali è l’aumento degli stipendi nel settore pubblico. Se guardiamo agli stipendi di dieci anni fa e a quelli di oggi, vediamo che c’è un aumento significativo. E questo, nell’ottica della promessa lotta alla corruzione, è una buona notizia. Ma il Kosovo continua a crollare per molti aspetti. I salari e le condizioni di lavoro nel settore privato sono allarmanti. La grande disoccupazione – soprattutto tra i giovani – è un’altra “malattia” che sta rovinando la società kosovara. Questo provoca grandi ondate di emigrazione di giovani, come abbiamo visto negli ultimi 5-6 anni. L’elevata corruzione nelle istituzioni pubbliche, unita al clientelismo e al nepotismo, è un altro indicatore negativo per la governance in Kosovo, così come il mancato investimento nello sviluppo della qualità della salute, dell’istruzione e della cultura.
E nel campo della libertà di informazione e dei media?
In Kosovo restano circa quattro quotidiani stampati, mentre tutti gli altri quotidiani tradizionali sono diventati online. Allo stesso modo, con le tendenze nel panorama dei media in altre parti della regione e oltre, l’enorme aumento dei nuovi media online ha contribuito a creare uno spazio per la nascita di piattaforme mediatiche alternative come Kosovo 2.0, ma ha anche contribuito all’aumento della disinformazione, delle notizie false e del giornalismo senza fondi: questi ultimi fattori hanno anche aumentato lo scetticismo della gente nei confronti dei giornalisti e della produzione di notizie.
La trasparenza sulla proprietà dei media in Kosovo rimane ancora una sfida, anche se i proprietari dei media sono ampiamente conosciuti; di solito i media sono di proprietà di potenti uomini d’affari affiliati a determinati partiti politici e hanno quindi un impatto diretto sulla produzione mediatica. Per un caso come Koha Ditore (quotidiano ndr) che è riuscito a mantenere la propria indipendenza, in generale è molto difficile parlare di mezzi di comunicazione indipendenti e liberi. D’altra parte le pressioni, le minacce e gli attacchi ai giornalisti sono stati frequenti negli ultimi anni – le questioni di cui sopra contribuiscono anche a far sì che Freedom House classifichi il Kosovo solo come “parzialmente libero”. Le aggressioni fisiche ai giornalisti non sono state punite a sufficienza e i tribunali talvolta impiegano anni per trattare questi attacchi.
I diritti dei giornalisti vengono violati anche all’interno delle organizzazioni mediatiche: bassi salari, ritardi nei pagamenti, mancanza di contratti e mancato rispetto dei contratti – sono solo alcune delle violazioni con cui la maggior parte dei giornalisti aspiranti e professionisti si trovano a convivere in Kosovo. Ogni giorno.
Come collettivo giornalistico e politico che, attraverso una piattaforma di qualità, si confronta e racconta il mondo del Kosovo e della regione, quali sapreste indicare come priorità socio-economiche e culturali?
La società kosovara continua a vivere in un ghetto europeo, di cui sicuramente sono responsabili i leader nazionali, ma è un ghetto che rimane tale sotto la pressione dell’Unione europea. Migliaia di giovani sono condannati a non lasciare il paese per niente, per una vacanza o per studiare in un’università internazionale, o per una conferenza accademica o semplicemente per crescere e confrontarsi con i loro coetanei nel mondo. Questa vorace negazione della libertà di circolazione ha conseguenze infinite e mentre tutti i paesi della regione, e non solo hanno la libertà di circolazione nello spazio Schengen, i kosovari sono privati di tale diritto.
Un’altra questione che rimane cruciale è l’uguaglianza, in particolare l’uguaglianza di genere. La povertà colpisce più le donne, soprattutto se appartengono ad alcune minoranze, una percentuale enorme di loro è disoccupata, a causa di un patriarcato molto presente nel sistema del lavoro. I ruoli di genere sono molto forti e questo influenza anche gli atteggiamenti omofobi nella società. Ci troviamo in una fase in cui è importante educare la società e sfidare questi ruoli, ma le istituzioni devono rafforzare la loro protezione dei diritti umani, al di là del processo legislativo. La cultura delle istituzioni è di per sé patriarcale, in generale.
