Soldati kosovari © Bumble Dee/Shutterstock

Soldati kosovari © Bumble Dee/Shutterstock

Venerdì 26 maggio nei comuni a maggioranza serba nel nord del Kosovo si è assistito all’ennesima escalation di scontri tra le forze dell’ordine kosovare e i cittadini di nazionalità serba. Il detonatore è stato l’insediamento dei neo eletti sindaci di nazionalità albanese

29/05/2023 -  Marija Andrić Rakić

(Originariamente pubblicato dalla Deutsche Welle, il 27 maggio 2023)

 

Venerdì 26 maggio, poco prima di mezzogiorno, nei comuni a maggioranza serba nel nord del Kosovo hanno iniziato nuovamente a suonare le sirene di allarme, un suono che in questa parte del paese non invita la popolazione a rifugiarsi in un luogo chiuso, bensì a scendere in strada. Questa volta a scatenare l’allarme è stato l’annuncio dei neo eletti sindaci di nazionalità albanese di volersi insediare negli edifici comunali – destinati ad ospitare gli uffici dell’amministrazione serba – e iniziare a svolgere le proprie funzioni.

I sindaci di Zvečan, Zubin Potok e Leposavić sono stati eletti alle recenti elezioni amministrative anticipate che, per via del boicottaggio da parte dei serbi, si sono concluse con un’affluenza del 3,4%.

Una nuova “normalità”?

Per evitare che la situazione precipitasse, su suggerimento della comunità internazionale, le sedute di insediamento dei nuovi consigli comunali – durante le quali i neo eletti sindaci hanno prestato giuramento – si sono tenute giovedì 25 maggio nei villaggi albanesi situati nel territorio di suddetti comuni.

Tuttavia, già il giorno successivo, venerdì 26 maggio, nei tre comuni a maggioranza serba sono scoppiati scontri con lancio di gas lacrimogeni e granate stordenti. Si sono sentiti anche alcuni colpi di arma da fuoco. Dopo qualche tafferuglio con i cittadini che bloccavano l’ingresso, le autorità kosovare hanno preso il controllo degli edifici municipali, sostituendo le bandiere della Serbia con quelle del Kosovo.

Decine di cittadini e cinque agenti feriti, quattro veicoli della polizia danneggiati, questo il bilancio degli scontri di venerdì scorso.

Dopo aver posato per i giornalisti albanesi all’interno degli uffici, i neo eletti sindaci se ne sono andati. Gli agenti di polizia invece hanno trascorso la notte a presidiare i municipi. Simili scene probabilmente diventeranno una nuova “normalità” nell’ottica del processo di normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina.

Possibile intensificazione delle proteste

“L’attuale situazione è insostenibile. Mi aspetto che nei prossimi giorni i cittadini, ma anche la Srpska Lista, reagiscano più fortemente. Suppongo che, qualora i nuovi sindaci dovessero ritornare [negli uffici comunali], la popolazione organizzerà una manifestazione ancora più massiccia. Raduni e proteste di massa potrebbero però portare ad una nuova destabilizzazione”, spiega alla Deutsche Welle Marko Milenković dell’ong Nova društvena inicijativa [Nuova iniziativa sociale] di Mitrovica nord.

Ci si aspetta che la protesta cresca ulteriormente anche perché lo scorso venerdì nel nord del Kosovo c’erano pochi serbi. Quel giorno di prima mattina molti serbi del Kosovo – alcuni media parlano di diecimila persone – sono partiti per Belgrado per partecipare ad una contromanifestazione denominata “Srbija nade” [La Serbia della speranza] organizzata dal presidente serbo Aleksandar Vučić. A Belgrado, oltre all’intera leadership della Srpska Lista, il principale partito dei serbi del Kosovo, si sono recati molti dipendenti dell’amministrazione serba del Kosovo, in gran parte sostenitori del Partito progressista serbo (SNS) di Vučić.

Il ruolo dell’opposizione

Durante le proteste scoppiate venerdì 26 maggio nel nord del Kosovo sono stati gli esponenti dell’opposizione – Milija Biševac, leader dell’iniziativa civica Za Zubin Potok, e Aleksandar Arsenijević, leader del movimento Srpski opstanak [la sopravvivenza serba] – a farsi portavoce delle richieste della popolazione, cercando di trovare un compromesso con le forze dell’ordine.

“Lo scorso venerdì è emerso chiaramente che all’interno della comunità serba del Kosovo esiste ancora un certo pluralismo. È evidente che si è trattato di azioni messe in atto da gruppi di cittadini auto-organizzati. Forse per questo la resistenza è stata meno forte e, per fortuna, non ci sono stati molti feriti”, afferma Marko Milenković, per poi precisare: “In passato, ogni volta che la comunità serba si è opposta a iniziative di Pristina, gli esponenti del governo kosovaro, come anche gran parte della comunità internazionale, hanno sempre attribuito la responsabilità di tali azioni alla Srpska Lista. Ora è chiaro che la situazione non è così semplice e che ci sono anche altri attori in gioco”.

