Nel villaggio di Svinjare/Frashër quasi tutti i serbi le cui case, andate distrutte nel corso delle sommosse del 2004, erano state ricostruite con contributi governativi, le hanno rivendute e si sono trasferiti a vivere nelle enclave serbe del Paese
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Di Bukurie Bajraliu*, Svinjare/Frashër, Balkan Insight, 20 luglio 2006, BIRN Media Training and Reporting Project, BIRN (titolo originale: "Serbs Abandon Their Rebuilt Homes"). Tradotto da Carlo Dall'Asta per Osservatorio sui Balcani.
Avvolta in uno scialle rosa, Ljubica Vukadinovic riposa seduta su una vecchia sedia nel cortile di casa sua.
Questa donna serba di 65 anni vive sola nel villaggio di Svinjare/Frashër , 30 chilometri a nord della capitale, Pristina.
Fino al 1999, Svinjare/Frashër era popolata da membri di entrambe le principali comunità etniche del Kosovo, serbi e albanesi.
Ma dopo i bombardamenti aerei della NATO del 1999, le 90 famiglie serbe si sono ridotte a circa 40. Ora ne restano solo quattro.
Le condizioni in cui versa il villaggio sono pessime. Solo a pochi metri dalla sedia della Vukadinovic i cavi dell'elettricità, caduti dal palo, giacciono sul terreno.
Il guasto ha lasciato l'anziana pensionata senza elettricità per tre giorni.
Ma si tratta di un inconveniente relativamente modesto, se paragonato ai problemi cui essa ha dovuto far fronte nel corso degli ultimi anni.
La casa della Vukadinovic è una delle 900 tra case e siti religiosi serbi che furono distrutti nei giorni delle concitate rivolte albanesi del marzo 2004. Diciannove persone, di entrambe le parti, persero la vita.
La violenza scoppiò dopo che nella tesa e divisa città di Mitrovica tre bambini albanesi morirono per annegamento. La tragedia suscitò voci, secondo cui in quelle morti c'era una parte di responsabilità serba, innescando le scorrerie di bande di albanesi inferociti che si riversarono sui villaggi serbi del Kosovo.
Di fronte alla condanna internazionale di quello che sembrava un pogrom, il governo kossovaro stanziò un fondo di emergenza di 12 milioni di euro per ricostruire le proprietà serbe nei villaggi come Svinjare/Frashër, dove circa 120 case erano state date alle fiamme.
Behxhet Brajshori, incaricato del progetto di ricostruzione, offrì a tutte le famiglie colpite un bonus di 2.000 euro in contanti, finalizzato alla ricostruzione.
Ma l'aiuto del governo non ha invogliato i serbi a tornare a Svinjare/Frashër. Oggi rimangono solo quattro delle 40 famiglie che vivevano qui prima delle rivolte di marzo.
La Vukadinovic è una di queste. La sua casa è una delle poche case di proprietà serba che non espone un cartello di "Vendesi".
Al suo posto c'è un cartello con il logo delle Istituzioni provvisorie per l'autogoverno del Kosovo, PISG, a indicare che i lavori di ristrutturazione sono stati finanziati da questa organizzazione.
La maggioranza degli altri serbi del villaggio hanno utilizzato gli aiuti per la ricostruzione per riparare le loro case e poi rivenderle. Per lo più si sono trasferiti ad abitare nella zona nord di Mitrovica, a maggioranza serba.
Il nuovo vicino della Vukadonovic è Zeqir Rushiti, un albanese sulla cinquantina. Si è recentemente trasferito in una casa che prima apparteneva a dei serbi.
Lui e i suoi cinque fratelli hanno venduto le loro proprietà a nord di Mitrovica e hanno acquistato dai serbi sei case a Svinjare/Frashër.
I funzionari governativi sono consapevoli che un tale processo di "scambio" di case sta avvenendo su vasta scala tra i serbi e gli albanesi del Kosovo, e che ciò sta cambiando profondamente la mappatura etnica del Kosovo.
"Il nostro ministero non ha informazioni esatte", ha dichiarato a Balcan Insight Nazmi Fejza, vice ministro per il ritorno dei rifugiati. "Ma è vero che i serbi stanno vendendo le case ricostruite con l'aiuto del governo e che gli albanesi le stanno comprando, su vasta scala".
I membri di entrambi i gruppi etnici sostengono che il motivo principale è la preoccupazione per la sicurezza personale.
"Siamo stati costretti a vendere le case al nord, perché lì non eravamo al sicuro", ha affermato Rushiti. "Per più di sette anni non ci siamo potuti muovere liberamente, ma questo non importava a nessuno".