Oggi inoltre la gestione del passato si è ridotta al dialogo ufficiale con la Serbia. Questo dialogo, mediato dall’Unione europea, ha avuto molti problemi. In questo momento, non esiste un consenso su chi debba guidare questo dialogo e il presidente Thaçi non gode della piena fiducia dei cittadini o del Parlamento, che ha istituito una squadra di negoziazione per evitare che agisca in modo indipendente. Da un anno sentiamo parlare della possibilità di uno scambio di territorio che però non è avvenuto. Spesso, c’è più rumore che attività reale. Ci sono stati circa 23 accordi firmati tra i due paesi, la maggior parte dei quali rimane senza attuazione e questo è qualcosa che non si denuncia abbastanza dalle vostri parti. Allo stesso tempo, la Serbia continua senza riconoscere il Kosovo, i desaparecidos restano tali e se ne parla sempre meno. Da entrambe le parti i politici giocano la retorica del confronto, mentre non sta succedendo nulla, e l’Ue ha perso credibilità con il suo atteggiamento sulla liberalizzazione dei visti del Kosovo e il sostegno incondizionato quando i leader serbi hanno agito fuori dal copione. Nonostante tutto, il dialogo è fondamentale, affinché il Kosovo possa andare avanti. Come, e quando, rimane una questione aperta. Ma i cittadini sono stanchi e “hanno altre preoccupazioni”.
La corruzione continua ad essere una questione importante. A parte la percezione della corruzione, la realtà è che l’occupazione e il nepotismo sono chiaramente legati ai politici in posizioni pubbliche. Questo è ingiusto e frustrante per i cittadini. Nonostante i grandi scandali di corruzione, che coinvolgono alti funzionari, istituzioni, pubblici ministeri… nulla cambia veramente in questo senso, e i casi di giustizia rispetto la corruzione spesso rimangono bloccati nel sistema per anni. Questo invia alcuni messaggi sbagliati: che la posizione pubblica può essere utilizzata in modo improprio e che si potrebbe farla franca. Negli ultimi anni, però, abbiamo visto sempre più proteste organizzate contro casi specifici di corruzione, e questo può essere il segnale della nascita di una cittadinanza più attiva che alla fine si tradurrà in una nuova massa critica che si organizza per il cambiamento. In questo modo potremo avere fiducia in istituzioni che hanno veramente a cuore una governance di qualità. In Kosovo il problema è spesso che si parla solo di politici, piuttosto che di questioni. La gente si preoccupa della disoccupazione, della salute, della qualità dei servizi pubblici. Tutto il resto è rumore.
Il sistema sanitario del Kosovo è un onere enorme per i cittadini. Nonostante l’esistenza di un sistema di co-pagamento, le spese ricadono spesso sulle spalle dei cittadini che non hanno le risorse. Il prezzo di una risonanza magnetica è circa 500 euro. Molto più alto del salario medio. I rapporti e gli studi sul tema dicono che una famiglia media avrebbe forti difficoltà a permettersi una spesa inaspettata di questo tipo. Vediamo spesso famiglie che chiedono pubblicamente sostegno sociale in campagne di crowdfunding per mandare i loro cari all’estero, o anche solo qui. Qualsiasi malattia grave, porterà il peso emotivo a chiunque in un paese europeo, ma qui porta anche una grande quantità di oneri economici che influenzano fortemente l’individuo e la forza della famiglia. Nonostante tutto, il sistema sanitario pubblico è il più preparato, ma molti cittadini a volte scelgono di affidarsi all’assistenza privata per cure più rapide e confortevoli, per trattamenti o servizi che non possono essere offerti in tempo utile, ecc. La riforma del sistema sanitario e l’assicurazione sanitaria sono di importanza cruciale.
Per un’intera classe dirigente, che si è fatta stato con il conflitto, quanto parlare del passato serve a non parlare del presente e del futuro? O è necessario risolvere i problemi del passato per iniziare davvero una nuova era?
In realtà, parlare del passato e delle questioni politiche e sociali irrisolte dalla fine della guerra ha fermato la società del Kosovo e molti sviluppi in tutti questi anni. C’è una percezione diffusa tra l’élite politica, ma anche nella società civile, che il dialogo con la Serbia deve essere chiuso per permettere ai politici di dare priorità alle questioni che riguardano la vita quotidiana dei kosovari, come l’occupazione, la salute e i sistemi educativi. Risolvere le questioni del passato, mentre si costruisce parallelamente il futuro, è ciò che manca veramente nel paese, soprattutto dopo l’indipendenza.
Le questioni con la Serbia sono state più volte utilizzate dai partiti politici per i loro programmi, spesso colorati con tratti populisti e nazionalisti. E’ vero che c’è bisogno di un accordo definitivo tra il Kosovo e la Serbia, ma deve accompagnarsi all’attuazione di politiche concrete che influenzano e migliorano la vita delle persone. Ad esempio, durante la guerra del Kosovo, sono accaduti fatti orribili e non vi sono autori di violenze sessuali da parte delle ex forze paramilitari serbe che siano stati portati in tribunale. Ma in questa ricerca della giustizia, i politici kosovari non sono riusciti a sostenere i sopravvissuti dal 1999. E’ solo dall’anno scorso che i sopravvissuti hanno diritto a ricevere un compenso monetario dallo Stato, se il loro status è stato verificato. E sono completamente esclusi dall’assistenza sanitaria gratuita. Che coerenza è mai questa?