La sera di lunedì 27 febbraio a Bruxelles c’è stato un incontro, mediato dai rappresentanti dell’UE, tra il presidente serbo Aleksandar Vučić e il capo del governo kosovaro Albin Kurti. Si è discusso - e sembrerebbe accettato - i punti di una proposta europea di normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado. Un’analisi
(Originariamente pubblicato dal portale Kossev, il 28 febbraio 2023)
Ieri sera [27 febbraio] è stato pubblicato il testo della proposta europea (non più franco-tedesca), ora denominata "Accordo sul percorso di normalizzazione tra Kosovo e Serbia". In questo articolo alcune questioni chiave emerse in relazione ad essa, nonché l’analisi di ogni articolo separatamente. Un lettore impaziente può leggere solo la prima parte e saltare l'analisi, mentre un lettore desideroso di una spiegazione e di un'analisi più dettagliata dovrà armarsi di un po' di pazienza.
La Serbia ha riconosciuto il Kosovo?
Formalmente no, ma ha riconosciuto (se si andrà all’implementazione dell’accordo, ndr), tra le altre cose, l'integrità territoriale del Kosovo, i suoi simboli nazionali e i suoi passaporti, nonché il suo diritto di aderire alle organizzazioni internazionali. Il riconoscimento esplicito è riservato all'accordo finale e completo e questo documento, come suggerisce il nome, fa parte del percorso di normalizzazione, cioè del percorso verso tale accordo.
Si tratta di una proposta o di un accordo? È stata accettata o firmata?
Si tratta indubbiamente di un accordo, sebbene il titolo utilizzi anche il termine "proposta", ed è stato accettato ma non firmato. Il fatto che si parli di proposta e che non sia stata firmata può dipendere da diversi fattori: la firma potrebbe non essere stata prevista fin dall'inizio, e potrebbe essere stata una concessione ad una o a entrambe le parti. È però certo che secondo gli articoli 11 e 14 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, che può essere consultata a prescindere da qualsiasi questione relativa alla sua applicabilità al Kosovo, l'accettazione è equiparata alla firma, e abbiamo sentito da Josep Borrell, in qualità di rappresentante-mediatore, che le parti "hanno concordato che non sono necessarie ulteriori discussioni sulla proposta dell'UE".
Una questione a parte riguarda il destino giuridico di questo accordo nel sistema legale serbo. Vorrei ricordare che il cosiddetto Accordo di Bruxelles non è stato mai formalmente ratificato dall'Assemblea nazionale della Repubblica di Serbia, ma il suo testo si trova citato in un atto adottato da tale assemblea. Sulla questione la Corte costituzionale della Repubblica di Serbia si è dichiarata incompetente a giudicare, citando la cosiddetta dottrina della "questione politica". È possibile che anche questa volta le cose non vadano in modo molto diverso ma, secondo la Convenzione di Vienna, questo non dovrebbe influire sulla validità dell'accordo.
Cosa succederà in seguito?
Come ha dichiarato Borrell in due occasioni, le parti si occuperanno di "determinare le modalità di attuazione delle disposizioni dell'accordo", e ulteriori negoziati seguiranno solo sulle modalità di attuazione dell'accordo. L'attuazione, allo stato attuale, potrebbe comportare innanzitutto una serie di ulteriori passi (se, ad esempio, si verificherà prima il ritorno dei serbi nelle istituzioni, seguito dalla formazione dell'Associazione delle municipalità serbe o viceversa) e potrebbero essere fissate scadenze per la loro attuazione. È una coincidenza simbolica e inquietante (o non è affatto una coincidenza, ma è stata fatta di proposito) che, secondo tutto ciò che abbiamo sentito, l'accordo sull'attuazione è previsto per il giorno successivo al 17 marzo (giornata in cui, nel 2004, si verificarono tragici scontri in Kosovo ai danni della comunità serba, ndr), per essere poi confermato il 24 marzo alla riunione del Consiglio Europeo.
Analisi del testo
L'accordo contiene un preambolo e 11 articoli. È modellato sul Trattato sui fondamenti delle relazioni tra la Repubblica Federale di Germania e la Repubblica Democratica Tedesca del 1972 (il cosiddetto accordo delle due Germanie).
Il preambolo è in gran parte lo stesso dell'accordo tra le due Germanie, con aggiustamenti legati a un periodo storico e a un contesto diversi. Vorrei sottolineare in particolare il riferimento all'inviolabilità delle frontiere e al rispetto dell'integrità territoriale, da un lato, e la nota riguardante "la diversa visione delle Parti sulle questioni fondamentali, comprese quelle relative allo status".
L'articolo 1, come nell'accordo tra le due Germanie, parla di relazioni di buon vicinato, ma è ampliato dalla disposizione sul riconoscimento reciproco di "documenti e simboli nazionali, compresi passaporti, diplomi, targhe e timbri doganali". Si tratta quindi di un tentativo di risolvere diversi problemi del corpus degli accordi di Bruxelles, anche se è impossibile confermarlo senza conoscere il piano di attuazione.