Milenković poi spiega che, dopo gli eventi di venerdì scorso, la Srpska Lista subirà un duro colpo in termini di popolarità. Quel giorno molti cittadini hanno pubblicato sui social alcune foto dei leader della Srpska Lista con uno striscione in sostegno di Aleksandar Vučić durante la manifestazione di Belgrado, mettendole a confronto con le foto che mostrano gli esponenti dell’opposizione serbo-kosovara fare da scudo tra cittadini e agenti delle forze speciali della polizia kosovara armati di fucili.

Dure critiche rivolte a Pristina

Dopo i recenti fatti anche le relazioni tra Washington e Pristina potrebbero deteriorarsi. Lo ha lasciato intendere il segretario di Stato americano Antony Blinken condannando “l’irruzione violenta negli edifici comunali nel Kosovo settentrionale”. Blinken ha sottolineato che Pristina ha deciso di agire ignorando i consigli di Washington e Bruxelles, aggiungendo che le relazioni bilaterali tra Kosovo e Stati Uniti ne risentiranno.

Anche i principali paesi membri della NATO hanno condannato l’irruzione nei municipi nel nord del Kosovo, chiedendo il ritiro delle forze dell’ordine. La KFOR – missione NATO in Kosovo che in passato aveva il compito di mantenere l'ordine dopo il ritiro delle forze speciali– ha definito l’irruzione negli uffici comunali come “estremamente pericolosa”.

Le reazioni di Pristina

Il ministro dell’Interno kosovaro Xhelal Sveçla ha respinto le accuse di violenza rivolte alle forze speciali, affermando che “un’interpretazione distorta della realtà può portare alla perdita di vite umane”.

Sveçla si è scagliato contro quelli che definiscono violenta la polizia kosovara, accusandoli di incoraggiare gli attacchi alla polizia. Il ministro ha poi esortato i cittadini a “non cedere alle provocazioni di gruppi criminali che, per meglio soddisfare i propri interessi, vogliono il caos e la sospensione dello stato di diritto e della democrazia”.

“Questa non è democrazia”

I serbi del nord del Kosovo, compresi i leader dell’opposizione, che lo scorso venerdì si sono opposti all’insediamento dei neo eletti sindaci negli uffici destinati all’amministrazione serba, la pensano diversamente.

“Questa non è democrazia. Nessuno di noi è armato, nessuno minaccia di usare la forza, siete voi a farlo. Siete venuti qui armati, noi siamo inermi. Possiamo discutere, ma l’uso della forza non è un’opzione”, ha affermato Milija Biševac, uno dei leader dell’opposizione, durante i negoziati con le forze speciali della polizia kosovara.

“L’esito delle elezioni [amministrative dello scorso 24 aprile] la dice lunga sull’atteggiamento dei cittadini nei confronti dei nuovi sindaci. I candidati, poi eletti sindaci, non hanno ottenuto alcun voto serbo, quindi è chiaro che la comunità serba non solo non vuole i nuovi sindaci, ma si oppone alla presenza di qualsiasi istituzione kosovara nel nord del paese in segno di protesta contro la violenza e il terrore istituzionale e contro l'abuso d’ufficio e l’uso della forza”, sottolinea Marko Milenković.

Il dialogo è l’unica via d’uscita

Milenković spiega infine che, per quanto possa sembrare una frase fatta, l’attuale situazione può essere risolta solo attraverso il dialogo.

“I negoziati da soli non bastano, occorre implementare quanto concordato. Poi nell’ambito dei negoziati, anche le richieste della comunità serba devono essere tenute in considerazione e prese sul serio. Ed è un compito che spetta innanzitutto ai rappresentanti della comunità internazionale. Dobbiamo fare passi in avanti il prima possibile”, conclude Milenković.

L'ultima escalation della situazione nel nord del Kosovo arriva a meno di tre mesi da un accordo verbale raggiunto a Ohrid tra Albin Kurti e Aleksandar Vučić sull’implementazione di un piano europeo per la normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado.

L’UE ha presentato questo accordo come un grande passo in avanti che dovrebbe cambiare le dinamiche del dialogo, trasformandolo da uno strumento di gestione della crisi in un meccanismo di regolazione delle relazioni future. Tuttavia, a Ohrid non si è nemmeno discusso di molti problemi pressanti con cui deve fare i conti la popolazione del nord del Kosovo, tra cui la questione irrisolta delle targhe, l’elezione delle nuove amministrazioni comunali e le ripetute richieste della comunità serba che chiede il ritiro delle forze speciali della polizia kosovara dal nord del paese.