Adem Mripa, che vive nel cosiddetto quartiere bosgnaccodi Mitrovica, scomodamente sito in mezzo tra le opposte comunità della città, quella serba e quella albanese, sostiene di comprendere bene perché i proprietari delle case vogliano scambiarle con altre.
"La gente è stanca di questa situazione e i più hanno dovuto già da diversi anni andare ad abitare altrove in affitto, lasciando la loro proprietà perché era dall'"altra" parte del fiume", ha detto. "Quasi nessun serbo osa andare nella parte meridionale del Kosovo, mentre gli albanesi non si azzardano a spostarsi nella zona nord di Mitrovica".
La Vukadinovic è una specie di eccezione. Dopo essere ritornata nella sua casa dopo le rivolte di marzo, non ha avuto problemi con i nuovi vicini albanesi.
"La situazione non è buona, dato che non abbiamo un dottore, né trasporti pubblici, né una scuola", ha detto. "Ma la mia vita non è in pericolo. Dopo il marzo 2004 non ci sono stati incidenti etnici".
Vojislav Jovic è uno degli altri quattro serbi che ancora vivono a Svinjare/Frashër, insieme a sua moglie.
Egli respinge la teoria secondo cui i serbi stanno vendendo le case unicamente a causa delle preoccupazioni per la propria sicurezza.
"I serbi non stanno scappando perché costretti a cercare sicurezza", dice Jovic. "Essi stanno vendendo le loro proprietà perché vedono una buona opportunità per fare grandi profitti".
Anche se alcuni albanesi e serbi oltranzisti potrebbero approvare l'idea di una separazione totale delle due comunità, secondo il vice ministro Fejza il processo sta danneggiango il Kosovo.
"Su questo progetto sono stati spesi i soldi dei contribuenti", ricorda. "Stiamo sprecando risorse che potrebbero essere investite in progetti decisivi per un ritorno sostenibile dei serbi".
Fejza critica il programma di sviluppo dell'ONU, UNDP, che gestisce i fondi per la ricostruzione, in quanto parzialmente responsabile dello spreco.
"Quando hanno firmato i contratti per la ristrutturazione delle case distrutte, non hanno voluto stare a pensare se queste case rinnovate sarebbero poi state semplicemente rivendute, o no", ha detto. "L'attenzione era concentrata sul fatto di ricostruire quel tal numero di case bruciate, non sul guardare ad altri elementi che avrebbero potuto favorire il ritorno dei serbi dopo le rivolte".
I funzionari dell'UNDP respingono le critiche. Uno di essi ha fatto notare che prima che iniziasse il processo di ricostruzione tutte le parti interessate, incluse l'UNDP, l'autorità ONU in Kosovo, UNMIK, il governo e i cittadini coinvolti, firmarono un accordo che proibiva ai privati di rivendere le case così ristrutturate per un certo periodo di tempo.
In pratica tanto i serbi quanto gli albanesi hanno ignorato questa clausola.
Rrahman Hasani, capo del villaggio di Svinjare/Frashër, dice che al momento la maggior parte del suo tempo è impegnata nell'incontrare gli albanesi nuovi arrivati che stanno velocemente comprando tutte le circa 120, o poco più, case ricostruite.
"Il governo del Kosovo ha investito milioni di euro per ricostruire queste case, che ora vengono vendute senza controllo", ha detto Hasani.
I politici locali dicono che è difficile ostacolare l'esercizio di diritti così basilari come la libertà di comprare e vendere proprietà immobiliari e di vivere dove si vuole.
"La compravendita delle case è una cosa che noi non possiamo impedire", ha detto Ulpiana Lama, portavoce di Agim Ceku, primo ministro del Kosovo. "Questa è la volontà dei cittadini".
Ma Arben Gashi, un esperto di governo locale, è preoccupato. "Questi diritti stanno permettendo la creazione di enclave etniche, e stanno ponendo delle linee di confine etniche all'interno del Kosovo", ha detto.
Nel frattempo la Vukadinovic quasi ogni nuovo giorno trova al suo risveglio dei nuovi vicini albanesi.
E c'è chi, ogni giorno, continua a insistere con lei, facendo delle offerte per comprare la sua casa. "Ricevo molte offerte, anche con buoni prezzi, ma per me questo posto è importante, quindi non lo venderò", ha detto.
"Io non ho motivi per vendere la mia casa. Finché vivrò, qui posso stare bene".
Bukurie Bajraliu è giornalista per Koha Ditore e collaboratore di Balkan Insight. Balkan Insight è la pubblicazione online di BIRN.