L'articolo 2, come nell'accordo tra le due Germanie, contiene un riferimento ai principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, tra cui "l'uguaglianza sovrana di tutti gli stati, il rispetto della loro indipendenza, autonomia e integrità territoriale, il diritto all'autodeterminazione, la protezione dei diritti umani e la non discriminazione". La prima cosa che salta all'occhio è l'uso del termine "Stato", che conferma la statualità del Kosovo, cosa che si sarebbe anche potuto non fare, se si teneva conto delle sentenze della Corte di giustizia europea. Una domanda interessante che si pone è se il diritto all'autodeterminazione sarà interpretato in modo tale da consentire la secessione della parte del Kosovo abitata dai serbi.
L'articolo 3 riguarda la risoluzione delle controversie con mezzi pacifici e il divieto dell'uso della forza, ma, a differenza dell'accordo tra le due Germanie, non contiene una disposizione sull'inviolabilità delle frontiere, sebbene vi sia un riferimento ad essa nel preambolo.
L'articolo 4, nella prima parte, stabilisce che ciascuna delle due parti può rappresentare l'altra nella sfera internazionale - come nell'accordo tra le due Germanie - ma contiene anche una disposizione aggiuntiva secondo cui la Serbia non si opporrà all'adesione del Kosovo a nessuna organizzazione internazionale. Purtroppo, credo che questo chiuda di fatto il periodo in cui la Serbia, nella sfera internazionale (quindi non in quella interna), ha trattato il Kosovo come una sua provincia autonoma.
L'articolo 5 differisce dallo stesso articolo dell'accordo tra le due Germanie, e riguarda il percorso separato nell'UE di Serbia e Kosovo, che è noto almeno dal 2008, quindi non sprecherò spazio e tempo su questo.
L'articolo 6 corrisponde all'articolo 7 dell'accordo tra le due Germanie e definisce una serie di settori in cui Serbia e Kosovo coopereranno, che saranno regolati da accordi separati. Inoltre, nel primo paragrafo, si conferma che il risultato finale del processo negoziale sarà "un accordo giuridicamente vincolante sulla normalizzazione completa delle loro relazioni". Resta da vedere come questo articolo sarà reso coerente con gli accordi di Bruxelles esistenti, cioè se saranno sostituiti, rivitalizzati (ad esempio, con il ritorno alle istituzioni) o altro.
L'articolo 7 è specifico rispetto all'accordo tra le due Germanie. Il primo paragrafo parla dell'obbligo di entrambe le parti di "stabilire accordi e garanzie specifiche (...) per assicurare un livello adeguato di autogoverno per la comunità serba in Kosovo e la capacità di fornire servizi in aree specifiche, compresa la possibilità di un sostegno finanziario da parte della Serbia". Sembra che si tratti dell'Associazione delle municipalità serbe, ma probabilmente per non nuocere alla posizione del governo Kurti, non vi si fa riferimento come tale. Le competenze sembrano conformi alle decisioni della Corte costituzionale del Kosovo. Infine, in merito allo stesso articolo della proposta, Meliza Haradinaj [l’ex ministro degli Affari Esteri del Kosovo, ndr] richiama l'attenzione sull'uso del termine inglese "self-management", che non significa nulla (a meno che l'autore non sia un fan dell'autogestione e del lavoro comune) in sostituzione del termine "self-governance", che significa autogoverno, probabilmente ancora una volta per cortesia nei confronti di Kurti.
Il secondo paragrafo, particolarmente interessante, parla della posizione della Chiesa ortodossa serba, nonché della protezione dei siti del patrimonio religioso e culturale serbo, e posso solo esprimere la speranza che venga attuato correttamente.
L'articolo 8, identico all'accordo tra le due Germania, regola lo scambio di missioni permanenti, che nella pratica diplomatica significherebbe elevare il rapporto dal livello di ufficiali di collegamento, previsto dagli accordi di Bruxelles, a un livello più alto, ma comunque inferiore a quello delle ambasciate.
Gli articoli 9 e seguenti contengono disposizioni specifiche in relazione all'accordo tra le due Germanie. L'articolo 9 riguarda il sostegno finanziario (di principio) dell'UE e di altri donatori, a livello di impegno, cioè senza specificare l'importo e altri dettagli.
L'articolo 10 riguarda il comitato congiunto per il monitoraggio dell'attuazione, nonché l'obbligo di attuare tutti gli accordi precedenti.
Infine, l'articolo 11 contiene l'obbligo delle parti di rispettare la "tabella di marcia per l'attuazione" allegata all'accordo. Poiché non esiste alcun allegato, presumo che il documento sia in fase di negoziazione, con la puntualizzazione che, in base alla formulazione di questo articolo, è possibile firmare sia l'accordo che l’allegato, oppure non firmare nessuno dei due, ma l’accordo va comunque confermato dal Consiglio europeo.
Non ci sono disposizioni sulla legge applicabile, né sul meccanismo di risoluzione delle controversie, quindi sembra che anche questa sia una cosiddetta "soft law", cioè un accordo con sanzioni puramente politiche. In relazione all'accordo tra le due Germanie, non vi è alcuna disposizione sull'entrata in vigore.
L'autore
Dragutin Nenezić è un avvocato di Belgrado che lavora in Kosovo da più di dieci anni. Ha assistito e rappresentato varie parti in privatizzazioni e controversie sulla proprietà davanti ai tribunali di Pristina. Ha partecipato a vari forum e iniziative come esperto sulla questione della proprietà in Kosovo. Attualmente lavora come consulente nel campo delle infrastrutture, dell'energia e dell'ecologia, nonché delle politiche pubbliche.